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Il capitale umano

Nel documento Rapporto 2008 (.pdf 10,0mb) (pagine 32-37)

1.1.5.1. Quarto numero: 53,3 per cento.

Il quarto numero, scelto per raccontare il capitale umano, è 53,3 per cento corrispondente alla percentuale di diplomati e di laureati che, secondo le previsioni delle imprese, verranno assunti nel corso del 2008. Rispetto a soli tre anni prima si registra un significativo incremento di occupazione qualificata, quasi dieci punti percentuali, ad ulteriore testimonianza dell’innalzamento qualitativo dell’economia regionale, tendenza già emersa nell’analisi del capitale tecnico. La crescente richiesta di diplomati e laureati va correlata all’aumento delle imprese manifatturiere nei settori a media ed alta tecnologia ed a quello delle aziende che operano nei comparti del terziario ad alto contenuto di conoscenza.

1.1.5.1. La domanda delle imprese di occupazione qualificata e suddivisione della forza lavoro per formazione scolastica

La domanda delle imprese di occupazione qualificata La forza lavoro suddivisa per formazione scolastica

34,5

Fonte: Area studi e ricerche Unioncamere Emilia-Romagna su dati Excelsior (Unioncamere e Min. Lavoro) ed Eurostat.

Tuttavia, nonostante la dinamica positiva, permane una composizione della forza lavoro che si caratterizza per una elevata percentuale di occupati con un livello di istruzione scolastica medio-bassa.

Sulla base della classificazione internazionale utilizzata per comparare i sistemi di istruzione dei diversi Paesi, l’Emilia-Romagna presenta una percentuale di forza lavoro laureata del 15 per cento. Rispetto alle aree europee che per dimensione e struttura economica più le si avvicinano il valore dell’Emilia-Romagna è superiore solamente a quello della Lombardia, mentre risulta nettamente inferiore alla Catalogna, alla regione francese del Rhône Alpes e ai länder tedeschi.

1.1.5.2. La domanda delle imprese di occupazione qualificata e suddivisione della forza lavoro per formazione scolastica Composizione della forza lavoro per formazione scolastica. Un confronto con le regioni europee che per dimensione, performance e struttura socio economica presentano valori simili a quelli dell’Emilia-Romagna

47,5

Si può affermare che, più che nella struttura produttiva sintetizzata dal capitale tecnico, ciò che ci penalizza rispetto ai principali competitor internazionali e rallenta la nostra marcia verso la società della conoscenza è la ridotta presenza di occupazione qualificata, di laureati nelle imprese.

Se, come è stato ricordato, il nostro obiettivo è fare della conoscenza un differenziale competitivo, questo significa avviare un graduale processo di sostituzione di lavori impersonali svolti da lavoratori intercambiabili con lavori che si fondano sull’intelligenza degli uomini, sulle loro differenze ed unicità. Il differenziale competitivo va ricercato nella capacità delle persone, nella loro creatività, nel loro talento.

È questo il tema sul quale si gioca buona parte della capacità di dare vita a sistemi locali per l’innovazione capaci di competere a livello mondiale. Siamo in grado di “produrre” persone creative e talentuose e, nel caso, siamo in grado di riconoscerle e valorizzarle?

Alla domanda se nel nostro sistema vi sono le condizioni per favorire la crescita di persone dotate di creatività, se vi sono quegli strumenti cognitivi e culturali necessari per coltivare abilità e talenti, la risposta potrebbe essere positiva. Tuttavia, sarebbe necessario aggiungere che spesso si tratta di potenzialità inespresse, che trovano ostacoli a partire già dal sistema educativo, in una società che trasmette falsi valori, in un sistema economico che il più delle volte antepone alla meritocrazia altri criteri valutativi. L’elenco potrebbe proseguire a lungo, abilità e talenti non si sviluppano se non trovano terreno fertile e condivisione nell’ambiente circostante, nelle persone, nelle risorse.

Posto in questi termini, risulta evidente che l’evoluzione verso la via alta dello sviluppo è soprattutto un’evoluzione culturale prima ancora che del sistema produttivo. Non si tratta di un’affermazione particolarmente nuova, l’economista Richard Florida1 nel suo modello di sviluppo basato sulla creatività e sulla formula delle tre T, pone l’accento sull’innovazione (Tecnologia), sulla qualificazione del capitale umano (Talento) e sulla Tolleranza, in quanto l’apertura culturale è da considerare a tutti gli effetti fattore di sviluppo. Per Florida nell’economia della conoscenza le persone costituiscono la componente più rilevante e la vera sfida è rappresentata dalla capacità di creare un "habitat creativo, capace di favorire il dispiegamento e lo sviluppo della creatività delle persone".

Riuscire a dare vita ad un habitat creativo, lo stesso obiettivo posto dalla Commissione europea con riferimento ai cluster urbani per l’innovazione, creare le condizioni per un ambiente dove le idee possano svilupparsi e circolare, dove le abilità delle persone siano riconosciute e valorizzate. Un obiettivo che sembra essere ancora lontano. Come afferma Rullani2,“[…] non conta essere bravi e avere buone idee, se poi non si riesce a moltiplicarne l’uso attraverso l’espansione delle reti e delle filiere con cui si lavora.

