CAPITOLO 2 IL RUOLO DELLE DONNE
2. RIVENDICAZIONE DEI DIRITTI
"Rivendicazione dei diritti" \b \i }
Olympe de Gouges è tra le prime donne a prendere una chiara posizione in merito alla questione femminile. Nel 1791 scrisse la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, con un chiaro riferimento alla versione maschile della Dichiarazione ma, con intento fortemente polemico. Si può infatti leggere nel preambolo:
“Bizzarro, cieco, gonfio di scienza e degenerato, in questo secolo illuminato e di sagacità, nell’ignoranza più stupida, [l’uomo, ndr] vuole comandare da despota su un sesso che ha ricevuto tutte le facoltà intellettuali; pretende di godere della rivoluzione, e reclama i suoi diritti all’uguaglianza, per non dire niente di più.”.
In queste poche parole è possibile rintracciare la presa di coscienza di una frattura che si era generata tra i due sessi, le donne rivendicano di essere riconosciute come cittadine e di godere pertanto degli stessi diritti e doveri civici, ciò inevitabilmente modificava l’assetto sociale che per secoli aveva caratterizzato le relazioni interpersonali. La Dichiarazione delle donne rappresenta il primo documento giuridico in cui si ufficializzava la richiesta allo Stato dell’applicazione dei fondamenti della rivoluzione francese ovvero, il principio di uguaglianza dei cittadini indipendentemente
dal loro sesso biologico poiché le donne in quegli anni non disponevano del diritto di voto, dell'accesso alle istituzioni pubbliche, alle libertà professionali e ai diritti di possedimento. L’impegno sociale e politico di Olympe de Gouges a favore della rottura con gli schemi tradizionali inerenti alle minoranze e in particolare al ruolo femminile viene considerato come una delle pietre miliari del futuro movimento delle donne. Il ricorso all’uguaglianza tra i sessi introdotto dall’autrice sarà ritenuto elemento principe di tutto il primo femminismo; appare, tuttavia, singolare che seppur De Gouges abbia apportato un notevole contributo alla mobilitazione e riflessione sulla condizione della donna, sostenendo la lotta per l’emancipazione sino alla propria esecuzione capitale, negli anni successivi alla sua morte sarà ricordata soprattutto come una prostituta.
I concetti di uguaglianza e di diversità sono due dei punti cardine su cui le donne hanno riflettuto e orientato le loro pratiche di cambiamento. Il movimento delle donne era nato per contrastare le disparità civiche e sociali tra i sessi: ricordiamo, infatti, che in una prima fase si adoperò principalmente per creare un paradigma capace di strutturare il sapere sulle donne a partire dal fondamento anatomo- biologico in grado di guidare attraverso pratiche sociali e culturali una trasformazione dei rapporti materiali tra i sessi. Si potrebbe dire che le vicende che interessarono il primo femminismo sono rappresentate dall’equazione simbolica tra i costrutti stato di natura e ruoli sociali. I discorsi delle donne si orientarono verso l’estensione a tutti i cittadini senza distinzione di sesso e ceto del suffragio, da cui il termine suffragette, ma, anche alle riflessioni sulla sessualità, la
gestione delle nascite con la possibilità di controllare la procreazione anche mediante l’utilizzo di contraccettivi, l’indipendenza economica, la libertà nel sistema famiglia e la possibilità di accedere alla scuola, alla politica e alle carriere lavorative, nella stessa misura dei maschi. Le donne pretendevano che fosse data loro la possibilità di emanciparsi.
Anthony nella Convocazione di Seneca Falls (New York, 1848) sosteneva che “la storia dell’umanità è una storia di torti e di arbitrii ripetuti dell’uomo nei confronti della donna, che hanno avuto direttamente a oggetto la creazione di un’assoluta tirannia su di lei. Siano i fatti, sottoposti a un mondo imparziale, a provarlo.” (Baritono, 2001 p.8). Il rancore e la pretesa che venissero riconosciuti i torti subiti dalle donne erano predominanti, tuttavia tale posizione è fortemente connotata da una visione etnocentrica del fenomeno femminile secondo cui si assume come universale la percezione che la donna occidentale ha della propria esistenza, tale contestazione verrà più volte messa in risalto dagli studi post- strutturalisti eseguiti alla fine del ventesimo secolo. Il processo deterministico legato alla condizione di natura non poteva più essere accettata dalle donne come forma di una giustificazione allo status quo degli eventi. La Chiesa cattolica apportò un grosso contributo nel mantenimento dell’egemonia maschile: basti pensare che in Europa l’unica forma di unione socialmente riconosciuta tra un uomo e una donna, sino a metà del 1900 fu il matrimonio religioso. A Seneca Falls si affermava che “nel patto matrimoniale ella [la sposa] è costretta a promettere obbedienza al marito e lui, a tutti gli effetti, diviene il suo padrone, perché la legge gli dà il potere di privarla
della libertà e di infliggerle punizioni” (Baritono, 2001 p.8).. Molte delle loro aspettative vennero però deluse e si dovette attendere per quasi un secolo perché si ottenessero i risultati auspicati in quell’occasione.
