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Il capitale sociale

Nel documento Rapporto 2008 (.pdf 10,0mb) (pagine 37-41)

1.1.6.1. Quinto numero: 12 per cento

Raccontare il capitale sociale attraverso le statistiche non è semplice, ancora più difficile è individuare un solo numero che sia sufficientemente esplicativo. La scelta del quinto numero è ricaduta sul 12 per cento, equivalente alla percentuale di addetti che operano in società cooperative. Si tratta di un valore particolarmente elevato, per avere un’idea della dimensione è sufficiente pensare che in Lombardia e Veneto tale quota si attesta attorno al 5 per cento, in Toscana – regione in cui la cooperazione è particolarmente forte - al 7 per cento.

Appare però evidente che, come premesso, il dato sulla diffusione della cooperazione non ha la capacità di racconto dei numeri precedenti, la complessità e la vastità di tutto ciò che va sotto il nome di capitale sociale non consentono rappresentazioni eccessivamente semplificate.

Il capitale sociale come fattore di sviluppo nasce da considerazioni di natura sociologica e ha trovato rapida diffusione prima nelle scienze politiche e più recentemente nella letteratura economica, affiancandosi al capitale tecnico e al capitale umano.

Gli studi sul tema della dimensione sociale più noti sono di Bourdieu, Coleman e Putnam. Secondo Bourdieu “il capitale sociale è la somma delle risorse, materiali o meno, che ciascun individuo o gruppo sociale ottiene grazie alla partecipazione a una rete di relazioni interpersonali basate su principi di reciprocità e mutuo riconoscimento”.

Per Coleman “il capitale sociale risiede nella struttura delle relazioni tra gli agenti. Non può essere rinvenuto né negli agenti stessi, né nei mezzi fisici di produzione”. Negli ultimi anni in Italia, sono stati effettuati studi per capire se il capitale sociale inteso nell’accezione di Coleman, quindi come l’insieme di risorse derivanti dal tessuto sociale, fosse alla base del differente esito di iniziative analoghe in territori diversi, per esempio i patti territoriali. È emerso che i patti hanno funzionato quando hanno mirato alla costruzione di condizioni di cooperazione, ovvero alla generazione di capitale sociale.

Negli studi realizzati da Putnam il capitale sociale acquisisce un’accezione come risorsa collettiva e riconducibile alle “caratteristiche della vita sociale – reti, norme, fiducia – che mettono in grado i partecipanti di agire più efficacemente nel perseguimento di obiettivi condivisi”.

Nelle analisi economiche, così come nelle policies, vi è ancora una scarsa considerazione del capitale sociale quale fattore di sviluppo. Prevale la tendenza a considerare la qualità sociale come subordinata alla competitività economica e non come uno strumento per raggiungerla. Per esempio, come ricorda Zamagni “è stato dimostrato che la spesa sanitaria, aumentando la speranza di vita media e diminuendo il tasso di mortalità, contribuisce ad aumentare la produttività e quindi la crescita del sistema in misura non inferiore all'investimento in capitale fisico e in capitale umano. Eppure, quella sanitaria continua ad essere vista solo in termini di spesa e non anche di investimento. Lo stesso discorso vale per l’effetto via capitale sociale. E' dimostrato che un sistema di welfare agisce sui nessi e sui livelli di fiducia dei cittadini, la fiducia crea capitale sociale, il capitale sociale favorisce la crescita”.

Certamente la complessità degli indicatori di qualità e benessere, la soggettività della scelta delle variabili da includere e l’ambiguità della loro interpretazione non facilita il superamento dell’asimmetria competitiva tra sviluppo economico e dimensione sociale. D’altro canto, appare sempre più evidente che vi sono dimensioni sociali ed economiche e che i loro indicatori devono essere integrati. Appare altrettanto evidente che domini di indicatori che riguardano il benessere non solo economico, l’integrazione sociale, il grado di apertura di una comunità sono elementi di competitività.

