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CAPITOLO 1 I MASS MEDIA

7. RAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA

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Secondo Goffman (1976) i modelli proposti dai media e dalla pubblicità contribuiscono a definire il significato dell’appartenenza di genere, collocandosi come elementi che rappresentano il reale e che vengono legittimati da una grande parte della popolazione. Goffman riconosce nelle produzioni della pubblicità e della stampa alcuni tratti che esprimono alcuni schemi rappresentativi

dell’universo femminile in modo ricorrente. Egli ritiene che i “ritratti” proposti dalla pubblicità e dalla stampa relativi alla donna siano volti a simbolizzare la sua inferiorità sociale rispetto all’uomo; le relazioni tra i sessi sarebbero pertanto codificate in modo funzionale per garantire il controllo e il mantenimento dell’ordine sociale. Lo studioso nota che solitamente la donna viene rappresentata in atteggiamenti che la ritraggono in un livello di subordinazione cioè in scene attinenti alle dimensioni del sociale e della famiglia e in rappresentazioni in cui vengono accomunate a caratteristiche che stereotipicamente si associano a soggetti deboli che necessitano di protezione e, nel caso specifico, della difesa da parte dell’uomo.

Gli studi di Goffman esplicano a distanza di trent’anni un modello attuato in molti contesti del panorama mondiale Thuchman (1978) ritiene che i media non propongano al pubblico un’immagine verosimile delle società, ma che si collochino come degli stabilizzatori dello status quo, promuovendo la costruzione e diffusione di resoconti che consolidino le idee dominanti. Per Tuchman, si assiste ad una sorta di annullamento simbolico delle donne ad opera dei media, promovendo una cultura che individua il suo sapere begli schemi tradizionali in cui le narrazioni inerenti alla donna si riferiscono: alla famiglia, alle pratiche sociali e filantropiche e al riordino della casa, mentre le si precludono argomentazioni in cui possa partecipare alle sfere pubbliche e ai contesti decisionali escludendola simbolicamente dalla presenza nel mondo.

Solo a partire dagli anni ’80 si assiste a una controtendenza rispetto alla rappresentazione della donna da parte degli organi di

pubblicità e dei mass media. In quegli anni si assiste a una sorta di scambio di ruolo tra i sessi. La pubblicità e gli organi di comunicazione dichiarano una formale uguaglianza tra i sessi, si propongono immagini di super eroine, di donne in grado di avere un pieno controllo della vita privata, del lavoro e delle relazioni sociali. Il modello proposto è di una donna bella, seducente e indipendente, la pubblicità incarna fantasie femminili di rivalsa nei confronti dell’uomo e di tutte le sue dimensioni di significato e di potere relazionale, si mantiene il modello del passato invertendovi semplicemente gli attori.

Le stesse donne tendono ad attuare un processo di screditamento nei confronti delle conquiste per attuare il processo di emancipazione. Joke Hermes (1995): osservò che le lettrici di Woman, Best, Bella, Me, Libelle, Viva, Cosmopolitan, Marie Claire, tendono ad assegnare alle riviste femminili uno scarso valore. I soggetti del campione dichiarano di dedicarsi a questa lettura fondamentalmente per riempire i momenti di attesa e di noia o relax, reputando tale lettura poco impegnativa e in grado di essere ripresa anche dopo reiterate interruzioni (easy to put down). In questo modo si individua una frattura tra il desiderio delle donne di godere della stessa rispettabilità e libertà del maschio e la propria percezione di individui più frivoli e meno orientati all’osservazione della complessità del mondo. Secondo De Laurentis (1966) le dimensioni di significato attribuite ai generi vengono veicolate dal modello esplicativo offerto dai mass media. Poiché anche l’identità di genere è un’attribuzione di significati, di atteggiamenti e di riconoscimenti che si definisce grazie alla socializzazione. Il linguaggio e

l’interazione interpersonale esprimono i significati simbolici a cui sono legate le rappresentazioni culturali, secondo Van Zoonen (1994) il genere è una collezione di rappresentazioni culturali concorrenti e talora contraddittorie e di significati antagonistici, tutti connessi all’elaborazione della differenza sessuale. Secondo la lifelong learning (Balbo, 1995): l’identità di genere, è un costrutto linguistico discorsivo che si forma mediante l’interazione sociale e che rimane flessibile alle diverse ristrutturazioni di sapere nel corso della vita. “Guardare ai media come tecnologie di genere significa in primo luogo analizzare la loro funzione di agenzie di socializzazione. Non si tratta tanto di studiare cosa i media fanno alle persone quanto piuttosto cosa le persone fanno con i media”(Tota, 1999, p.183). Dal primo rapporto finanziato nel 1997 dalla Comunità Europea su “L’immagine della donna nei media” e svolto in 15 paesi europei, si evince che rappresentazione di genere sia ancora connotata da schemi stereotipati che riportano a dei modelli interpretativi incapaci di assumere una valenza di rappresentatività del contesto sociale che caratterizza i Paesi occidentali.

