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CAPITOLO 3 ANALISI DEI QUOTIDIANI

2. IL NARRARE E IL QUOTIDIANO

L’atto del narrare appartiene sia all’universo della quotidianità che a quello dell’arte, il focus di tale azione non si colloca esclusivamente nel contenuto di ciò che viene detto, ma anche nelle forme che esso assume e nelle sue interpretazioni. Il narratore assolve dunque al compito di divulgare interi patrimoni di sapere.

Nelle società tradizionali la trasmissione del sapere e dell’apprendimento sociale è una pratica esclusivamente affidata all’oralità, con l’invenzione della scrittura gli uomini affidano le tracce della propria civiltà anche ai supporti materiali con una ricaduta sull’organizzazione sociale e gli assetti di potere. I documenti scritti rappresentano un frammento dell’autore, del suo sapere, della sua cultura e del suo modo di interpretare il mondo. Il libro permette agli uomini di depositare sulla carta parte di sé e di lasciarla in eredità alle generazioni future, ogni testo indipendentemente dal genere di appartenenza esprime la sintesi dei saperi e delle costruzioni del mondo dell’autore.

Nelle scienze sociali la scrittura rappresenta un veicolo del pensiero, l’individuo si colloca in un contesto in cui le coordinate vengono stabilite dall’universo del collettivo. Anche il tempo, in sociologia, assume una sua peculiarità, in quanto tale costrutto rappresenta la sintesi di un processo in cui il presente si apre verso il passato. Il passato non riproduce una Verità dei fatti che esiste di per sé e oggettivamente, ma una ricostruzione dei vissuti e delle esperienze ex post.

Mai quanto nell’ultimo secolo l’uomo si è distinto dai suoi simili per desiderio di differenziazione che spesso implicava una scelta di specializzazione nelle proprie mansioni quotidiane. Tale dinamica genera una propria cultura di riferimento, con modalità di funzionamento e linguaggi peculiari. L’accorta analisi dei documenti permette al ricercatore delle scienze sociali di occuparsi di una determinata porzione di società, interessandosi dei rapporti e dei processi insiti nel fenomeno studiato cogliendone le logiche proprie. “Nella prospettiva etnosociologica, le esperienze vissute costituiscono giacimenti di sapere e chiedono di essere sfruttati a vantaggio della conoscenza sociografica e sociologica.[…] Non si tratta, infatti, di cercare di comprendere un individuo dato, ma un frammento di realtà storico-sociale, un oggetto sociale” (Bertaux, 1999, pag. 62). Il riferire i fatti mediante resoconti quotidiani che si possono attribuire ad una esperienza diretta come nei diari o mediata come negli articoli giornalistici ci riporta a quei frammenti di realtà storico-sociale di cui ci parlava Bertaux. Eco (1990) sostiene che “il funzionamento di un testo […]si spiega prendendo in considerazione, oltre o invece del momento generativo, il ruolo svolto dal destinatario nella sua comprensione, attualizzazione, interpretazione, nonché il modo in cui il testo stesso prevede questa partecipazione” (p.16).Ogni testo rappresenta pertanto un continuo dialogo tra autore e lettore i quali decodificano sulla base dei propri saperi e delle proprie matrici interpretative del reale.

Con il complessificarsi della strutturazione sociale nell’epoca industriale e post gli uomini hanno iniziato a suddividere il loro tempo e la loro presenza in ambienti diversi. Tali porzioni di realtà

hanno favorito la prolificazione di mondi che nella sincronicità temporale assumo significati e forme cangianti. I nuovi territori sociali hanno ridefinito le mappe di relazione (Bateson, 1977) mediante dimensioni di significato atte a individuare la sfera relazionale e la sfera intima generando unità ermeneutiche che permettono di preservare nel proprio contesto locale uno sguardo rivolto al globale e alle politiche di dialogo tra il cittadino e il proprio contesto sociale di riferimento.

