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Nascere alla musica: il mondo sonoro del bambino

III. Il valore educativo del linguaggio musicale

2. La musica come oggetto mediatore con gli altri e con se stess

2.1. Nascere alla musica: il mondo sonoro del bambino

Prima ancora della nascita, un rapporto collega le suggestioni sonore che costellano la vita intrauterina e il nascere delle emozioni: è stato infatti dimostrato da vari studi che suoni, rumori e fonemi (battito cardiaco,flusso sanguigno, respiro, borborigmi, ritmo sonno/veglia, e soprattutto la voce materna), dapprima solo percepiti e poi uditi all’interno del ventre materno attraverso le vibrazioni trasmesse dal liquido amniotico, sono in grado di influenzare il mondo affettivo del bambino.

In particolare, il suono della voce materna, in alternanza con il silenzio, può fornire al bambino una proto-esperienza di presenza e assenza della madre: tale esperienza può, da un lato, dar luogo a primitive reazioni di difesa e, dall’altro, diventare la base per lo sviluppo delle capacità sonoro-uditive del bambino.

I suoni e i rumori formano una sorta di sfondo, di banda sonora che accompagna, fin dai primissimi momenti la vita e, a sottolineare la centralità del suono, basti pensare che il bambino, appena nasce, manifesta la sua presenza proprio con un segnale sonoro, ovvero il vagito.

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Una sorta di sensorialità ‘uditiva’indefinita è registrabile fisiologicamente nel feto già nella seconda settimana di gravidanza; tuttavia è attorno al terzo mese di gestazione che esso acquisisce una vera e propria capacità uditiva vestibolare grazie alla quale riesce a percepire i suoni a bassa frequenza prodotti dal battito cardiaco, dall’apparato digestivo e dalla respirazione della madre; intorno al quarto mese, infine, raggiunge una capacità percettiva cocleare attraverso la quale riesce a carpire le altezze medio-alte dei fonemi della voce materna: si è osservato che mentre i primi (specialmente battito cardiaco e ritmo respiratorio) hanno l’effetto di sedare il bambino, i secondi (soprattuttoquando la mamma parla a voce alta) al contrario ne accentuano i movimenti.

L’udito rappresenta quindi l’unico, tra i cinque sensi, a mettere in contatto il feto con il mondo esterno, facendo percepire i suoni e i rumori prodotti al di fuori del ventre materno. Il bambino non solo effettivamente ascolta, cioè indirizza scientemente l’udito verso fonti sonore, ma soprattutto, e vari studi lo hanno dimostrato, memorizza ciò che ha ascoltato e costruisce un vero e proprio codice sonoro sul quale poggerà il suo linguaggio futuro: egli recepisce e conserva in sé non solo tracce della linea melodica e ritmica della lingua materna, ma anche delle inflessioni e modulazioni personali della voce della madre, alle quali si aggiungeranno poi le sue proprie e inconfondibili caratteristiche individuali.

Sul piano della produzione di suoni, è un grido ad inaugurare la capacità espressiva sonora vocale del bambino, grido che poi si articolerà in pianti dalle tonalità più svariate, per diversificarsi poi in gorgoglii, gorgheggi, vocalizzi e balbettii fino ad arrivare alla parola. Tuttavia, ancora prima della parola, è il continuum delle espressioni sonore che si scambiano madre e figlio il mezzo grazie al quale il legame prenatale trova una continuità immediata con il “dopo”, fin dal primo istante di vita nel mondo: i neonati di soli tre giorni di vita

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solitamente riconoscono,probabilmente grazie all’intonazione, e preferiscono, la voce materna rispetto a quella di altre donne e alla voce paterna.

Questo rappresenta l’avvio dell’incantamento operato dalla voce e dalle melodie: ciascuno di noi avrà sperimentato nella propria vita, sia a livello di produzione che di ricezione, il particolare potere che, la voce materna prima e una varietà di melodie poi, possono avere su un bambino.

Dopo la nascita, i neonati sono già sensibili alle componenti ritmiche del linguaggio e possono distinguere tra lingue che hanno caratteristiche ritmiche diverse, mostrando una preferenza per le lingue con caratteristiche prosodiche simili a quelle della lingua materna. Allo stesso modo, i bambini sviluppano molto precocemente la sensibilità alla musica: a due mesi per il ritmo e a sette mesi per il metro. Queste caratteristiche ritmiche sono utilizzate come informazioni rilevanti perla segmentazione del linguaggio parlato che porterà all’acquisizione delle parole, ancor prima che i bambini possano distinguere i suoni consonantici e utilizzare le informazioni distribuzionali dei fonemi.82

Per il bambino la musica assume quindi vari ruoli: lo aiuta nella comunicazione e nell’approdo all’uso del linguaggio parlato; gli permette di capire che esiste qualcosa di altro da sé, mettendolo in relazione, fin dalla sua vita intrauterina, con il mondo che lo circonda; infine garantisce un collegamento fra il suo mondo interiore e il mondo esterno, data dalla continuità sonora tra i due.

Per questo numerosi studi si sono ultimamente dedicati al rapporto dei bambini con la musica, perché si tratta di un legame essenziale nello sviluppo della personalità, alla base, ad esempio, della differenziazione tra il sé del bambino e ciò che egli comincia a percepire come un sé autonomo e distinto, ovvero il sé della madre e anche tra sé e il mondo esterno.