Secondo i dati rilevati dalla Conero (2001) se si esegue un’analisi superficiale sembra che la riduzione del gap sulla base della variabile di genere possa essere rintracciabile nella crescente presenza di giornaliste che operano negli organi mediatici di maggior diffusione tuttavia ponendo maggior attenzione al processo di costruzione e propagazione delle notizie gli elementi rilevati non offrono uno spaccato roseo. Infatti i dati qualitativi dimostrano che la stigmatizzazione sulla base del genere rimane una questione ancora aperta poiché la tipologia dell’informazione è ancor oggi legata al

genere del giornalista che la diffonde, alle donne si affidano prevalentemente servizi inerenti alla cronaca (la moda e il costume sono rubriche curate quasi esclusivamente dalle donne), allo spettacolo e alla cultura, mentre agli uomini si delegano, in una sorta di quasi monopolio, i servizi inerenti a politica, sport ed economia Secondo Buonanno, (1993) le giornaliste restano largamente escluse dalla distribuzione e dall’esercizio della risorsa del potere seppur abbiano raggiunto una discreta rappresentaza sullo scenario pubblico. Si potrebbe dire che nella visibilità senza potere risiede la condizione delle donne nel giornalismo italiano, e non solo italiano. Dai dati riportati dall’Osservatorio di Pavia in tutto il 2002 le sei emittenti Nazionali afferenti rispettivamente alle Aziende RAI e Mediaset hanno dedicato alle donne della politica circa 79 ore mentre ai loro colleghi maschi 999.

La percentuale del tempo medio dedicato alla comunicazione politica in riferimento alle donne si attesta al 7.2%, una percentuale nettamente inferiore a quella maschile. Questo dato non può essere compreso esclusivamente dalla numerosità assoluta delle donne che occupano un seggio parlamentare, ma le variabili in questione traggono la loro chiave interpretativa in uno scenario sociale complesso. Nelle partecipazioni a programmi politici, le sei principali emittenti televisive italiane, si verifica che il conduttore canalizza la discussione con i propri ospiti secondo modelli basati sulla differenza di genere. Il rappresentante politico di genere maschile viene presentato al pubblico utilizzando la propria carica istituzionale, mentre la collega donna solitamente viene destituita nella presentazione della sua carica e introdotta dal grado di Signora.

Anche i temi su cui verte i dibattito è fortemente orientato sulla base del sesso e richiama le pratiche inerenti alla salute, al sociale, alla cura della famiglia, alle politiche giovanili e affini per quanto riguarda il dialogo con le parlamentari per la politica, l’economia, la guerra, la sicurezza ci si orienta al dialogo con i parlamentari. La distinzione di genere coinvolge pertanto anche la veicolazione del sapere e delle pratiche politiche, trascurando il fatto che i parlamentari eletti dal popolo dovrebbero rappresentare senza alcuna discriminazione tutta la cittadinanza.

Il progetto mondiale di monitoraggio dei media GMMP, ha condotto nel 1995 una ricerca con 71 Paesi del mondo dal titolo Global Media Monitoring Project: Women’s Participation in the News. Con il passare degli anni diversi Paesi si sono dimostrati sensibili a questo tema e hanno deciso di partecipare al progetto tanto che al 10 novembre del 2009 i paesi aderenti sono 108 e sono stati analizzati 1281 tra giornali, stazioni radio e televisioni. Dai dati rilevati tra il 1995 e il 2005 si osserva che la presenza della donna risulta essere maggiormente visibile nei contesti locali rispetto allo scenario nazionale (in tab. 4 è riportata la percentuale della presenza femminile nei diversi anni rispetto al totale delle informazioni fornite sia nel contesto locale che in quello nazionale).

Tab. 4 Soggetti femminile nei reportage locali, nazionali e internazionali:1995-2010

Contesto 1995 2000 2005 2010

Nel 2005 alla Quinta Conferenza Mondiale sulle donne dell’ONU, svoltasi a New York, è stato ribadito l’invito ai governi e alle organizzazioni dei media di applicare politiche e pratiche volte a svicolare l’immagine femminile dalle stereotipie che per secoli l’anno vincolata a un ruolo di subordinazione. Tale invito sembra essere stato accolto dai governi infatti notiamo che i dati riportati da GMMP nell’anno 2005 e 2010 vi è una tendenza al rialzo della presenza femminile nei media Tab 5-6.

Tab 5. Soggetti femminili presenti nelle notizie nei diversi mass media: 1995-2010

1995 2000 2005 2010

Giornali 16% 17% 21% 24%

Radio 21% 22% 22% 24%

Televisione 15% 13% 17% 22%

Secondo i ricercatori della GMMP se la tendenza si mantiene costante con questo ritmo di modificazione ci vorranno almeno altri quarant’anni prima che l’industria dell’informazione giunga ad una equità di genere, la questione della disparità basata sulla distinzione in macrocategorie quali maschio e femmina rimane una questione che nel 2010 in quasi tutti i Pesi del mondo rimane ancora aperta.

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