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Capitolo 5 La fortificazione moderna e l’urbanistica

G) Medio-baluarte de sant sebastián

5.4 Il progetto per il castello di Santa Bárbara

Dall’inizio degli anni Settanta, Alicante si impegna in nuo- ve opere di fortificazione occupandosi in primo luogo del castello. Nonostante l’abbandono dei progetti di Antonelli a causa del fermo rifiuto dell’amministrazione e della po- polazione, rimane all’ordine del giorno la necessità di pro- teggere la città, migliorandone la cinta muraria esistente e non ultima la fortezza.

Secondo le notizie riportate da un documento per il re in- viato dal segretario delegato, sembra che Antonelli ven- ga richiamato nel 1571 con l’incarico del riconoscimento della fortezza e delle banchine di attracco delle barche63.

Nessuna ulteriore notizia delle mura cittadine quindi, il cui ambizioso progetto era stato completamente abbandonato. In questi anni il propulsore delle opere difensive della co- sta è il Marchese di Mondéjar, íñigo Hurtado de Mendoza, allora viceré in carica, ed in seguito Vespasiano Gonzaga, che gli subentra a partire dalla metà degli anni Settanta. Già dal 1570 vengono effettuate nuove visite alle fortifica- zioni costiere dell’intero territorio di Valencia fino ai do- mini di Murcia. A Giovanni Battista Antonelli è affidato il compito di affiancare il Gonzaga in questa attività. Pochi anni più tardi, viene stilata una lista del denaro occorrente alla riparazione dei siti fortificati, all’epoca rimasti ancora privi di mura bastionate, tra i quali rimaneva incluso anche Alicante. Le spese totali ascendevano a quasi settantamila ducati da ripartirsi tra il regno di Valencia e i diversi paesi, di cui sarebbe stata finanziata dalla Corona solo una mini- ma parte, pari a circa un quarto della spesa,64. È proprio in

questo stesso anno che il Marchese di Mondéjar indica la sua preferenza per i progetti di Giovan Giacomo Paleari Fratino, consigliando di farli utilizzare al posto di quelli di Giovanni Battista Antonelli65.

Spinto da motivazioni di natura economica, probabilmente in quanto la fattibilità degli interventi del Paleari risulta- va più concreta, il giorno 19 dicembre 1574 il marchese scriveva al re, con il consiglio di valutare i pareri dei due tecnici italiani, scegliendo la soluzione migliore e più eco- nomica per contenere i costi, «en quanto al particular to- cante a la execución aunque ellos querrían siguir un pare- cer y traça de Antonelo les e ordenado aguarden el que el Fratín dará para que se elija lo mejor y de que esta obra y todas las que se ouvieren de hazer en este Reyno se hagan

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B

C

d

19/ Schema di evoluzione della fortezza di Santa Bárbara: A. Alca- zaba di epoca araba; B. epoca medievale; C. semibaluardi seicen- teschi di Gonzaga; C. bastioni del XVII secolo.

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20/ In alto. Progetto di Cristoforo Antonelli per l’ampliamento del molo e l’installazione della lanterna e di una cappella al termine della banchina. ACA, Mapas y Planos, 23/2, [1596]: «Perspetiva del muelle de Alicante».

con las menos costa que pudieren hazerse de vuestra ma- gestad»66. Il Fratino in quel periodo aveva visitato la zona

con l’incarico di valutare le fortificazioni di Denia, di Cul- lera ed infine del Castello di Alicante, e nella sua relazione sul sito alicantino indirizzata al Marchese non risparmiava critiche all’operato di Giovanni Battista.

Secondo le informazioni che gli erano state riportate in- fatti, i lavori alla fortezza non erano proceduti in manie- ra spedita a causa delle scelte errate di Antonelli. Giovan Giacomo scriveva che «segun la Jnformaçion que aqui Me han dado de la opinion de Juan bap.ta antoneli Creo q. sesaria mucho mas en la perfection del sitio que a mi Jui- zio El dexa el bueno por el malo Creçe de poca fabrica En mucha y de con esta guardio En muy gran guardia y por lo que deueuo al Juy.o de Su m.t Me a pareçido no Callar esto

A V. ex.a Remitiendome siempre a mejor Juizio y pareçer

de V. ex.a la que N. S. prospere»67. Il Fratino riteneva inol-

tre opportuna un’ulteriore ispezione per stimare le attività compiute. Segno evidente della discordia dei due ingegne- ri, e più in generale dell’aspra rivalità che si generava fra i tecnici in lizza per conquistare le grazie del consiglio di guerra e soprattutto del re, questa si dimostrava una delle diverse occasioni di scontro fra Antonelli e il Paleari, risol- te quasi sempre a vantaggio del secondo.