Il capitale sociale di un territorio può essere visto anche da un punto di vista differente. Rullani1 distingue tra l'economia e la società della conoscenza. L’economia della conoscenza è il sistema che assegna valore alle conoscenze utili che nascono e si propagano non linearmente (per linearmente si intende in maniera riproducibile e attraverso la scienza e le macchine) ma in maniera riflessiva, grazie alle capacità intellettive delle persone. La società della conoscenza è la rete in cui i valori utili sono affiancati dalle conoscenze prodotte e propagate per motivi non utilitaristici e dunque per passione, rabbia, condivisione, dono. Per affrontare la complessità abbiamo bisogno di un’economia della propagazione in base al valore e di una società della propagazione in base all'identità.

1 Si rimanda al blog di Enzo Rullani http://enzorullani.blogspot.com/2008/02/welcome-benvenuti.html

Se le conoscenze afferenti all’economia e al valore sono riconducibili al capitale umano, quelle della società e dell’identità appartengono al capitale sociale. Non sempre questa distinzione risulta agevole, difficile capire dove inizia l’uno e finisce l’altro. C’è un “mondo” dove valori utili e significati identitari convivono e si ibridano in continuazione, dove la conoscenza personale diventa identità collettiva ed è quello dei social network.

Sempre citando Rullani, la rete (in particolare il web 2.0) ha riportato al centro della storia – anche economica – l’intelligenza fluida degli individui che diventano comunità, e che, insieme, danno un formidabile contributo ad esplorare e a governare la complessità del mondo attuale, inventando a getto continuo nuove varietà, cambiando quelle che già ci sono, creando idee e possibilità a cui nessuno aveva pensato prima. Nei social network emerge la ricchezza e la polivalenza di quelle che finora – in un mondo standardizzato con rigidi criteri economici (l’ottimizzazione tecnica, le economie di scala, il profitto di impresa) – erano semplici eccedenze cognitive.

Secondo De Biase1 nel suo libro “economia della felicità” il pubblico attivo della rete regala a se stesso e agli altri il proprio tempo. Le persone donano idee e lavoro in cambio della possibilità di esprimersi e di ascoltare quella dei pari, ottenendo un riconoscimento della propria identità e una nuova esperienza delle relazioni con altri. L’economia del dono pervade progetti partecipati, informali, dove non funziona lo scambio monetario ma si fondano sulla coltivazione delle relazioni tra persone, sulla fiducia, sulla gratuità, sulla qualità.

I social network rientrano a pieno titolo nella già complessa articolazione del capitale sociale e, per le modalità con le quali stanno evolvendo, vanno presi come modello da imitare.

1.1.6.2. Il capitale sociale

Nel calcolo della dotazione di capitale sociale delle aree vaste dell’Emilia-Romagna, oltre alle ricordate difficoltà di misurazione, si aggiunge la scarsità di informazioni con dettaglio comunale. Si è partiti da un dataset di indicatori riguardanti la cooperazione, il non profit, alcune caratteristiche delle imprese e degli imprenditori, il numero di donatori di sangue, la percentuale di votanti alle elezioni, le famiglie unipersonali ed altro ancora. L’obiettivo era quello di isolare due gruppi di variabili, quelle relative al sistema relazionale e quella inerente la partecipazione civica.

Il sistema relazionale, inteso come insieme di fattori intangibili che sottostanno alle relazioni tra le persone, favorisce il raggiungimento della combinazione ottimale dei fattori produttivi, così da consentire, a parità di altre forme di capitale, una maggior produttività nelle aree dotate di maggiori beni relazionali.

L’importanza del senso civico nella realizzazione dello sviluppo economico è stato evidenziato da Putnam in uno studio sulle regioni italiane. In particolare Putnam ha posto l’accento sui distretti, sottolineando come la maggior diffusione della conoscenza e dell’innovazione sia attribuibile alle regole di senso civico che caratterizzano le aree distrettuali.