Quanti nostri laureati cercano di vendere buone idee a imprese (locali) che non sono pronte per raccogliere e rilanciarle? E che offrono condizioni di valorizzazione tali da deprimere le statistiche della loro produttività e quelle dei loro redditi? Se la produttività non cresce è perché ci siamo rassegnati a usare le buone idee prodotte dalla flessibilità e dalla creatività in circuiti ristretti, in cui finiscono per appassire, senza generare valore. La parola d’ordine dunque è: liberiamo le (buone) idee dai prodotti, dalle aziende, dai settori, dai distretti, dai paesi in cui sono prigioniere. Facciamo girare le idee rendendole vendibili o condivisibili a scala ampia con le risorse di Internet e della globalizzazione, appoggiandole ai brevetti, ai significati, ai marchi, alle reti commerciali, in proprietà, in alleanza o in franchising. E rompiamo le monoculture locali e settoriali che hanno fatto bene ai distretti in passato e che oggi sono la loro maggiore malattia. Facciamo cioè correre ciascuna (buona idea) verso il suo intero potenziale di valore, andando a cercare, nel mondo, tutti coloro che potrebbero trarre utilità dal suo impiego. Clienti potenziali, magari molto diversi da quelli attuali, di oggi. Comunità epistemiche che siano capaci di propagare nel mondo uno stile di vita o un modo di pensare e sentire il mondo di oggi. Users lontani o di altri settori. Impieghi a cui non abbiamo ancora pensato, ma che restano latenti, fonti nascoste di valore.

Basta con la coscienza infelice di un capitalismo che lascia andare le cose, e poi si piange addosso perché sembra che gli manchi tutto (dalla tecnologia alle grandi dimensioni di impresa). Nelle statistiche della nostra scarsa produttività leggiamo le difficoltà che incontriamo nel dare valore alle idee prodotte dal nostro lavoro, ossia dalla nostra intelligenza tecnica e dalla nostra intelligenza fluida. Che ci sono, in potenza, ma potrebbero essere usate meglio. Perché una cosa deve essere chiara: in un mondo

1 Si rimanda al sito http://creativeclass.com/

2 Tratto da “Il mistero produttività: la coscienza infelice del capitalismo all’italiana” http://www.firstdraft.it/wp-content/uploads/2008/06/il-mistero-della-produttivita.pdf

complesso e fluttuante, come il nostro, il futuro non si prevede. Si fa. Credendo nelle proprie idee, facendo gli investimenti relativi e prendendosi i rischi che servono”.

1.1.5.2. Il capitale umano nelle aree vaste

Generalmente, quando ci si riferisce al capitale umano s’intende lo stock di conoscenze e qualifiche tecniche insite nell’occupazione e derivanti dagli investimenti in istruzione e formazione. In questo studio, come fatto per le altre forme di capitale, il significato viene ampliato per includere altri fenomeni ed indicatori. Oltre ai dati relativi alla formazione e all’istruzione vengono incluse statistiche inerenti la partecipazione al mercato del lavoro ed altri tassi di occupazione e disoccupazione.

Per quanto affermato precedentemente appare chiaro che si tratta di una misurazione parziale, che non tiene conto di aspetti fondamentali, quali talento e creatività. Ad oggi non esistono statistiche pienamente soddisfacenti in grado di misurare gli aspetti più qualitativi e qualificanti del lavoro, soprattutto quando si scende ad un livello disaggregato come quello comunale. Tuttavia, pur con queste limitazioni, le informazioni raccolte consentono di evidenziare alcune differenze territoriali nella dotazione di capitale umano.

1.1.5.3. Tasso di occupazione e percentuale di laureati. I 341 comuni dell’Emilia-Romagna suddivisi in 5 gruppi di uguale numerosità (quintili), ad aree più scure corrispondono valori più elevati.

Tasso di occupazione Percentuale di laureati

Fonte: Area studi e ricerche Unioncamere Emilia-Romagna su fonti varie

Come visto per altri indicatori relativi al capitale tecnico, sono i comuni che circondano i capoluoghi di provincia dell’Emilia-Romagna a presentare tassi di occupazione superiori. I valori più bassi, come prevedibile, appartengono alle aree appenniniche, all’area ferrarese e a quella piacentina. In tutte le aree vaste, anche alla luce delle specializzazioni produttive, i tassi di disoccupazione si attestano su valori modesti.

1.1.5.4. Mercato del lavoro: Tasso di attività, tasso di occupazione e tasso di disoccupazione. Anni 2001-2005

Anno 2005 Anno 2001

Tasso di attività

Tasso di occupaz.

Tasso di disoccupaz.

Tasso di attività

Tasso di occupaz.

Tasso di disoccupaz.