Con la progressiva industrializzazione degli Stati avvenuta agli inizi del XX secolo e la concentrazione della popolazione nei centri urbani, le donne, che si erano trasferite con la propria famiglia, si trovarono a modificare rapidamente molti aspetti legati alla loro quotidianità. Le donne si occupavano contemporaneamente sia del lavoro di riproduzione sia di quello produttivo. E’ con il Factory Movement, attivo nel Nord dell’Inghilterra industriale e guidato dalla “strana alleanza” tra Hight Tories e Radicals, che “per la prima volta, la donna diventa un problema sociale” (Rossi Doria, 2007). I giacimenti di sapere legati prevalentemente alla tradizione dovevano pertanto essere ripensati, i nuovi ritmi e le esigenze della collettività si traducevano in un rinnovato riferimento politico e sindacale volto a gestire l’assetto comunitario in trasformazione. Le argomentazioni del movimento femminista iniziarono ad avere una ricaduta anche nel mondo politico. La differenza dei sessi, che era già stata un mezzo per allargare il campo d'azione delle donne nell'impegno per la riforma sociale e morale, diventò ora, a livello politico, il veicolo per ottenere la partecipazione (Block 1978)
L’opposizione maschile al cambiamento sociale richiesto dalle donne si fece più serrato basti pensare che nel 1903 il filosofo Weininger dichiarò che “la donna cerca il proprio compimento come oggetto. Ella è cosa dell’uomo o del bambino […]”. (1992, p. 373) L’idea dell’inferiorità della donna si andava sempre più radicando e
spesso si accompagnava tale asserzione con le considerazioni sull’inferiorità ebraica già diffuse a quel tempo, creando in tal modo un accostamento tra antifemminismo e antisemitismo. Ciò rappresenta l’epifenomeno di uno scontro culturale e antropologico che caratterizzerà i primi cinquant’anni del 1900: molti uomini sostenevano l’assunto positivistico secondo il quale la differenza biologica si rifletteva anche sulla differenza intellettuale, secondo una logica di causalità lineare se la donna era biologicamente inferiore allora lo era anche intellettualmente. (De Giorgio, 1992). Tale posizione implica la cristallizzazione di un sistema in cui vi è l’impossibilità di modificare l’assetto sociale di dominio maschile: se la donna è inferiore, allora sta all’uomo gestire il potere, rendendo tangibile le polarità del costrutto nucleare potere vs dovere. A sostegno di tale posizione si collocò la teoria evoluzionista, la quale nel secolo scorso dominò e permeò il pensiero scientifico di diversi ambiti scientifici, infatti, anche Spencer aveva “definito le caratteristiche femminili, trasferendole dal terreno biologico a quello sociale: dichiarandole complementari a quelle dei maschi, tali caratteristiche – l’istruzione, la compassione, l’imitazione, tutte legate alla maternità – erano in sostanza secondarie, come Darwin esplicitava scrivendo nel 1871 che esse erano “tipiche delle razze inferiori ori e quindi anche di una fase primitiva e arretrata della civiltà.” (p. 265) In questa codificazione delle qualità maschili e femminili basate sul determinismo “naturale”, cui si dedicano in questo periodo, sia in Europa che negli Stati Uniti, biologi, sessuologi, medici, sociologi, antropologi e antichisti, non ha più senso rivendicare l’uguaglianza di diritti per la donna.” (Rossi Doria,
2007, p.46). La logica del determinismo biologico e della immutabilità nelle potenzialità relazionali veniva contraddetta dai nuovi ordini sociali e economici pertanto la revisione del rapporto tra i sessi non poteva più essere trascurata, ci si orientava a relazioni più libere e paritarie sia nelle scelte individuali sia in quelle codificate giuridicamente, in primis il contratto matrimoniale (Paterman, 1988). Gli assetti politici e geografici del mondo stavano cambiando: a distanza di pochi anni si sarebbe assistito a due conflitti mondiali. Con l’avvento della prima guerra mondiale le donne assunsero un peso non trascurabile sull’economia degli Stati: mentre gli uomini erano impegnati a combattere a loro fu affidato il compito del mantenimento della famiglia e di sostenere con la loro forza lavoro il bilancio della nazione.
Secondo Thebeau (1992) la guerra aveva “reintrodotto una divisione netta tra maschile e femminile e ridato vita ai vecchi miti virili: gli uomini sono fatti per conquistare, le donne per mettere al mondo figli e per allevarli, e questa complementarietà tra i sessi appare necessaria per ritrovare pace e sicurezza in un mondo avvertito come in preda al caos” (p. 81), il clima di violenza e di instabilità favorì il mantenimento dello status quo, anche per tale motivo la causa sostenuta dal movimento femminista subì per più di un ventennio un brusco rallentamento. Il 1919 fu un anno di profondi mutamenti sociali, in Inghilterra fu approvata il Sex Disqualification Removal Act legge definita da Virginia Woof (1979) fondamentale nella storia delle donne poiché estese alle donne tutte le funzioni civili tra cui l’accesso alle professioni: ciò permetteva loro di emanciparsi mediante l’indipendenza economica.