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Il comparto delle foraggere

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4.5 Il comparto delle foraggere

Come già accennato nell’introduzione di questo capitolo, si è scelto di vertere l’attenzione anche sulla foraggicoltura, non solo perché la superficie irrigata a foraggere corrisponde ad una porzione considerevole dell’intera SAU irrigata regionale, ma soprattutto perché la maggior diffusione dell’irrigazione nelle aziende potrebbe generare taluni benefici di ordine economico. La trattazione di questo paragrafo si svilupperà cercando di mettere in luce i maggiori problemi che allo stato attuale stanno affliggendo il comparto zootecnico-foraggero ed il ruolo che l’irrigazione potrebbe rivestire in un futuro prossimo nel mitigare l’entità di questi fattori che stanno minando le buone prospettive di sviluppo del comparto.

In Sardegna insiste la maggior parte della superficie nazionale investita con piante foraggere. Gli oltre 1,2 milioni di ettari ricoperti con colture da foraggio, rilevati nel 2007, rappresentano circa il 20% dell’intera SAU italiana. Per quanto sia difficile stimare in quale misura la produzione delle foraggere sia destinata ai vari comparti zootecnici, non vi è dubbio che – sulla base dell’evidenza empirica - almeno tre quarti della superficie sono appannaggio dell’allevamento ovino che rappresenta, come più volte ricordato, il comparto di punta dell’economia agro-zootecnica della regione.

Rispetto al 1999, si consta che la superficie complessiva destinata alla foraggicoltura è sostanzialmente immutata (Tabella 4.13). Essa risulta, comunque, parecchio contratta rispetto a quanto registrato fino agli inizi degli anni ’90, quando la SAU con foraggere superava abbondantemente il milione e mezzo di ettari.

Negli ultimi decenni – come si è accennato nel capitolo 1 - si è assistito infatti ad un ridimensionamento della pastorizia, causato in primo luogo dall’abbandono dell’attività da parte di molti imprenditori. I terreni abbandonati il più delle volte non sono stati oggetto di riconversione colturale e ciò ha contribuito in modo consistente a determinare una diminuzione della SAU complessiva in Sardegna durante gli anni ‘90.

Tab. 4.13 - Superficie investita a foraggere. Anni 2007 e 1999

Coltura Superficie 2007 Superficie 1999

ha % ha % Δ 07-99 (%) Erbai 126.244 10,3% 125.031 10,2% 1,0% Mais ceroso 5.507 0,4% 5.430 0,4% 1,4% Orzo in erba 20.850 1,7% 21.894 1,8% -4,8% Orzo ceroso 101 0,0% 102 0,0% -1,0% Loietto 2.990 0,2% 3.100 0,3% -3,5% Altre specie 21.718 1,8% 19.800 1,6% 9,7% Erbai polifiti 75.078 6,1% 74.705 6,1% 0,5% Prati avvicendati 18.488 1,5% 17.358 1,4% 6,5% Erba medica 11.635 1,0% 11.413 0,9% 1,9% Sulla 1.678 0,1% 1.667 0,1% 0,7% Altre specie 1.785 0,1% 661 0,1% 170,0% Prati polifiti 3.390 0,3% 3.617 0,3% -6,3% Foraggere permanenti 1.079.180 88,2% 1.081.687 88,4% -0,2% Prati 15.260 1,2% 14.950 1,2% 2,1% Pascoli 1.063.920 86,9% 1.066.737 87,1% -0,3% Totale foraggere 1.223.912 100,0% 1.224.076 100,0% 0,0% Fonte: ns. elaborazioni su ISTAT (2007c)

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Non vi è dubbio, comunque, che pur se non vi sono stati apprezzabili cambiamenti della superficie interessata durante il decennio in corso, il settore dell’allevamento, soprattutto quello ovino, sta attraversando una fase difficile sotto il profilo economico. Da un parte, la crisi del mercato del Pecorino Romano - prodotto per la realizzazione del quale viene destinato oltre il 50% del latte prodotto ovino prodotto nell’isola – e dei formaggi ovini in generale e, dall’altra, il sensibile aumento dei costi di produzione e lo sviluppo di talune epidemie – la più importante delle quali è senz’altro la

Blue Tongue per gli ovini - hanno determinato negli ultimi anni profonde incertezze circa le prospettive

future delle aziende ad indirizzo zootecnico-foraggero, soprattutto per quanto concerne l’allevamento ovino.

Sul versante dell’offerta, il fattore principale che ha influito sul mercato del Pecorino Romano è la riduzione del cambio Dollaro/Euro, che ha portato ad un ingente deprezzamento del dollaro nel corso degli ultimi anni. Se si considera che circa il 60-70% della produzione regionale di Pecorino Romano è esportata negli Stati Uniti, è ben intuibile quali ripercussioni negative tale deprezzamento ha generato sul piano del prezzo (Idda et al., 2006a). A ciò si aggiunga il fatto che è diminuito il livello di sostegno garantito dalla PAC ed è aumentata la concorrenza sul mercato statunitense dei formaggi ovini a pasta dura prodotti in altri paesi, soprattutto provenienti dall’Europa orientale.