Di lì a poco infatti Antonelli sarebbe stato estromesso dai

lavori al castello, di cui si fa carico il Fratino come tecnico principale a fianco di Gonzaga68.

Nel 1575 Vespasiano redige una relazione sulle località li- toranee del regno, nella quale descrive il sito di Alicante come una città ben edificata con mura costruite recente- mente e torrioni merlati, sufficiente alla difesa delle quasi mille case del paese contro gli attacchi «de lança y escu- do»69. Nonostante la mancanza di terrapieni, che la rende

inservibile come avamposto sicuro nei confronti dell’arti- glieria, la fortificazione delle mura cittadine è ritenuta one- rosa e superflua, «seria negoçio muy costoso».

Per quanto riguarda il molo, mancando alla città un vero e proprio attracco e vista la presenza di una spiaggia fa- vorevole allo sbarco per le sue caratteristiche naturali, Gonzaga considerava più opportuno portare a termine la banchina, prolungandola verso il mare prima di svoltare a ponente con il frangiflutti70. Non sarebbe stato un luo-

go adatto all’attracco delle galere, poiché era incapace di garantire un riparo sicuro alle grandi navi, e oltretutto con il passare del tempo i detriti riversati a mare dal vicino fiume avrebbero innalzato il livello del fondale. Tuttavia la relativa vicinanza di Cartagena, che rendeva inutile la costruzione di un grande porto ad Alicante, non impediva di allestire lo sbocco alicantino almeno per lo scarico delle merci ed utilizzarlo per il commercio minore.

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21/ Nella pagina precedente. Planimetria del castello nella quale vengono indicate con la linea rossa le mura esistenti ed in giallo la nuova muraglia difensiva progettata. Nonostante la stilizzazione della rappresentazione, è possibile notare l’evoluzione del recinto della fortezza. Non ci sono riferimenti grafici al bastione progettato dall’Antonelli, il cui progetto sappiamo essere stato variato prima dal Fratino ed in seguito dal Gonzaga. AGS, MPD, 19, 003, [1575]: «Plano del Castillo de Alicante con un proyecto de las nuevas obras de fortificación que se proponen para su mejor defensa».

22/ Immagine in alto. Il disegno, attribuito a Battista Antonelli e su progetto di Vespasiano Gonzaga, fornisce notizie significative anche in merito al progetto del Fratin, segnato con le linee colorate e lettere di riferimento. La vista a volo d’uccello del complesso descrive bene lo stato della fortezza anche senza delinearne tutti gli edifici dell’Alcazaba. AGS, MPD, 19, 004, [1575]: «Perspectiva del Castillo de Alicante con las nuevas obras de fortificación que se ponen para su mejor defensa».

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1/ La città di Lucca con le nuove mura e le alberature. Georg Braun, Franz Hogenberg, Civitates Orbis Terrarum, Complete Edition of the Colour Plates of 1572-1617, Taschen 2008, Antwerp, pp.74-75.

Per quanto concerneva il castello, questo diventava il punto fondamentale della difesa dell’intera zona, perché «no es justo que tan buena playa y lugar este sin defensas soy de pareçer que V. M.d mande fortificar el castillo de Alicante»71. La fortezza, posta in un luogo alto e difficil-

