CAPITOLO 2 IL RUOLO DELLE DONNE
7. UNO SGUARDO ALLE DONNE NEL MONDO
"Uno sguardo alle donne nel mondo" \b \i
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Nei Paesi con una maggiore attenzione ai processi di democratizzazione e civilizzazione, come nel caso della Nuova Zelanda, del Nord Europa e dei Paesi componenti la penisola Scandinava, le rivendicazioni delle donne nell’attuare politiche volte al riconoscimento dell’uguaglianza dei cittadini e nell’integrazione delle diversità ebbero maggiori successi. Tuttavia negli Stati che conservavano una maggiore connotazione del ruolo tradizionale della donna ancor oggi si possono individuare le tracce di diverse forme di discriminazione, come nel campo dell’istruzione, della remunerazione e della prospettiva di mobilità professionale. Secondo Ehnrenreich e Hochschild (2004) attualmente le famiglie del Primo Mondo e, in particolare, le donne non sono in grado di sostenere l’equilibrio del proprio nucleo senza l’aiuto di altre donne, provenienti dai paesi del Secondo e Terzo Mondo, che svolgano per loro conto i compiti tradizionalmente propri della figura femminile. Le mansioni di cura dei membri più deboli del nucleo familiare sono affidate ad altre donne che provengono da Pesi lontani e che
rispondono alla domanda delle famiglie, o più appropriatamente delle donne che non sono in grado di conciliare la propria carriera lavorativa con la gestione della famiglia. E’importante ricordare che secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, “alle donne va solo il 10% del reddito globale, mentre il loro contributo in termini di ore lavorate si aggira, se si tiene conto del lavoro domestico al 70%. Almeno quatto milioni di donne e bambine sono vendute ogni per fini di prostituzione, schiavitù domestica e nozze forzate” (Zolo, 2006, p. 35).
Ancor oggi in Italia la donna dimostra avere difficoltà nell’inserirsi nel mondo del lavoro, secondo i dati di Eurostat 2007 il nostro Paese si trova tra gli ultimi posti dell’UE 15 come tasso di occupazione femminile. L’inserimento delle donne nel mondo del lavoro ha implicato una ristrutturazione della famiglia tradizionale. Esse assumono in tal modo un doppio ruolo, il primo connesso con la cura della famiglia e della casa, il secondo con il suo impiego all’esterno delle mura domestiche (Tessarolo, 1993). Le donne che cercano di mantenere il proprio lavoro o, che cercano di inserirsi nel mercato economico, risentono ancor oggi della mancanza di una adeguata rete di servizi che permetta loro di conciliare il carico familiare con gli impegni professionali.
Le donne nella famiglia moderna divengono i punti nevralgici degli scambi relazionali intra e extra familiari. Il mutamento sociale, degli ultimi ventanni, ha avuto una forte ricaduta nella trasformazione del sistema famiglia, modificando uno degli aspetti cruciali della famiglia tradizionale: l’insegnamento e l’apprendimento del lavoro domestico delle donne. L’attività
connessa alla gestione della casa e dei familiari ha subito una progressiva svalutazione sociale, risulta significativo che, dagli studi rintracciabili in letteratura, siano proprio le casalinghe a promuovere questa problematizzazione (Fortunati, 1993). Nonostante gli sforzi dei responsabili alle politiche di pari opportunità, il ruolo femminile rimane ancora molto legato alle attività di riproduzione.
Nelle principali democrazie Occidentali dopo anni di sforzi la donna è riuscita a essere riconosciuta nella sua singolarità di individuo diverso ma non inferiore, sino a giungere alla conquista di un impegno politico attivo che le riconosca la possibilità di esercitare il peso del proprio pensiero anche nei principali organi di governo, tutto ciò è stato possibile solo grazie all’estensione del diritto di suffragio alle donne e pertanto in virtù dei voti ottenuti e non di una tradizione consolidata. Nella maggior parte dei Paesi del mondo, come vedremo con maggior dettaglio nei paragrafi seguenti, non esiste alcun impedimento ufficiale all’accesso delle donne alla carriera politica, lo scarso impatto delle quote di rappresentanza parlamentare femminile sembra essere maggiormente influenzato dalla tipologia sistema elettorale adottato e dalla cultura dominante nello specifico Stato (Kenworthy, Malami 1998).
Sebbene al movimento delle donne siano state mosse varie critiche rispetto agli ancor insufficienti successi ottenuti nel mondo nel percorso di emancipazione delle donne e nei confronti della frammentarietà delle proposte teoriche e pratiche ad esso vanno indubbiamente riconosciuti i meriti del progresso civile ottenuto da milioni di donne e del processo di sviluppo nel costruire l’identità individuale e collettiva del femminile.
