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III. Il valore educativo del linguaggio musicale

1. La musica come oggetto educativo: un breve excursus storico

1.2. Il valore educativo della musica

67 Ivi, p.146.

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Dalla musica si può apprendere un’incredibile quantità di cose utili per la vita, eppure il nostro attuale sistema di istruzione trascura del tutto questo campo, dall’asilo fino agli ultimi anni di scuola. […] L’attuale sistema della pubblica istruzione è responsabile del fatto che la maggioranza della popolazione può ascoltare quasi qualsiasi pezzo musicale a piacimento, ma è incapace di concentrarvisi pienamente.

L’educazione all’ascolto forse è molto più importante di quello che possiamo immaginare, non solo per lo sviluppo di ogni individuo, ma anche per lo sviluppo della società nel suo complesso […] L’abilità di ascoltare diverse voci insieme cogliendo l’esposizione di ciascuna di esse separatamente, la capacità di ricordare un tema che fece la sua prima comparsa per poi subire un lungo processo di trasformazione, e che ora ricompare in una luce differente, e infine la competenza uditiva necessaria per riconoscere le variazioni geometriche del soggetto di una fuga sono tutte qualità che accrescono la comprensione. Forse l’effetto cumulativo di tali capacità e competenze potrebbe formare esseri umani più adatti ad ascoltare e comprendere punti di vista diversi tra loro, esseri umani più abili nel valutare il proprio posto nella società e nella storia, esseri umani più pronti a cogliere non le differenze fra loro ma le somiglianze fra tutti.69

Se nell’attualità il maestro Barenboim, e insieme a lui molti altri, denunciano l’assenza di sensibilità e consapevolezza nei confronti del valore educativo della musica, possiamo senza alcun dubbio affermare che non è sempre stato così.

In passato alla musica, reputata di origine divina, era riconosciuta una fondamentale funzione educativa: tra il V e il IV sec. a.C. Platone e Aristotele sostenevano che differenti tipi di musica potessero modificare il carattere dei giovani; tuttavia la trasmissione orale ha causato la perdita del patrimonio musicale dell’antichità e solo pochi frammenti con notazione musicale sono pervenuti fino a noi.

Il termine mousiké aveva per i Greci una significazione assai vasta, sicuramente più ampia dell’accezione che il termine “musica” ha odiernamente, e anche se non è ben chiaro cosa precisamente tale concetto racchiudesse, con tutta probabilità con esso venivano indicate diverse discipline che si fondevano all’interno di una forma di espressione polisemica che comprendeva poesia, danza, ginnastica. Oltretutto, le notizie storiche in merito spesso si confondono con miti e fatti leggendari: tali leggende, tuttavia, lungi dall’essere solo favole, vanno accolte come vere e proprie fonti che documentano l’alta concezione che i greci avevano della musica.

69 Ivi, pp.44-45.

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Quella che noi oggi chiamiamo “musica” era inoltre destinata ad assolvere, già a partire dal VI secolo, un’altra funzione: i musicisti, che erano soprattutto poeti, scoprivano all’interno delle sequenze sonore degli effetti etici, dunque destinati a condizionare il comportamento. Accettando come dato certo il fatto che i greci conferissero un senso affettivo alle manifestazioni musicali, si è ipotizzato addirittura che essi stabilissero un codice di melodie, ciascuna delle quali costruita sulla base di un preciso modo, collegata a un determinato rito e corrispondente ad un particolare stato dell’animo.

Nel riesaminare un passo del Protagora in cui Platone parla dell’importanza dell’educazione musicale dei ragazzi, Maria Teresa Moscato osserva come il filosofo affermi che imparare a suonare la cetra sia fondamentale per esercitare una forma di controllo sulle proprie passioni, una forma di dominio di sé da cui deriva poi, per gli allievi, la capacità di non agire male e di diventare più gentili e più mansueti ad opera della musica, ovvero civilizzarsi e uscire da una rozzezza selvatica per diventare umani:

E si noti ancora come in Platone l’equilibrio e l’armonia di cui la vita dell’uomo avrebbe bisogno, e che sembrano direttamente legati all’insegnamento della musica, costituiscano poi la condizione per «parlare e agire bene». Di nuovo, nell’espressione greca usata si intende un parlare e agire ‘utilmente’ e con valore, con un forte riferimento implicito alla condizione virtuosa del ‘buon cittadino’. Si può osservare anche come, affermando la forte valenza formativa della musica, il Protagora platonico non aggiunga una sola parola esplicativa. Vale a dire che, per Platone, il valore formativo della musica costituisce un dato acquisito, per il quale i suoi lettori non necessitavano di spiegazioni. Il presupposto pedagogico condiviso è dunque che la musica formi al controllo delle emozioni interiori e che susciti e rafforzi un legame sociale positivo, anche per mezzo di una tradizione culturale condivisa. Come si vede, non si tratta solo di una concezione della musica, ma soprattutto di una concezione dell’educazione umana e del suo finalismo etico. Il fatto che questo antico presupposto non sia più tale per noi deriva dunque da modificazioni consistenti intervenute, sia nella rappresentazione della musica e del suo valore, sia nella rappresentazione dell’educazione.70

È sempre la Moscato a sottolineare come oggi invece la musica sia reputata un

oggetto culturale “di consumo”, legata al voluttuario, all’estetico, all’ornamentale, e in qualche modo al superfluo dell’esistenza (come del resto altri oggetti culturali “alti” come la poesia e la filosofia). Nel caso specifico della musica, in tutte le sue forme, le si riconosce, nel migliore dei

70 M.T.MOSCATO, La musica nella scuola: una prospettiva pedagogica globale, in «Musica Docta. Rivista digitale

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casi, il valore di forma espressiva delle emozioni soggettive, in genere con una forte enfasi sulla creatività e spontaneità (che giudico pedagogicamente fuorviante). […] Purtroppo l’espressione musicale di sé si trasforma facilmente, nella prassi educativa come nel percorso di crescita, in esibizione e spettacolarizzazione, e questa sembra oggi la cifra dominante del successo della musica fra gli adolescenti.71

Non è solo l’elemento educativo ad essersi affievolito col tempo, ma anche quella sacralità, quell’alone magico che accompagnava la musica fin dall’antichità: la musica infatti non era intesa dai Greci solamente come elemento educativo, poiché accanto a tale accezione ve n’era un’altra, di pura e misteriosa forza primigenia, di vero e proprio rito religioso, in grado di guarire come di dannare. Tale significazione derivava evidentemente dal mito, e segnatamente dal mito orfico e dall’orfismo, in cui la musica appare come generatrice di influssi magici in grado di condizionare il corso della natura.

Se col tempo si sono persi questi due importanti aspetti, due altre sfumature della musica sono arrivate fino a noi: lo studio della teoria e dell’acustica musicale, separate dalla pratica, e l’azione terapeutica della pratica musicale, entrambe oggetto di riflessione da parte di matematici e filosofi, come Pitagora e la sua scuola.

Essi ritenevano che lo studio fisico e acustico della musica – che rispecchiava l’ordine e l’armonia del cosmo – avvicinasse alla comprensione dell’Universo e operarono studi sull’origine e il significato della musica, osservando che essa, a cagione della sua “sostanza” numerica, costituisce un riflesso dell’armonia universale; e siccome anche l’anima era considerata dai pitagorici frutto dell’armonia, e quindi analoga alla musica, ecco che quest’ultima può influire sull’anima, arrivando, con azione terapeutica, a guarirne le dissonanze: ciò che si chiama catarsi, ovvero purificazione.

Nel periodo che si stende dall’antichità al Medioevo oltre a delinearsi una divaricazione tra musica vocale e musica strumentale, che inizia ad assumere un valore suo autonomo,la

71 Ivi, p. 71.

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musica viene considerata quasi esclusivamente una scienza, basata su leggi matematiche e fisiche.

Già all’inizio del VI secolo Boezio classificò la musica in mundana (l’armonia delle sfere celesti),humana (l’armonia dell’animo umano) e sonora(la musica pratica creata a imitazione delle altre due) e nell’ordinamento didattico medievale, inoltre, essa apparteneva al

quadrivium, che comprendeva le quattro arti matematiche (ovvero oltre alla musica

aritmetica, geometria, astronomia) in contrapposizione alle arti retoriche del

trivium(grammatica, logica e retorica).