mente raggiungibile per la conformazione morfologica del monte e senza offese di «padrasto», risultava abbastanza funzionale anche se soggetta alle mine per la tipologia del promontorio roccioso di fondazione. Nella parte pianeg- giante del monte il Fratino intendeva costruire una tixera, progetto osteggiato dal Gonzaga che si meravigliava della proposta errata del tecnico. Difatti la costruzione avreb- be occupato la migliore zona della piazzaforte mentre la- sciava campo libero al nemico per più di 250 passi, per lo meno da quanto era possibile ipotizzare dalla documenta- zione priva di elementi grafici. Al contrario ben due dise- gni accompagnavano la relazione del Gonzaga: una plani- metria semplificata con alcune indicazioni in colore ed una vista a volo d’uccello del castello dalla parte di Levante, redatti probabilmente da Battista Antonelli su indicazione dello stesso Vespasiano72. La volontà dei progettisti era di

espandere il recinto fortificato del castello verso oriente, riprendendo in parte il tracciato della vecchia delimitazio- ne dell’Albacar Viejo, da completare verso sud con nuove mura, poiché da quel lato il monte Benicantil offriva un terreno meno ripido rispetto allo strapiombo della parete rocciosa rivolta verso la città. L’idea del Fratin, che ave- va ritenuto opportuno modificare i bastioni progettati da Antonelli, veniva contestata a sua volta dal Gonzaga, che considerava il progetto del fronte tenagliato un grande er- rore tecnico. Nelle planimetrie viene segnalata con una nota la soluzione della tenaglia, a confronto della proposta di Vespasiano basata su semibaluardi ricollegati in parte ai torrioni preesistenti, progetto che sarà successivamente costruito73. La realizzazione iniziava a partire dal settem-

bre del 1580, con uno stanziamento di 3.000 ducati che il consiglio della città aveva avuto in prestito per le opere di fortificazione. Don Manrique de Lara, Duca di Nagera e portavoce del re, richiedeva al consiglio ed ai pagadores nominati, la consegna di mille ducados a favore del mastro Juan de Ambuesa e per l’inizio delle opere74.

A pochi anni di distanza il viceré richiedeva il computo delle somme stanziate per il castello, segno che le opere erano ancora in corso75.

Note

1. LamBerini 1988. L’autrice fa riferimento alla “spietata logica del

guasto”, espressione usata da Concina per descrivere l’operato di Michele Sanmicheli e le sue vaste distruzioni per l’ammodernamen- to delle cinte murarie.

2. Per motivi politici e data l’importanza degli ordini religiosi, le amministrazioni elargivano con maggiore velocità e solerzia gli in- dennizzi alla chiesa, di fatto privilegiandone i diritti a discapito dei cittadini comuni, le cui suppliche non sempre ricevevano udienza o giusto compenso, e in ogni caso tardavano sicuramente più tempo prima di essere conguagliate.

3. maggi-Castriotto 1564, Della Fortif. delle Città, Della fortifica-

tione d’una Città antica, cap. XXX, ff. 72 v-73 r: «Le fortifìcationi sempre sono state fatte di maniera, che elleno potesser resistere alle offese, che alle muraglie fare si solevano. Laonde è intervenuto, che le fabriche, quali in una età sono state stimate fortissime, e sicuris- sime, nell’altra,che è venuta dopo, siano riuscite deboli,e di poca ò nessuna sicurezza. Il che si vede hoggi in alcune Città fortificate al tempo de’ nostri avi (per non parlare delle fortificationi più antiche) quali già erano stimate fortissime, e dopo la perfetta arte delle ar- tiglierie, e de’ modi d’espugnare le fortezze, si veggono essere tali, che solo contra battaglia di mano promettono salvezza. E questo procede non solo dalle muraglie sottili, senza terrapieni, contrafor- ti, Balluardi, e senza larghi, e profondi fossi; mà ancora da gli edifi- tij privati, quali sono troppo vicini alla muraglia, & in alcuni luoghi ancora sono in parte fondati sopra torrioni, è parapetti di quella. La qual cattiva consuetudine fu antichissima, e s’introdusse nelle terre molto popolate, non per altra cagione, che per carestia di sito. Perciò che coloro, che habitavano presso alle mura, per allargarsi, sempre con gli edifitij loro à quelle si avvicinavano; e coloro che erano molto vicini, gittavano dalle loro case, al muro publico ar- chi, e con portici coprivano il pomerio; ò vero cercavano di servirsi delle torri fatte per fiancheggiare la muraglia. E questo si veniva à fare ne’ tempi di pace, ne’quali poco si suol pensare à’ bisogni che vengono nelle guerre [...]. Testifica ancora Tito Livio, dove egli par- la del pomerio, che’l volgo al suo tempo costumava di congiugnere gli edifitij privati alle mura delle Città. Donde fù per legge prohi- bito, che non s’edificasse su queste mura. Benché gli Imperadori Romani dopo provedessero, che gli edifitij, che sono congiunti alle mura, ò vero ad altre opere publiche, sé da quelli si fusse potuto temere pericolo d’incédio, ò d’infidie, ò vero gli spatij delle piazze si venissero à ristrignere, si dovessero rovinare, e gittare à terra. e si legga ne’ Digestii, che le mura, e le porte non si possono habitare senza la licentia dello Imperadore. e manifestamente si vegga, che gli Imperadori Honorio, e Theodosio concessero per uso d’alcuni privati, le torri di certe muraglie d’una Città nuovamente fatte, non per altra cagione, se non che per essere tali torri, e muraglie fa- bricate nel terreno di quei privati. Le Città adunque, che hanno gli edifitij privati congiunti alla muraglia, ò à quella troppo vicini, sono debolissime, prima perche sono molto sottoposte al pericolo de’ tra- ditori; di poi perche non si può tenire ne maneggiare d’intorno alla