Appennino emiliano 49,1% 47,4% 3,3% 47,8% 45,9% 3,8%

Appennino romagnolo 52,2% 50,3% 3,7% 51,4% 49,4% 3,9%

Città ferrarese 53,1% 50,5% 5,0% 50,9% 48,4% 5,0%

Città adriatica 53,9% 51,1% 5,1% 51,2% 47,9% 6,5%

Area romagnola 53,4% 51,6% 3,5% 53,1% 51,1% 3,8%

Area piacentina 51,4% 49,2% 4,1% 50,6% 48,5% 4,1%

Area emiliana 56,5% 54,5% 3,6% 55,5% 53,4% 3,6%

Città metropolitana bolognese 52,8% 51,4% 2,7% 52,4% 50,4% 3,8%

Emilia-Romagna 53,9% 51,8% 3,8% 52,7% 50,5% 4,2%

Fonte: Area studi e ricerche Unioncamere Emilia-Romagna su fonti varie

Le differenze tra le aree diventano marcate se si considera il titolo di studio della popolazione.

Emergono tre gruppi, agli estremi le aree appenniniche - dove i laureati non raggiungono il 5 per cento della popolazione – e, all’opposto, l’area metropolitana bolognese dove l’incidenza dei possessori di titolo universitario supera il 14 per cento.

Sulla base dei dati relativi all’occupazione e alla formazione è stato calcolato un indicatore sintetico del capitale umano. La città metropolitana bolognese e la città emiliana si confermano, anche per quanto riguarda il capitale umano, con valori superiori alla media regionale. In particolare l’area di Bologna e dintorni si distacca nettamente dal resto dell’Emilia-Romagna. La città adriatica e quella romagnola avvicinano l’area emiliana e sopravanzano quella piacentina.

1.1.5.5. Formazione scolastica: Popolazione con scuola obbligo, con diploma e con laurea. Anni 1991-2001

Scuola obbligo Diploma Laurea

Incidenza variazione Incidenza variazione Incidenza Variaz.

Appennino emiliano 69,9% -14,2% 25,4% 51,1% 4,7% 171,2%

Appennino romagnolo 69,4% -12,6% 25,8% 41,3% 4,8% 108,8%

Città ferrarese 65,2% -13,9% 27,6% 34,6% 7,2% 90,5%

Città adriatica 60,5% -14,8% 31,1% 26,2% 8,4% 94,2%

Area romagnola 60,6% -14,9% 30,7% 26,9% 8,7% 90,1%

Area piacentina 62,1% -15,1% 29,9% 29,6% 8,0% 113,6%

Area emiliana 61,9% -14,6% 29,6% 28,8% 8,5% 89,0%

Città metropolitana bolognese 55,6% -17,0% 30,3% 21,8% 14,1% 73,3%

Emilia-Romagna 61,7% -14,8% 29,4% 28,9% 8,9% 87,5%

Fonte: Area studi e ricerche Unioncamere Emilia-Romagna su fonti varie

Nel considerare questa statistica occorre tenere presente che si riferisce ad una situazione oramai datata – al 2005 per quanto riguarda l’occupazione mentre risale al 2001 l’ultimo dato disponibile a livello comunale per quanto concerne la formazione - e che, come si è visto, non vi è perfetta coincidenza tra popolazione residente e occupati in quel territorio. Diventa difficile quindi collegare, per ciascuna area vasta, l’indicatore del capitale umano con quello del capitale tecnico, non è possibile mettere in correlazione i cambiamenti nella struttura produttiva con quelli relativi al livello di istruzione.

Restano le considerazioni di fondo, la composizione della forza lavoro rimane sbilanciata verso figure professionali non particolarmente qualificate, talenti e creativi faticano ad affermarsi all’interno di un sistema che si muove seguendo ancora logiche lontane da quanto richiesto per essere competitivi.

1.1.5.6. La dotazione di capitale umano nelle aree vaste. Valore 2007 dell’indice (Emilia-Romagna = 0) e variazione 2002-2007

Emilia-Romagna Città piacentina

Città emiliana

Città metrop.

bolognese App.emiliano

Città ferrarese

Città romagnola App.romagnolo

città adriatica Variaz.

Indice

Fonte: Area studi e ricerche Unioncamere Emilia-Romagna su fonti varie

Nel pensare all’Emilia-Romagna che verrà, nella metamorfosi che interesserà i sistemi territoriali, la qualità del capitale umano discenderà prima di tutto da quanto si riuscirà ad evolvere culturalmente, un percorso che può essere agevolato creando le condizioni ideali per la nascita e la diffusione delle idee,

innalzando il livello formativo degli occupati, dando spazio al talento ed alla creatività, riconoscendo pari dignità ad ogni professione, escludendo ogni modalità non fondata sulla meritocrazia, considerando gli investimenti sulle persone – non solo per quanto riguarda la formazione, ma anche con riferimento al benessere del lavoratore – come fattore di crescita per l’azienda e per l’intero sistema territoriale.

In caso contrario, il rischio che si corre è che la vera risorsa scarsa dei prossimi anni sia la mancanza di abilità, di talento e di creatività.

Nel documento Rapporto 2008 (.pdf 10,0mb) (pagine 32-37)