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II. Emozioni ed educazione

2. La sana ambivalenza delle emozion

Quando e perché nella cultura occidentale la razionalità è stata assunta a valore in contrapposizione al sentire definito irrazionale? L’emotività è stata sottostimata solo a partire dall’affermarsi di una cultura di matrice razionalistica. Il divorzio tra mente e cuore risale al pensiero cartesiano, al quale va sicuramente aggiunta l’opposizione prima platonica, poi gnostica, fra anima e corpo. La separazione tra res extensa e res cogitans consentì al filosofo e matematico francese di definire il campo della ricerca scientifica rispetto a quello della speculazione filosofica, separando oltre che la mente dal cuore anche la mente dal corpo, l’anima dal sentimento e attribuendo il pensiero alla razionalità piuttosto che alla ragione.

Oggi al contrario la scienza sa di presupporre un’embodied mind, una concezione cognitiva della mente umana e dell’umano conoscere, ove il pensiero e le emozioni non sono separabili; accadono entrambi all’interno di un medesimo corpo, in uno stesso spazio e in uno stesso tempo. Noi pensiamo con tutto il corpo. Lo stesso sistema nervoso centrale è costituito non solo dalla corteccia, ma anche da sistemi diversi, come quello limbico, comunicante contemporaneamente con la corteccia e con il resto del corpo.48

Nel capitolo precedente abbiamo già ampiamente trattato l’argomento del dualismo mente razionale-mente emotiva, ormai superato grazie alla dimostrazione dell’inseparabilità e della connessione, anche a livello fisiologico, di questi due aspetti. Tuttavia torniamo a sottolineare questo aspetto perché è sicuramente riconducibile a questo retaggio il nostro rapporto ambivalente con le emozioni, viste come qualcosa di legato ad una dimensione pulsionale, ferina ed animalesca, quindi qualcosa da evitare per privilegiare un più umano ragionamento razionale.

Come ci ricorda Oatley dovremmo invece accettare che «le emozioni a volte sono utili, altre volte distruttive: di conseguenza siamo ambivalenti nei loro confronti. La loro ambiguità e la nostra ambivalenza contribuiscono a creare una miscela esplosiva. Le emozioni sono tra le

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nostre qualità più importanti, ma in un certo senso sono in conflitto con chi desideriamo essere. Dagli antichi greci, dal tempio di Delfi, ha origine il motto «conosci te stesso». Anche se l’oracolo non lo esprimeva con chiarezza, quel che dovremmo conoscere sono i nostri sé

emotivi, le nostre emozioni».49

Lo sforzo che ci viene richiesto è duplice: da una parte accettare la scissione tra le nostre due menti, dall’altra comprendere che anche le emozioni stesse sono ambivalenti e affrontarne le conseguenze.

Non possiamo pensare né di abbandonarci al dominio delle emozioni, né di eliminarle completamente dalla nostra esistenza, ma piuttosto attraversarle e comprenderle, accettando il conflitto che è in noi tra la nostra parte razionale e quella emotiva.

Affermando il carattere costitutivamente scisso del soggetto, composto da una “società” di anime e di forze in rapporto dinamico tra di loro, Nietzsche indica, nella pluralità del soggetto, una fonte continua di tensioni, poiché le diverse componenti, occupando gerarchie mutevoli e provvisorie, si contrappongono fra di loro in modo violento.

E nelle parole di Freud, altro “maestro del sospetto”, la molteplicità delle istanze psichiche rivela in modo ancora più evidente la sua insanabile conflittualità. Io, Es e Super-Io perseguono obiettivi diversi, attraverso strategie differenziate: proprio nello spazio già occupato dal soggetto unitario e conciliato con se stesso subentra, nella teoria di freudiana, “il conflitto che costituisce il soggetto come un campo di tendenze opposte fra loro, come un campo di battaglia, come pluralità e contraddizione”. L’illusione di potersi guardare e conoscere in modo puntuale è definitivamente smascherata: il soggetto sperimenta che le dimensioni inconsce risultano invadenti, talvolta preponderanti e che comprendere fino in fondo desideri, censure, fantasie – pur largamente presenti nella vita soggettiva – è pressoché impossibile.50

L’ineliminabile conflitto interno può essere enfatizzato, negato, oppure, come auspicabile, elaborato: è qui che si gioca la differenza tra sopraffazione ed educazione. Un individuo può essere sopraffatto dalle emozioni se tende a lasciarsi andare ad esse senza porre alcun argine al loro dominio o se cerca di eliminarle, senza comprendere che esse torneranno a farsi sentire magari in modo decontestualizzato; può invece convivere con le proprie

49 K.OATLEY, Breve storia delle emozioni, cit., p. 47. 50 M.CONTINI, Elogio dello scarto e della resistenza, p.65.

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emozioni, percorrendo la via dell’elaborazione e dell’accettazione del conflitto e dell’ambivalenza.

