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La teoria del profilo o del contorno

IV. Educare all’emotività con il linguaggio musicale

1. Il legame tra musica ed emozioni: le principali teorie

1.2. La teoria del profilo o del contorno

Secondo la teoria del contorno l’emozione non c’è, ma noi non possiamo che percepirla: la musica è quindi triste o allegra perché essa stessa possiede i tratti espressivi e comportamentali della tristezza o dell’allegria, si «comporta» come ci comportiamo noi nelle manifestazioni rispettive.94

La studiosa riprende il paragone di Davies e delle maschere tristi: come tali maschere, oggetti inanimati privi di pensieri ed emozioni,ma che hanno caratteristiche esageratamente umane, suscitano tristezza nell’uomo così

la musica potrebbe rappresentare un caso analogo trasposto in ambito uditivo, pur con la differenza che indurrebbe a riconoscervi espressioni emotive e non solo elementi come la direzione dello sguardo o del movimento, oppure l’identità di un volto o di una voce. Ciò che la teoria del contorno sostiene, infatti, è che tendiamo ad animare uno stimolo, visivo o uditivo che sia, non solo prestandogli agentività, ma anche percependolo come un agente emozionato.95

Peter Kivy, padre della teoria del profilo, nel suo libroThe Corded Shella dottanei confronti dell’espressività musicale una posizione che può così essere sintetizzata: certe descrizioni,

94 Ivi, p. 376.

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esemplificate da frasi quali“questa musica è triste” e “questa musica esprime tristezza”, sostengono non che l’emittente del brano in questione stia esprimendo la sua tristezza, ma che ciò che si percepisce ascoltandolo è simile a ciò che si percepisce di fronte a chiesprime la sua tristezza.

L’autore sostiene che il profilo musicale assomiglia all’espressione emotiva umana perché «alcune caratteristiche musicali suonano come la voce umana emozionata: un suono acuto e stabile, brillante e scandito nella sua evoluzione temporale è tendenzialmente percepito come una voce gioiosa, mentre un suono ricco di dissonanze tende a essere percepito come

manifestazione vocale di angoscia»96.

Oltre alla somiglianza con la voce umana, altre caratteristiche che influenzano la percezione emotiva di un brano musicale sono per Kivy quelle che richiamano il movimento e il comportamento di chi sta vivendo un’emozione, tanto nella dimensione metrico-ritmica quanto nella melodia; infine, a determinare il contorno, concorrerebbe anche la dimensione

armonica,e in particolare il contrasto tra accordi maggiori, minori e diminuiti.97.Se Kivy si

esprime fin da subito criticamente su questo terzo aspetto, egli manifesta uno scetticismo progressivamente più marcato anche rispetto ai primi due punti. Continua a ritenere empiricamente fondata l’idea che tendiamo ad attribuire agentività a ciò che vediamo, dubitando però che lo stesso possa valere per le percezioni di natura uditiva: la capacità di riconoscere rapidamente un pericolo in ciò che vediamo può verosimilmente essere stata promossa dall’evoluzione naturale per il suo ovvio valore adattativo, ma a suo avviso non

96 Ibidem.

97Kivy cambierà presto opinione riguardo a questo punto, sostenendo che l’accordo non possa essere un

aspetto considerabile, in quanto in esso mancherebbe infatti l’aspetto dinamico e temporalmente esteso tipico di ogni contorno. Ad esempio, se è vero che un brano ancor oggi percepito dai più come non concluso, sospeso, possa portare al senso di disagio legato all’ascolto dell’accordo diminuito, resta da capire perché un accordo minore dovrebbe essere percepito con quella nota di malinconia, nostalgia, tristezza, che tipicamente ancora oggi gli viene associato. L’elemento culturale pare decisamente preponderante in riferimento a questo aspetto del contorno: più che percepire, si direbbe che ci sia stato insegnato ad associare un accordo a un’emozione.

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esisterebbero sufficienti dati volti ad avvalorare l’ulteriore ipotesi dell’esistenza di un analogo meccanismo che non solo funzioni in modalità uditiva, ma che sia anche sensibileagli aspetti emotivi veicolati dello stimolo. In breve, Kivy teme che un argomento così pesantemente legato a un presupposto evoluzionistico,per sua natura epistemologicamente fragile, possa non essere attendibile.

La Meini sostiene che forse, per troppa prudenza, Kivy abbia abbandonato la sua ipotesi troppo presto, proprio negli anni in cui la ricerca sperimentale iniziava a produrre dati interessanti relativi a sistemi con caratteristiche simili a quelle suggerite dall’autore, citando ad esempio il cosiddetto rilevatore emotivo(TED) diBaron-Cohen, il quale ha fornito indizi a favore dell’esistenza di un meccanismo amodale che sin dai tre mesi di vita permetterebbe al bambino di riconoscere in maniera inconsapevole emozioni semplici.