Sul fronte dei costi, invece, la crisi energetica e la spinta inflazionistica generatesi nell’ultimo biennio hanno determinato un sensibile incremento del prezzo di molti fattori della produzione (mangimi, fertilizzanti, antiparassitari, carburante, ecc.), in alcuni casi addirittura raddoppiato nell’arco di pochi mesi.

Relativamente a quest’ultimo aspetto, si deve sottolineare come molte aziende operano oramai con l’obiettivo di minimizzare i costi variabili. Tale scelta strategica – rappresentativa della gravità della crisi – è diffusamente adottata perché, da un lato, il comparto si muove in un mercato altamente concorrenziale ed il prezzo del latte ovino è una variabile sulla quale l’imprenditore può fare leva in misura molto marginale e, dall’altro lato, perché l’allevamento della pecora sarda – di cui è nota l’elevata attitudine lattifera – storicamente consente di modulare l’entità del gregge e di talune spese varie in misura piuttosto elastica (Casu, 1971; Benedetto et al., 1996; Idda et al., 2006b)27. Alcune

aziende stanno addirittura limitando il più possibile le spese, spingendo la produzione solamente fino ad un livello tale che consenta di coprire almeno i costi fissi.

Ciò che più preoccupa di questa crisi è, inoltre, che le aziende che paiono soffrirne maggiormente sono quelle di più grande dimensione economica e meglio organizzate. Si tratta, cioè, delle imprese che operano su ampia scala di produzione, sono strategicamente rivolte al mercato – sia per quel che attiene all’esitazione dei prodotti realizzati in azienda, sia all’acquisto dei mezzi tecnici – e mostrano un’apprezzabile propensione all’innovazione. La scelta di minimizzare i costi è in queste imprese difficilmente percorribile in virtù del volume di investimenti realizzati e dell’apparato organizzativo che non consente di modulare la produzione con la stessa elasticità delle imprese di più piccola dimensione e che adottano sistemi di produzione a carattere più estensivo.

Tra le misure che potrebbero contribuire ad attenuare la crisi del comparto zootecnico in Sardegna, in particolare di quello ovino, si può individuare il maggior ricorso all’irrigazione al fine di aumentare la produzione foraggera a costi più contenuti. Pur consapevoli che una più ampia e razionale diffusione dell’irrigazione nelle imprese di allevamento sarde potrebbe comportare costi notevoli per la

27 Il prezzo del latte ovino è da alcuni anni oggetto di un accordo tra trasformatori privati e produttori. Il prezzo minimo è fissato di campagna in campagna ed esso, seguendo determinati parametri, può essere maggiorato in funzione delle caratteristiche qualitative del latte. Per quanto attiene al latte conferito alle cooperative, il prezzo risulta solitamente più remunerativo rispetto a quello applicato dai caseifici privati, per quanto, come noto, esso includa pure la remunerazione di altri costi associati alla produzione.

realizzazione e la gestione delle strutture e delle infrastrutture irrigue, è pur vero che in un’ottica macrosistemica e di lungo periodo gli eventuali benefici generati potrebbero essere superiori ai costi.

Spesso nel passato, pure recente, spesse volte la pastorizia è stata ritenuta tra le attività maggiormente responsabili dello spreco di acqua. Tale accusa veniva mossa per il fatto che non erano poche le aziende che utilizzavano acqua fornita dalla rete consortile in modo poco razionale, irrigando le terre anche quando non necessario e con volumi di una certa consistenza.

Alla base di questo comportamento si ponevano due ragioni: in prima istanza, il contributo irriguo al Consorzio di pertinenza che, in mancanza di contattori, veniva corrisposto per ettaro-coltura – e quindi indipendentemente dai volumi erogati – ed, in seconda istanza, la falsa ma diffusa consapevolezza da parte di molti foraggicoltori che la produttività dei pascoli sia sempre direttamente proporzionale alla quantità di acqua somministrata.

L’installazione diffusa dei contatori da parte degli Enti che erogano, l’adozione del criterio del volume effettivamente distribuito per il pagamento dell’acqua ed una presenza maggiore da parte dei responsabili dell’assistenza tecnica hanno attenuato di molto tale comportamento e favorito un uso più efficiente e razionale dell’irrigazione nella pastorizia. Da notare, per esempio, come negli ultimi anni sia aumentata la superficie investita a prato (+6,5% dal 1999 al 2007) e ciò, almeno in parte, può testimoniare che l’acqua sia ora meglio impiegata (Tabella 4.13).