Tutto questo è reso possibile perché il linguaggio musicale stimola una risposta emotiva di piacere e rende quindi i bambini più attenti e sensibili:

Il gradimento, insieme a una fine sensibilità per certe caratteristiche sensoriali e strutturali degli stimoli musicali, sono invece presenti negli esseri umani fin dai primi giorni di vita. È osservazione comune, confermata da risultati sperimentali, che la comunicazione musicale induce nei neonati

82C.DEGUCHI,R.CUBELLI, Musica e linguaggio: due sistemi che interagiscono, in «Giornale italiano di psicologia»,

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una risposta emotiva di piacere, modulandone l’attenzione, calmandoli o rendendoli più vigili. Infatti, in tutte le culture ci si rivolge ai bambini con il canto e un linguaggio melodico caratteristico. Il piacere della musica potrebbe anche essere la base dell’interesse dei neonati per il linguaggio. La sensibilità agli indici prosodici, accompagnato da coinvolgimento emotivo, ha infatti grande importanza per l’apprendimento iniziale del linguaggio perché permette di bambini di acquisire informazioni fondamentali per l’identificazione di sillabe, parole e frasi.83

Ma la risposta positiva dei bambini agli stimoli musicali non è legata soltanto al fatto che questi risultano per loro piacevoli, quanto anche ad una predisposizione neurologica.

Due studi, condotti da gruppi di ricerca di cui hanno fatto parte Saccuman e Andreolli, hanno investigato tramite risonanza magnetica funzionale (fMRI)i correlati neurali dell’ascolto della musica e della prosodia nel cervello dei neonati, misurando, in un primo esperimento, l’attività cerebrale di neonati di uno-tre giorni mentre sentivano brani di musica tonale occidentale e versioni alterate degli stessi brani, caratterizzati ad esempio da dissonanze. Quello che è emerso è che i due tipi di musica attivavano regioni diverse del cervello, rivelando un notevole grado di specializzazione e sensibilità percettiva ed emozionale del cervello umano per i suoni musicali.

In un lavoro successivo, è stata esplorata, sempre in neonati di pochi giorni, l’elaborazione di stimoli linguistici di diversa qualità acustica,dimostrando che sono attivi nel cervello network bilaterali simili a quelli che si osservano nei bambini più grandi o negli adulti: durante la presentazione del linguaggio parlato, i neonati mostrano attivazioni meno lateralizzate rispetto agli adulti, con dominanza dell’emisfero destro, proprio come con la musica, attivazione che diminuisce, ad esempio, se il linguaggio è solo mormorato.

Tali studi, e lo vedremo meglio nel paragrafo seguente, sembrano dimostrare non solo la sensibilità musicale precoce dell’essere umano, ma anche che il nostro apprezzamento della musica sarebbe radicato nell’organizzazione funzionale del nostro cervello.

83M.C.SACCUMAN,G. ANDREOLLI,Tra cultura e biologia: le neuroscienze cognitive dell'esperienza musicale, in

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In particolare, circuiti filogeneticamente più antichi, orientati alla sopravvivenza e alla comunicazione con i conspecifici, come quelli del reward, sono anatomicamente e funzionalmente integrati con sistemi più recenti dedicati ad analisi e riconoscimento di pattern oltre che alla generazione e verifica di previsioni e stima degli errori sulla base della conoscenza,e sono in parte gli stessi che vengono attivati dall’ascolto musicale, pur comportando anche qualche differenza:

è plausibile quindi che la musica funzioni come un segnale con valore sociale, analogamente alla prosodia, utile per interpretare intenzioni e emozioni dei con specifici. Gli studi di neuroimmagine rivelano inoltre una differenza sostanziale fra il reward legato a stimoli come cibo, denaro e sesso e le emozioni suscitate dalla musica. Solo la musica, soprattutto se evoca tenerezza,gioia, tranquillità o tristezza è associata a cambiamenti nell’attivazione dell’ippocampo, particolarmente nella porzione anteriore, legata alla risposta emotiva e alla regolazione dello stress.84

Sul versante della ricerca psico-pedagogica Francois Delalande ha indagato quali siano le ragioni del far musica, analizzando gli atteggiamenti sonoro-musicali dei bambini, prima che intervengano i condizionamenti culturali. Egli ha individuato le costanti nel comportamento musicale infantile, ipotizzando l’esistenza di tre condotte, intese come insieme di atti elementari coordinati da una finalità:

La ricerca di un piacere senso-motorio a livello gestuale, tattile come pure uditivo; un investimento simbolico dell’oggetto musicale messo in rapporto con un vissuto (esperienza del movimento, affetti) o con certi aspetti della cultura (miti, vita sociale); e, infine, una soddisfazione intellettuale che risulta dal gioco di regole”. In sintesi la musica è un gioco senso- motorio, di movimenti e percezioni che innescano il piacere della reiterazione e il gioco di esercizio, un gioco simbolico, ovvero di investimento emotivo e simbolico del suono che diviene portatore di idee, affetti, miti, visioni, infine un gioco di regole, di combinazione dei suoni, secondo una sintassi interna.85

Potremmo allargare questa analisi di Delalande al mondo musicale non solo dei bambini, ma anche degli adulti, che in effetti ritrovano nell’esperienza musicale stimoli senso-motori e simbolici, nel senso inteso dallo studioso francese, ma allo stesso tempo la presenza di regole che guidano il gioco e che devono essere seguite perché esso riesca.

84M.C.SACCUMAN,G.ANDREOLLI, Tra cultura e biologia, cit., p.444. 85G.MOCCHI, Per una pedagogia dell’uomo musicale, cit., p.34

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Ancora una volta sembra emergere che lo speciale potere della musica, alla base della grande influenza che essa ha sulla nostra vita, stia proprio nel parlare sia al bambino giocoso che all’adulto che è in noi, sia alla nostra parte emotiva che a quella analitica, sia al nostro vissuto personale che alla memoria e alla cultura condivisa con gli altri.