1.1.6.1. Tasso di occupazione e percentuale di laureati. I 341 comuni dell’Emilia-Romagna suddivisi in 5 gruppi di uguale numerosità (quintili), ad aree più scure corrispondono valori più elevati.

Percentuale di addetti in coop.ve sul totale addetti Percentuale imprenditori stranieri sul totale stranieri

Fonte: Area studi e ricerche Unioncamere Emilia-Romagna su fonti varie

1 Si rimanda al blog di Luca De Biase http://blog.debiase.com/

All’interno di ciascun territorio coesistono due tipologie di conoscenza, quella codificata - fatta di informazioni esplicite, accessibili a tutti attraverso le modalità tradizionali di apprendimento e codici condivisi – e quella tacita – dove le informazioni sono veicolate e interpretate in modo non formalizzato ma trasmesse attraverso l’interazione diretta. Il primo tipo di conoscenza ha libera circolazione e consente di accedere ai cambiamenti nell’innovazione e nella tecnologia che avvengono all’esterno del sistema. La conoscenza tacita ha nel sistema relazionale e nei rapporti fiduciari la sua unica modalità di trasmissione, assicurando il mantenimento delle specificità del territorio all’interno del sistema.

In passato la conoscenza tacita, l’apprendimento endogeno, è stato uno dei fattori di successo delle aree distrettuali. Oggi i cluster per l’innovazione necessitano di conoscenza codificata, di apprendimento esogeno.

1.1.6.2. Capitale sociale imprese: Imprese femminili, età degli imprenditori e incidenza imprenditori stranieri.

Imp.

Femminili Coop.ve

Età

imprenditori Nazionalità imprenditori Incidenza

Appennino emiliano 21,6% 3,5% 5,8% 11,9% 2,5% 93,2% -2,7%

Appennino romagnolo 20,2% 7,8% 5,9% 10,7% 2,2% 119,8% -1,8%

Città ferrarese 20,4% 8,1% 5,0% 9,3% 1,6% 199,1% -5,3%

Emilia-Romagna 19,9% 12,0% 5,2% 8,5% 2,8% 132,2% 0,5%

Fonte: Area studi e ricerche Unioncamere Emilia-Romagna su fonti varie

Le informazioni disponibili a livello comunale non sono risultate sufficienti per l’individuazione in ciascuna area vasta delle due componenti, sistema relazionale e partecipazione civica. È comunque stato possibile calcolare un indice sintetico di capitale sociale che riflette soprattutto le caratteristiche più sociali del sistema produttivo, mentre solo parzialmente riesce a cogliere il civismo e la rete che lega le persone.

1.1.6.3. L’indice sintetico di dotazione di capitale sociale. Valore 2007 dell’indice (Emilia-Romagna = 0) e variazione 2002-2007

Emilia-Romagna

Fonte: Area studi e ricerche Unioncamere Emilia-Romagna su fonti varie

Ancora una volta sono l’area emiliana e la città metropolitana bolognese a presentare i valori più elevati, le aree appenniniche e quella ferrarese mostrano la dotazione inferiore.

È interessante notare che, a differenza di quanto si era visto per le altre forme di capitale, tutte le aree con l’eccezione di quella emiliana mostrano un peggioramento rispetto al passato, una flessione che risulta particolarmente accentuata nell’area metropolitana bolognese.

La distribuzione assunta dalle aree vaste relativamente al capitale sociale presenta analogie con quella dello sviluppo. Resta da capire la relazione tra queste due variabili. Dalle analisi realizzate, la capacità relazionale - tra le persone così come tra le imprese – pare essere il fattore trainante lo sviluppo, benché il suo apporto non sia oggettivamente quantificabile. In un suo recente scritto Zamagni afferma: “Dilatare l'orizzonte della ricerca fino a includervi il valore di legame è oggi una grande sfida intellettuale per l'economia, e ciò per la fondamentale ragione che la relazione tra le persone è di per sé un bene che, in quanto tale, genera valore”.

Nel documento Rapporto 2008 (.pdf 10,0mb) (pagine 37-41)