Il proliferare in modo esponenziale di realtà genera una difficoltà nel creare confini stabili e funzionali alla dimensione dell’Io. Questa pluralità di mondi amplia la coscienza individuale, la rende più problematica ed aperta, tutto ciò ha ovviamente le conseguenze per quanto riguarda il problema della identità sociale. Le istituzioni sembrano meno cristallizzate del passato e la realtà Politica intesa nel suo senso più stringente, ovvero partitico, perde di legittimità. Il legame di fiducia e di anticipazione del reale diviene più debole e conseguentemente anche lo smarrimento e il senso di insicurezza nelle istituzioni. Ardigò (1958) traduce il termine mondo della vita utilizzato da Husserl in mondo vitale e lo contrappone al mondo delle istituzioni. Nel mondo vitale si costituisce il Noi ovvero la dimensione di altro generalizzato, nel mondo delle istituzioni si crea il mondo dell’oggettività, delle istituzioni politiche. Nella modernità la relazione dialettica tra i due mondi diviene sempre più debole e si genera il fenomeno denominato crisi della governabilità. L’odierno contesto sociale si trova a integrare la concezione spazio temporale propria del suo passato con la nuova prospettiva legata ai mutamenti attribuzionali propri della realtà contemporanea.

La relazione ripetuta, intrecciata con altre, assume non di rado l’aspetto reificato di una cosa che ci sovrasta nostro malgrado, ma l’individuo ha tendenza ad opporre alle relazioni reificate rapporti basati sulla simpatia. Secondo l'interazionismo simbolico, la comunità è ciò che la gente pensa che sia.. La comunità è un concetto negoziato, sono gli individui nelle loro relazioni che costruiscono la realtà e quindi sono gli individui che danno senso e contenuto alla comunità. Come affermano Berger e Luckman (1966) la realtà è una costruzione sociale. La prospettiva dell'interazionismo simbolico sottolinea, dunque, che le concezioni di comunità sono immerse, emergono dall'interazione nelle reti di comunicazione e nei flussi informativi che hanno luogo fra i vari soggetti.

Gli stessi autori con il termine Comunità, si riferiscono all’immediato contesto sociale della vita del singolo. C’è molta differenza tra le varie forme di comunità, nella realtà urbana non è possibile mantenere il modo di pensare e di agire tradizionale, le relazioni interpersonali divengono più formali. Il prolificare di gruppi e di associazioni, che possono essere formali o informali, e nella maggior parte dei casi svolgono la specifica funzione di creare gruppi di condivisone per obiettivi o bisogni. In tali contesti la mediazione del contatto favorisce la comunicazione e il senso di aggregazione. La disagregazione sociale ha il suo incipit dal senso di estraniazione e di smarrimento che gli individui sperimentano in un contesto allargato e di estraneità. Da questa descrizione si potrebbe incorrere nell’errore di ritenere che nei contesti urbani vi sia la tendenza ad una assenza di istituzioni. In realtà nel contesto urbano vi è una rete di istituzioni molto più fitta e complessa del contesto

rurale, tuttavia appare maggiormente significativo non il numero delle istituzioni presenti in un dato territorio ma il modo in cui le persone vi entrano in rapporto e di come tali rapporti possano essere percepiti come propri o estranei. Negli ultimi anni si è assistito a una contromigrazione, le persone preferiscono insediarsi, per ciò che concerne la propria abitazione, nei sobborghi o nelle zone periferiche, le ragioni di tale flusso risiedono nel tentativo di uscire dall’anonimato e rinsaldare i rapporti con la nuova comunità di riferimento.

La comprensione della differenziazione sociale è tanto più ricca quanto più la persona nella sua esperienza ha potuto entrare in relazione con persone che esercitavano ruoli diversi. La stratificazione appresa differirà sulla base del tipo di comunità riferimento di ogni individuo. Seppur la creazione di una stratificazione sociale sia un’esperienza comune a tutte le società è bene anche ricordare che i criteri di stratificazione sono elementi tra loro eterogenei.

Cavarero (1997) sostiene che il raccontarsi nella sua forma orale e scritta esprimano il processo sincretico di riconoscimento dell’identità. Un’identità intesa come espressione poliedrica che si stacca dalla concezione monolitica promossa nella modernità. Un raccontarsi nella propria molteplicità fattoriale e relazionale, un riconoscere la differenza del sé e dell’altro. Il racconto secondo la studiosa rappresenta un atto in tensione, un divenire che disvela che solo nella relazione, nella rappresentazione dell’altro il soggetto si può definire e esprimere il suo essere agente attivo nel mondo sociale. Ci si può, tuttavia, chiedere, “perché il significato