Secondo Arendt “è mentre interagiamo che scopriamo-di volta in volta - il significato del nostro agire (e dunque prendiamo atto di chi siamo diventati), in un contesto di altri esseri umani che partecipano, rispondono, reagiscono — ma anche si oppongono — a noi. L’identità, allora, non è una proprietà incapsulata in me (qualcosa da confessare), né un’affermazione del soggetto davanti agli altri, quanto un attributo che emerge fra noi. In uno spazio che non è un territorio ma un ambito di reciproca esposizione generato dall’interazione. Espresso altrimenti, piuttosto che concepirla come un fatto compiuto (un insieme di fatti precedenti e costituenti l’agire di un individuo), l’identità è per Arendt l’esito (provvisorio) dell’agire pubblico. Da una parte non ci è dato padroneggiare chi stiamo esponendo agli occhi altrui. Dall’altra, mentre agiamo siamo ancora troppo vicini a noi stessi, schiacciati nel presente, saturi, per saperci riconoscere ed astrarre un’identità dal flusso dell’agire. È sempre da una fuoriuscita riflessiva dal presente che possiamo attenderci la rivelazione di chi siamo diventati” (Sparti, 2008 p. 102). Proprio le donne che lentamente si sono interrogate sulla loro condizione di individui discriminati sulla base della propria specificità anatomo biologico e associate condividendo un progetto di emancipazione hanno costruito con la loro interazione la rappresentazione di una identità collettiva.
L’identità per Taylor (1993) è intesa come prodotto; l’operazione che si cela in questa posizione cade sotto il nome di “reificazione”. L’Identità è un costrutto teorico utilizzato per il suo valore euristico capace di rendere conto di alcuni processi sociali e psicologici. Nei paradigmi interazionistici l’identità viene concepita
come una processo dialogico, ovvero come risposta ad una domanda: andrebbero quindi distinte, domande ricorsive che appartengono all’ordine giuridico (chi sei? La mia carta d’identità), all’ordine istituzionale (chi sei? Il figlio, il genitore, l’impiegato), all’ordine morale (chi sei? Il cristiano, l’induista, il mormone, l’islamico) e qualunque altro ordine con pretese “strutturali” dalle domande processuali (chi sei? L’amico, l’amante, me stesso per me). Questa distinzione introduce già nella definizione di identità un processo di riconoscimento che assume valore nel primo caso in quanto la ricorsività è inscritta nella dinamica conoscitiva del frame e nel secondo in quanto la domanda è attualizzata già nel processo di significazione del valore.
In Stigma l’identità negata (1983), Goffman evidenzia che l’operazione di stigmatizzazione appartiene al dominio dell’identità sociale, ovvero si genera nel passaggio da un’identità virtuale intesa come quelle attese normative e quelle pretese inequivocabili che attribuiamo alle persone” E’ tipico non rendersi conto del fatto che siamo stati proprio noi a stabilire quei requisiti, quelle richieste, ed è altrettanto tipico che non siamo coscienti della loro natura finché non siamo costretti a decidere se corrispondono o no alla realtà” (p. 12) e l’identità sociale attualizzata, ovvero le categorie a cui possiamo dimostrare che una persona appartiene e gli attributi che è legittimo assegnargli.
L’atto del dimostrare e del legittimare evidenziano, se ve ne fosse, bisogno come il misconoscimento è un’operazione della politica della diversità connaturata all’”ordine del discorso” dello stato nella sua forma di Stato – Nazione democratica. Lo stesso
Goffman dice infatti che l’identità dell’Io o dell’Io in quanto donna nel caso specifico, intesa prima di tutto come una questione soggettiva e riflessiva, ci consente “… di considerare ciò che l’individuo sente riguardo allo stigma e alla sua amministrazione e ci fa guardare con particolare attenzione il consiglio che gli viene dato riguardo a questi problemi.” (p. 12)
L’autore fa riferimento alle possibilità proposte al soggetto “stigmattizzato” di adottare una posizione “militante” di allineamento al gruppo interno o di un’alternativa posizione “psichiatrica” di adattamento in allineamento con il gruppo esterno. Proporre una concezione dell’identità in chiave sociologica come traccia, come marchio, come inscrizione, non vuole essere una soluzione o una risposta ai temi sollevati semmai moltiplicare le problematiche introdotte, decostruire concetti e relazioni tra questi, dati per ovvi, evidenziando come solo una rinnovata attività teoretica di queste problematiche può tracciare una nuova posizione per affrontare le sfide concrete della condizione umana. “ E’ chiaro che l’individuo costruisce l’immagine di se stesso con i materiali da cui altri hanno costruito una identificazione sociale e personale di lui, ma egli usufruisce di importanti libertà per quello che riguarda il modo di modellare tale materiale.” (p. 116) L’intrecciarsi di percorsi argomentativi connaturati nelle dimensioni di militanza politica, di genere, e di nazionalità può essere considerato come un processo costellatorio dell’Identità. L’esperienza della pluralità indicata da Arendt non si rifà alla semplicistica somma di individui, o al solo essere con l’altro ma a quell’essere che unisce e separa al medesimo tempo, che trova nel tra più che nel noi l’elemento fondante
dell’essere in divenire. L’identità non è da intendersi come una struttura statica e monolitica, ma bensì come un processo di riconoscimento dell’Io in grado di identificare la sintesi delle costruzioni passate e presenti del narrante.
La partecipazione o negazione delle donne al movimento femminista ha indubbiamente caratterizzato e contribuito alla strutturazione identitaria delle donne. “Le persone (quindi anche i soggetti giuridici) acquistano identità solo tramite la socializzazione. Se ciò è vero, una teoria dei diritti rettamente intesa richiederà comunque una “politica di riconoscimento” che tuteli l’integrità dell’individuo anche riguardo al nesso di vita costitutivo della sua identità. […] E certo sarebbe difficile pensare a questa realizzazione prescindendo dai movimenti sociali e dalle lotte politiche. E’ ciò che ci insegna per esempio la storia del femminismo.” (Habermas 1998, p. 69)