Negli anni successivi il suo pensiero cambia anche rispetto all’eventuale esperienza emotiva dell’ascoltatore:

da un lato, Kivy era e resta fermo nel negare che al riconoscimento segua un contagio emotivo, tranne in casi, che già Hanslick definiva «patologici», riguardanti personalità emotivamente fragili, oppure occasioni in cui una melodia scatena il ricordo di un’esperienza passata; poiché, pur venendo illusi dai caratteri del contorno, non crediamo davvero che la musica sia triste, l’ascolto attento – potremmo definirlo «corretto» – secondo Kivy non provocherebbe alcuna emozione. Ciò nonostante, e anche sotto la pressione delle obiezioni incontrate, egli diventa propenso a riconoscere una diversa forma di impatto emotivo. All’ascolto di musica dal profilo (per esempio) triste si tende a reagire con un ampio spettro di emozioni, che comprende in modo significativo serenità, talora un leggero e non spiacevole turbamento, non di rado gioia. Una gioia che certo non è frutto di contagio né pare una reazione per contrasto all’andamento triste del brano, ma è piuttosto la conseguenza dell’aver ascoltato qualcosa di bello (Kivy 2002). Viceversa, la musica che rattrista davvero non è quella che ha un profilo triste, ma la musica brutta.98

La qualità estetica del brano diventa quindi un criterio fondamentale per comprendere l’atteggiamento emotivo dell’ascoltatore nei confronti del brano musicale.

98Ivi, p.379.

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Davies richiama l’argomento darwiniano di Kivy, affermando che la capacità di individuare rapidamente un movimento finalizzato o un’espressione emotiva di base accresce le possibilità di sopravvivenza.

L’ascolto della musica induce l’ascoltatore a riconoscervi una direzionalità, un télos: progressione, allontanamento,tensione, attesa e ritorno, tutte caratteristiche cinetiche che associamo spontaneamente alle emozioni di base. A differenza del «primo» Kivy, Davies ritiene però che il processo automatico non termini con il riconoscimento,ma con la reazione emotiva prevalentemente di contagio. Ascoltare musica triste è come entrare in una stanza piena di maschere tristi. Ma allora, perché continuiamo ad ascoltarla? A differenza di altri autori (es. Levinson 1990), Davies non ha una vera spiegazione, né la cerca: siamo fatti così, né si tratta dell’unico caso in cui diamo prova di lanciarci senza indugio in esperienze di grande gioia e sofferenza.99

Un altro punto di contatto tra i due studiosi è il fatto che entrambi sostengono che il fenomeno da loro individuato in ambito musicale sia rinvenibile anche in alcune circostanze extramusicali: Kivy, come abbiamo visto,cita come esempio la frase “il muso del San Bernardo è triste”, mentre Davies si concentra sull’enunciato “quella persona ha un aspetto triste”. L’uso dei nomi delle emozioni nelle frasi di questo tipo è un’estensione del loro uso più comune:mentre, in senso stretto, la frase “egli è triste” implica che tale soggetto provi tale emozione e sia triste nei confronti di un qualche oggetto, per estensione tale frase può essere usata senza avere tali implicazioni e, invece, semplicemente per riferire di un soggetto nelle cui apparenze, ovvero in ciò che se ne può percepire, è presente qualcosa delle apparenze dell’espressione di tale emozione.

A suo parere, quando si pronunciano frasi quali “questa musica è triste” si sente un’analogia tra il movimento percepito ascoltando il brano in questione e i movimenti che, come componenti del comportamento di una persona, ci fanno dire che tale persona è triste: in altri termini, nel movimento musicale viene percepito qualcosa che è presente anche nei movimenti che sono espressioni ditale emozione.

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Al di là delle lievi differenze tra le due teorie, entrambe, in sintesi,affermano che un frammento musicale è espressivo di un’emozione quando èsimile all’espressione umana spontanea di tale emozione.

Se Davies non si ostina a cercare una spiegazione a questa condotta umana, diverso è l’approccio di Daniel Stern: egli sostiene che ogni essere umano che non venga lasciato a sé stesso, a partire da quando ha due mesi di vita, vive l’esperienza di essere con un altro che lo aiuta a regolarsi, cioè un tipo di esperienza resa possibile solo dalla presenza e dalla mediazione interattiva di un altro. Questo tipo di esperienza,una volta sperimentato, viene spesso desiderato, e tale desiderio può essere soddisfatto non solo quando effettivamente ci si trova di fronte a un altro essere animato, ma anche di fronte a un essere inanimato in grado di assolvere alcune delle sue funzioni, che diventa una cosa-persona regolatrice del Sé. Egli esemplifica tale idea con l’immagine dell’abbraccio al cuscino: l’esperienza di abbracciare richiede l’esistenza di un altro, sia pure in fantasia, altrimenti può essere effettuata ma non pienamente sperimentata e questo vale sia se si abbraccia un cuscino sia se si abbraccia una persona; in sintesi non importa che il cuscino non restituisca l’abbraccio, è necessaria soltanto la sua presenza fisica o la possibilità di immaginarne la sensazione e allo stesso modo non serve che si sia in presenza, in musica, di un’emozione veramente provata da qualcuno per esserne contagiati.