In prospettiva futura, comunque, sarebbe opportuno che l’irrigazione fosse pratica ancor più diffusa nelle imprese zootecniche regionali, al fine di migliorare le performance produttive ed economiche delle aziende.

In primo luogo, come già accennato, l’irrigazione di almeno qualche parcella di terreno permetterebbe di aumentare la produzione di colture irrigue quali il mais e la medica allo scopo di produrre insilati ed altri mangimi concentrati a rendimento più elevato rispetto al pascolo naturale ed al foraggio. La produzione di insilati e concentrati in Sardegna è piuttosto modesta e la grande maggioranza delle aziende che ricorrono a questo tipo di alimenti si approvvigionano da fornitori extraregionali. Pur non si disponendo di stime precise ed accurate, il costo degli insilati è sicuramente aumentato negli ultimi anni, incidendo in misura rilevante nei bilanci delle aziende pastorali ed inducendo molte imprese a rinunciare alla somministrazione di insilati ai capi allevati. La possibilità di produrre in azienda tali alimenti rappresenta, pertanto, un’alternativa tecnica ed economica con molto probabili ricadute positive.

In secondo luogo, l’uso razionale e moderato dell’irrigazione nei pascoli potrebbe permettere di allungare il periodo di lattazione durante la stagione. Così come già avviene in alcune realtà produttive dell’isola dove tale pratica è adottata, l’acqua somministrata nei mesi più caldi e siccitosi consente di migliorare la produttività dei pascoli o di introdurre erbai primaverili-estivi nelle rotazioni colturali, con conseguente miglioramento del rendimento produttivo degli ovini ed incremento dei giorni di lattazione.

In terzo luogo, l’irrigazione permettere di intervenire in momenti di particolare stress fisiologico delle colture da pascolo in modo tale da ripristinare un’accettabile attività vegetativa.

Detto ciò, è chiaro che non si intende prospettare una totale riconversione della foraggicoltura da (prevalentemente) asciutta in irrigua. Non bisogna dimenticare che in Sardegna – in virtù di caratteristiche pedologiche, orografiche e climatiche – si è affermata un certo tipo di foraggicoltura e di zootecnia in quanto attività che ben si prestano ad utilizzare al meglio le risorse (scarse) che la natura ha messo a disposizione. Il pascolo naturale e la presenza di erbai autunno-vernini in taluni territori particolarmente svantaggiati dell’isola rappresentano forse l’unica alternativa di sfruttamento dei

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terreni ad uso agricolo. In queste ed in altre realtà, inoltre, i problemi legati all’approvvigionamento dell’acqua non possono che essere superati se non attraverso costi di investimento elevatissimi.

Ciò che viceversa si vuole suggerire è aumentare – ove si ritenga che i benefici superino i costi – la diffusione dell’irrigazione nelle aziende, anche solo su appezzamenti di piccola dimensione, per meglio fronteggiare alcune emergenze ed avere la possibilità di contrarre parte dei costi variabili.

CAPITOLO 5

A

SPETTI NORMATIVI E POLITICHE DI SOSTEGNO ALL

AGRICOLTURA IRRIGUA

In questo capitolo verrà tracciato un quadro sintetico delle principali politiche a supporto dell’agricoltura irrigua regionale. L’attenzione sarà rivolta alle misure programmatiche e di pianificazione intraprese dall’Amministrazione regionale, ai più importanti provvedimenti normativi di recente approvati in Sardegna ed ai principali effetti che si prevedono per l’agricoltura irrigua generati dalla revisione della PAC in corso (Health Check).

È opportuno premettere che, data la complessità specifica di problemi quali la gestione amministrativa e territoriale delle acque – per le ragioni legate al fatto che la risorsa sia da considerare scarsa, che vi sia competizione tra le varie utenze, che ad essa siano associate valenze di natura ambientale e di assetto del territorio e che spesso, come nell’isola, gli invasi siano multisettoriali – nell’analisi delle politiche per l’uso irriguo, non si può non tenere conto dell’intera cornice normativa ed istituzionale concernente le politiche di gestione della risorsa idrica nel suo complesso. Tanto più alla luce del concetto di gestione “ integrata” dell’acqua che da alcuni anni si è affermato in ambito comunitario e nazionale e che, oramai, è tra i principi alla base di qualsiasi strategia per la gestione della risorsa a livello locale. Pertanto, l’analisi affronterà, seppur in breve, la politica dell’acqua nel suo complesso, cercando di enucleare le misure che più o meno espressamente si rivolgono alla gestione dell’acqua nei campi.

Inoltre, una prima parte del capitolo riguarderà una breve illustrazione dei principali interventi normativi attuati dal legislatore comunitario e nazionale negli ultimi anni, al fine di meglio comprendere l’ambiente istituzionale in cui si muove l’Amministrazione regionale.