dell'identità è sempre affidato al racconto altrui della propria storia di vita?” (Cavarero, 1997, pag. 31). Cavarero riprende il pensiero di Arendt secondo la quale l’essere e l’apparire coincidono in quanto nel momento in cui si è si appare a “qualcuno possiamo sapere chi qualcuno è o fu solo conoscendo la storia di cui egli stesso è l'eroe - la sua biografia in altre parole” (Arendt, 1989, pag. 136). Gli esseri umani si distinguono gli uni dagli altri per come si comportano e per ciò che dicono, sono i loro atti e le loro parole, espresse nelle spazio politico, uno spazio pubblico in cui narrare eventi e manifestare la propria percezione del reale. La narrazione come sostiene Bachtin (1975) è “intimamente legata al mondo dell’atto, al mondo dell’evento” (p. 34), nella sua forma scritta si esprime come l’incontro della materialità con la costruzione delle rappresentazioni e dell’emotività. Secondo gli studi dell’autore lo scritto permette di recuperare la “sbalorditiva esteriorizzazione totale dell’uomo classico e della sua vita” (p. 282). E’ nella piazza, intesa come luogo simbolico, che l’uomo riesce a esprimere l’essenza del suo essere sociale coniugando lo spirituale all’intelletto, il pensiero e l’azione.

Nella post modernità questo simbolo viene conquistato dai media. Nella stampa si rintraccia il ruolo esercitato per secoli dall’oratoria. La stampa, a differenza della radio e della televisione, non può rinforzare i contenuti mediante l’utilizzo della tonalità, della velocità dell’eloquio e della vista. Essa affida la sua forza interlocutoria all’uso della parola nella sua forma evocativa e connotativa, la “relativa indeterminatezza di un testo [...] permette tutta una gamma di possibili attuazioni” (Bruner, 1986, p.32). Anche un documento giornalistico, seppur per sua natura sia vincolato

all’esposizione dei fatti, esprime, mediante la commistione della realtà simbolica e della pragmaticità degli eventi, una molteplicità di attribuzioni sociali e di interpretazioni del reale che veicolano l’interagire nel contesto pubblico. Se secondo Simmel (1908) per società si può intendere “una cerchia di individui, legati l’un l’altro da varie forme di reciprocità, come dinamica dell’agire e patire”, allora il compito della sociologia diviene quello di studiare le diverse forme di relazione d’influenza reciproca tra le persone (Wechselwirkung) (1917, p. 42).

La comunicazione rappresenta, per l’esser umano un bisogno primario: lo sviluppo tecnologico rende più agevole questa pratica. In passato la comunicazione veniva affidata all’interazione faccia a faccia o mediante la scrittura mediante la lettera. Con le recenti scoperte tecnologiche lo schema comunicativo classico muta i propri confini e il paradigma di riferimento, nel processo interattivo cambia il ruolo del tempo e dello spazio. Più persone possono partecipare nel medesimo momento o rivedere una discussione a distanza di tempo pur essendo in luoghi diversi. Le nuove forme di comunicazione che rappresentano l’odierno contesto sociale traggono origine e si configurano mediante il processo dell’intellettualizzazione dell’esperienza che esprime lo spirito della sensibilità moderna, mediante la fluttuante trasformazione delle relazioni che rappresentano la vita comunitaria e il patto sociale. Simmel ha individuato e formalizzato queste dinamiche definendo la modernità come il periodo di crisi permanente e il suo continuo divenire rappresenta uno dei tratti peculiari di questo periodo storico. Nella post modernità, il mondo sociale che ha consolidato la nuova forma

comunicativa che si avvale di media sempre più sofisticati cerca di fondere il suo passato e le dinamiche comunicative che lo avevano caratterizzato. Una sorta di equilibrio tra la comunicazione interpersonale retta da relazioni faccia a faccia e i nuovi saperi e pratiche tecnologiche. “La presenza del corpo, l’interazione con l’ambiente fisico, il “fare”, sono ridotti ai minimi termini; al contrario, si ampliano i contenuti di ciò che veniamo a sapere, che possiamo immaginare, o al cui suono possiamo “vibrare”. Sapere, immaginare, vibrare emotivamente hanno sempre fatto parte dell’esperienza…, ma mai si erano sganciati a questo modo dal fare, dal rischiare – almeno un po’ – in prima persona” (Jedlowski, 1994, pp. 119-120). Il dialogo tra il soggetto e il mondo sociale mediante esperienze dirette e indirette è permeato dalla costruzione di schemi narrativi che vengono consolidati dai media.