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Città artiglieria, e giusto numero di difensori: oltra che, essendo dal nemico battuti quelli edifitij privati con le ruvine riempiono il fosso, e con le pietre battute, che quà, e là volano, offendono grandemente e’ difensori. Però fa mestiero di provedere alla sicurezza di simili Città, e d’ovviare à si grandi inconvenienti».

4. Il pomerium romano rappresentava il confine sacro che veniva solcato con l’aratro al momento della fondazione della città, sul quale veniva eretta la cinta muraria. Livio ne deriva l’etimologia da post moerium ovvero “al di là del muro”, rappresentando quindi per estensione la fascia di rispetto delle mura stesse sia internamente che esternamente, laddove risultava impossibile edificare o coltivare il terreno per legge. Rimane in seguito nel gergo militare per indi- care l’area libera da costruzioni attorno alla muraglia. Cresti-Fara-

LamBerini 1988, p. 235, n.15.

5. Ad esempio nel 1531 a Firenze veniva promulgata una legge che prevedeva una distanza minima di 1000 braccia dalla punta dei ba- stioni, oltre le quali ritornava lecita l’edificazione.

6. «Attorno alle fortezze per spatio di mezzo miglio almanco si deb- bono levare tutte quelle cose che possono impedire la vista, e massi- me edificj, li quali dessero comodità alli nemici, non solo per allog- giare ma per assediar le fortezze o levar le difese[…] Ma s’havrà d’avertire di non osservare questa regola indistintamente in ogni sito: perciò che può accadere di fare un castello in una città che fusse sopra un monte; onde volendo usar questa regola, sarebbe necessario farsi spianate tutte le case che fussero dentro la città […] talché in questi luoghi io lascerei di fare gran piazze». Carlo Theti, Discorso sopra le fortificationi, espugnationi et difese delle città et d’altri luoghi, 1 ed. 1575. Citato da LamBerini 1988, p. 239.

7. «Et à più fortezza del luogo, devesi la campagna intorno alla città tener netta, & senza arbori, per distanza di un miglio, o più; accioché al tempo della guerra si truovi privo il nemico di quelle commodità, per le quali potesse offendere la città». Cataneo 1554,

Cap. VII, Della città posta nel piano, & se il fiume le porgerà o torrà di sanità: & dove à quello bisognerà dare o torre rivolture, & come la coverta delle sue mura sia più laudabile di mattoni, f. 10 v. 8. BeLLuzzi 1598. Citato da LamBerini 1988, p. 222.

9. antoneLLi 1560b, Tagliata, ff. 28 r-v.