L'incapacità di considerare l'ambivalenza delle emozioni e di elaborare le proprie tensioni aggressive dipende dal fatto che concepiamo un'idea di possibile felicità come condizione di benessere assoluto e di assenza di conflitti, impossibile da realizzarsi. Allo stesso modo concepiamo un'idea del conflitto come elemento negativo sovrapponendolo a una delle strade che possiamo scegliere per attraversarlo: quella della prevaricazione violenta rispetto all'altro per imporre il proprio punto di vista soverchiando il suo. In alternativa possiamo invece tendere a negare tale conflitto costruendoci un'immagine edulcorata dell'esistenza e del nostro microcosmo relazionale spesso ottenuta attraverso la repressione di istanze e desideri individuali per privilegiare una sorta di compiacenza adattiva verso gli altri. Esiste, però, un'altra possibile terza strada rispetto alle due possibilità dell'enfatizzare o del negare il conflitto ed è quella della sua elaborazione, del farne un elemento capace di illuminare la nostra intelligenza rendendoci possibile una lettura più complessa e profonda di noi stessi e degli altri.[…] Tutte le emozioni, quelle considerate positive e quelle considerate negative da un punto di vista etico o morale, ci parlano di noi e delle nostre strategie relazionali. Attraverso questa emozione prendiamo contatto con la nostra fragilità scoprendoci vulnerabili rispetto a determinati comportamenti altrui che ci riguardano, ma anche riusciamo a capire l'altro e quello che ci chiede, come ci considera, se il rapporto che ha con noi sia meramente d'uso o un legame affettivo disinteressato.51

Sottolineare il legame tra emozioni e strategie relazionali è importante perché ci permette di spiegare comportamenti che spesso vengono considerati come eccezioni ma che invece sono pericolosamente attuali. Maria Grazia Riva ci invita a riflettere, ad esempio, sull’ambivalenza del rapporto madre- figlio, basato sulla compresenza di amore e odio:

Questa ambivalenza tra odio e amore è molto difficile da vivere, sia come genitore sia come figlio. Tuttavia, come ci insegna Winnicott, la possibilità di riconoscere e accettare di provare odio, rabbia, aggressività verso i figli – o i soggetti in formazione in genere – diventa la condizione stessa di attraversamento e superamento di queste emozioni che il mondo chiama «negative». È necessario che una madre possa tollerare di odiare il suo bambino senza farvi niente. Essa non può esprimergli il suo odio. Se, per timore di ciò che potrebbe fare, non può odiare appropriatamente il bambino che le fa male, la madre deve ricorrere al masochismo, e io credo che sia questo che sta all’origine della falsa teoria del masochismo naturale della donna. La possibilità di legittimarsi a percepire tutta la gamma delle emozioni umane può consentire agli educatori di dare spazio sia a sé e ai propri bisogni sia ai figli o allievi. Proprio l’ascolto di queste emozioni difficili, provate da tutti quanti senza mai osare esprimerle a voce alta, può contribuire a permettere di svecchiare certi vecchi modelli pedagogici e la definizione moralistica di certi ruoli, come quello dei genitori e degli educatori. Infatti, nonostante tutto, continua a permanere diffuso il mito dell’amore materno e dei genitori che possono provare solo buoni sentimenti per i figli, nonostante i media continuamente annuncino casi di genitori che ammazzano figli e viceversa. Questi casi sono sempre considerati come un’eccezione.52

51 M.A.GALANTI, La sana ambivalenza delle emozioni e la musica, in «Pedagogia Oggi», 1, 2016, pp. 283-284. 52M.G. R

IVA, Il lavoro pedagogico come ricerca dei significati e ascolto delle emozioni, Edizioni Guerini e associati, Milano 2004, pp. 107-108.

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Legittimarsi a percepire tutta la gamma delle emozioni umane, come afferma la studiosa, è l’unico modo per evitare la deriva di comportamenti sociali eccessivi o patologici, derivati da un mancato confronto con tutta la multiformità della propria esperienza emotiva.

Come vedremo nel paragrafo successivo, la consapevolezza dell’ambivalenza emotiva è una competenza che si sviluppa nella prima infanzia, momento centrale nel percorso di educazione all’emotività, perché è in tale periodo che l’individuo inizia a dare forma al proprio mondo emotivo.