Nell’ambito della filosofia della musica, la relazione tra il percepire i suoni musicali e il sentire un’esperienza emotiva è stata recentemente riconsiderata da Kendall Walton, che ha indicato due loro aspetti comuni:

– in primo luogo sia i suoni che le emozioni sono ineludibili: così come non è possibile evitare facilmente di udire, ovvero non possiamo chiudere le orecchie con la stessa facilità con la quale chiudiamo gli occhi, ugualmente non possiamo evitare a comando di sentire

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agitazione, serenità o angoscia. Non possiamo scegliere quali suoni udire, anche se possiamo in parte ignorare certi suoni e prestare attenzione ad altri e analogamente, abbiamo uno scarso controllo diretto di ciò che sentiamo, a meno di cambiare la situazione o le circostanze;

– un secondo aspetto comune è poi la reificabilità: come i suoni sono reificati, ovvero oggettivizzati, così anche i sentimenti e le sensazioni sono reificate e oggettivizzate, nel senso che le concettualizziamo e concettualizziamo le nostre relazioni nei loro confronti in modi simili.

A questo proposito Frijda sostiene che tra le componenti dell’esperienza emotiva la più importante è la passività, da cui il termine passione: l’impulso emotivo e l’apatia vengono entrambi sentiti come qualcosa che non deriva da una scelta, da uno scopo che ci si sia volontariamente prefissi in precedenza.

Ad integrazione delle posizioni espresse dalla Meini, Bertinetto cita il testo di James O. Young, postumo rispetto all’articolo che abbiamo preso come riferimento,Critique of pure

musique del 2014. Qui Young riprende la «teoria del profilo» o del contorno, secondo cui la

musica è espressiva di emozioni perché assomiglia al comportamento espressivo umano, e, andando contro quei filosofi che hanno manifestato scetticismo circa l’idea che la somiglianza tra la musica e il comportamento umano spieghi l’espressività della musica, sostiene che tale somiglianza è l’effetto, piuttosto che la causa, del riconoscimento dell’espressività musicale e trova supporto in indagini psicologiche per sostenere che esistono prove empiriche di questa somiglianza a livello interculturale.

È in particolare il fatto che percepiamo la musica come movimento a supportare la tesi che ci sia una somiglianza tra musica e comportamento espressivo umano e a corroborare l’ipotesi che questa somiglianza sia la causa dell’espressività musicale (che, come emerge dai recenti studi che egli riporta, è riconoscibile anche dai neonati). Su questa base Young – e qui sta la radicale differenza dal formalismo di Kivy – offre una plausibile spiegazione delle cause della relazione tra il carattere espressivo della musica e le emozioni provate dagli ascoltatori:si tratta della tradizionale tesi disposizionalista, che Young difende con argomenti convincenti (che respingono

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alcune obiezioni «cognitiviste»di Kivy), secondo cui la musica può suscitare emozioni poiché, in virtù della sua somiglianza con il comportamento umano, è espressiva di emozioni (peraltro non è detto che le emozioni espresse e quelle suscitate siano le stesse, ma qui ignorerò questo punto). È ragionevole sostenere che la musica suscita emozioni, perché essa provoca stati corporei simili a quelli causati da condizioni incontrate dalle persone nel corso della loro interazione con il loro ambiente non-musicale, la cui percezione è caratterizzata come emozione. Inoltre, le percezioni degli stati corporei eccitati dalla musica sono fenomenologicamente simili alle percezioni degli stati corporei che recano traccia delle condizioni ambientali. Così, per esempio, certa musica eccita stati corporei che sono simili agli stati che recano traccia di minacce nell’ambiente (questi stati includono postura, pressione sanguigna, respirazione, temperatura delle dita, ecc.) (Young 2014, 43). Che il carattere fenomenologico degli affetti causati dalla musica non sia identico a quello delle emozioni che proviamo in altri contesti non è problematico: la ragione di ciò è che le emozioni provocate dalla musica sono meno intense e più transitorie di quelle che proviamo in altre circostanze (e questo, peraltro, può fornire un argomento a favore della possibilità di godere esteticamente di musica triste). Il punto fondamentale è che «gli stati fisiologici degli ascoltatori variano con le proprietà espressive della musica» (Young 2014, 58); poiché tali stati sono connessi a differenti emozioni, è falso che l’unica emozione rilevante circa il carattere espressivo della musica sia l’«emozione estetica»di Kivy. Anzi, il valore estetico della musica dipende anche dalla sua capacità di mostrare che cosa significa fare esperienza di certe emozioni,presentando prospettive su tali emozioni grazie al fatto di eccitarle nell’ascoltatore (cfr. Young 2014, 150-183).100

Meini in particolare contesta che il solo modo con cui la musica genera emozioni sia il contagio: in questo concorda con Young, che osserva che la musica eccita emozioni in diversi modi, alcuni immediati e inconsapevoli per l’ascoltatore, altri riflessivi e consapevoli.