Se inizialmente la pratica musicale era strettamente legata a motivi religiosi, intorno al Quattrocento le forme polifoniche raggiunsero la massima fioritura e complessità, e nel nuovo clima umanistico la musica aumentò la sua autonomia rispetto alla Chiesa.

Nel Cinquecento, grazie anche alla riflessione di Galileo Galieli sui modi musicali, si inizia a comporre musica pensando soprattutto al destinatario – che in realtà è anche al tempo stesso il committente – e si torna a riflettere sul rapporto tra musica ed emozione;è Cartesio poi, nel 1600, ad indagare a fondo nell’induzione emozionale che l’ascolto musicale reca con sé, distinguendo sei affetti principali (meraviglia, amore, odio, desiderio, gioia e tristezza). Il filosofo del Cogito analizza i frutti che le sequenze sonore producono sulla psiche, concludendo che tali effetti abbiano una causa solo in parte meccanicistica, essendo dovuti a una dinamica emotiva, dunque di tipo essenzialmente irrazionale; il metodo però che egli utilizza per studiare il modo di produrre il suono e la natura della musica è comunque sempre matematico.

Una vera e propria sistemazione degli affetti in musica, nonché la formulazione di un codice retorico strettamente musicale, avvengono in età barocca: tra la fine del Seicento e l’inizio

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del Settecento i compositori si sforzano infatti di esprimere con la massima vivacità un’ampia gamma di sentimenti.

Il mutamento delle condizioni sociali e politiche e l’affermarsi dell’Illuminismo favorirono negli anni successivi lo sviluppo di nuove tendenze: se è vero che per i filosofi razionalisti il valore della musica risiedeva nel suo carattere matematico, tuttavia si sviluppò anche la tendenza a evidenziare gli elementi espressivi e naturali della musica e la sua capacità di commuovere e suscitare emozioni; nel Romanticismo invece essa diventò un linguaggio puro e assoluto, l’unico in grado di esprimere concetti universali e di attingere direttamente all’ineffabile e all’infinito, recuperandone il potere altamente evocativo.

La tarda modernità vide esaurirsi l’epoca dei grandi principi mecenati ed i compositori iniziarono a confrontarsi con il pubblico pagante delle sale da nonché con editori, impresari e critici musicali e la musica diventerà sempre di più specchio dei tempi e dei cambiamenti della società: in pochi anni assistiamo alla crisi della tonalità, sistema che per tre secoli aveva retto la musica occidentale, allo svilupparsi della musica elettronica e poi del principio dell’alea, che introduceva nelle composizioni elementi più o meno ampi di casualità, rivalutando il ruolo dell’interprete e della pratica improvvisativa.

Nella seconda metà del ventesimo secolo si affermano la tendenza al sincretismo e alla contaminazione, di cui le musiche popolari diventano il terreno di coltura per eccellenza, per arrivare oggi, sempre a livello di tendenze, alla frammentazione dei linguaggi e delle poetiche, la messa in discussione della centralità della tradizione occidentale colta, il riconoscimento alla popular music, gli esperimenti di ibridazione culturale e la diffusione capillare di mezzi tecnologici ad alta efficienza e a basso costo.

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Se da una parte si è perso nel tempo il valore “alto” attribuito alla musica, è anche vero che questa sua desacralizzazione ha permesso di riappropriarsi di un codice che, lo abbiamo detto, è proprio di ogni uomo e non patrimonio esclusivo degli addetti ai lavori.

Da quando è entrata nel circuito della telecomunicazione, la musica ha dunque superato i confini degli Stati, delle classi, delle etnie e, prima ancora di internet e della lingua inglese, è divenuta linguaggio comune delle giovani generazioni, subendo certamente i fenomeni di massificazione di tutte le forme comunicative a target generalizzato, ma aprendosi a molteplici prospettive, in una sorta di jam-session mondiale senza intolleranze, in cui tutto potenzialmente può assurgere a stimolo creativo e può immediatamente riverberarsi lungo il tam tam delle tecnologie della comunicazione.72

Si spiega così il fiorire di studi relativi alla musica e ai suoi rapporti con altre discipline, ad esempio la psicologia, la filosofia, la neurologia, la pedagogia, che ha portato, tra le altre cose, alle riflessioni teoriche e alle esperienze contenute in questi capitoli.