10. Sono rari gli episodi in cui si verifica la mancata distruzione di un edificio, scampato alla necessità della fortificazione. Tuttavia uno dei pochi casi si svolge a Firenze e lo tramanda il Vasari, raccon- tando di come la fama di un dipinto di Andrea del Sarto, affrescato nel refettorio del convento di San Salvi a Firenze, avesse salvato per la sua bellezza l’edificio dalla distruzione certa. Scrive il Vasari: «Erano stati i monaci di S. Salvi molti anni senza pensare che si mettesse mano al loro cenacolo, che avevano dato a fare ad An- drea, allora che fece l’arco con le quattro figure, quando un abate galantuomo e di giudizio deliberò ch’egli finisse quell’opera; onde Andrea [del Sarto, N.d.A.], che si era già a ciò altra volta obbligato, non fece alcuna resistenza, anzi, messovi mano, in non molti mesi, lavorandone a suo piacere n pezzo alla volta, lo finì, e di maniera, che quest’opera fu tenuta ed è certamente la più facile, la più vivace di colorito e di disegno che facesse giammai, anzi che fare si ossa;

avendo oltre all’altre cose dato grandezza, maestà e grazia infinita a tutte quelle figure; in tanto che io non so che mi dire di questo cenacolo, che non sia poco, essendo tale, che chiunque lo vede resta stupefatto. Onde non è meraviglia se la sua bontà fu cagione che nelle rovine dell’assedio di Firenze l’anno 1529 egli fusse lasciato stare in piedi, allora che i soldati e guastatori per comandamento di chi reggeva rovinarono tutti i borghi fuori della città, i monaste- ri, spedali e tutti gli altri edifizi. Costoro, dico, avendo rovinato la chiesa e il campanile di S. Salvi e cominciando a mandar giù parte del convento, giunti che furono al refettorio dove è questo cenacolo, vedendo chi li guidava, e forse avendone udito ragionare, sì maravi- gliosa pittura, abbandonando l’impresa non lasciò rovinar altro di quel luogo, serbandosi a ciò fare, quando non avessono potuto fare altro». Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, a cura di Jacopo Recupero, 2009. Vita di Andrea del Sarto, pp. 606-607. 11. I molti lavoranti necessari al cantiere, che veni- va gestito per lunghi tratti di cortina innalzati contemporaneamente onde evitare cedimenti e dissesti statici per la gran mole dell’opera, venivano reclutati nelle classi più basse della società. I contadini venivano appellati marraioli in riferimento ai lavori con la marra in tempo di pace e guastatori in tempo di guerra.

12. A Lucca le piantumazioni arboree sulle nuove mura sollevano il consenso della cittadinanza, che ne apprezza la piacevolezza della promenade: «la prima piantata fece una grandissima impressione a segno che il popolo tutto ne restò molto satisfatto, per la comodità dello spasso che ne prendeva per passeggiarla, come se fosse sua propria villa». Citato da LamBerini 1988, p. 239.

13. Molto spesso il rilievo delle città e delle opere fortificate viene fatto in segreto, per fini di spionaggio militare sulla preparazione militare del nemico. Si veda ad esempio il caso dell’annessione alla Corona spagnola del Portogallo, attuata nel 1580, che era stato pre- ceduto da un accurata preparazione militare basata anche su mis- sioni segrete di ricognizione, e di cui uno dei partecipanti attivi fu proprio Giovanni Battista Antonelli.

14. Machiavelli esprimeva bene questi tre attività con lo «stare sul circuito vecchio», il «crescere la città», il «levare e ridurre». Citato da LamBerini 1988, p. 223.

15. «Nell’esercizio della guerra, la principale e più importante cosa è, che ciascuno di questa professione, e massimamente i grandi, c’habbino ad havere carichi, debbono havere qualche intelligen- tia dell’Arte dell’Architettura grossa, che così io chiamo quella dei Soldati, che volgarmente in ciò sono chiamati Ingegneri, perché applicano il loro ingegno a così nobile esercizio. Da costoro […] nascono tre maniere d’ordini d’opere: l’una è detta Riparatione, l’altra Fortificatione; e la terza Edificatione». Citato da LamBerini

1988, p. 236, n. 26

16. «E più hauta questa universal voluntà, e concludendo che si fa- cessi questa opera, che non sia licito mai haver rispetto a particolar alcuno di qual sorte fussi, acciò l’opera se potesse condurre a quella perfettion che merita, e bisognando alargarsi, strengiersi, rovinar case, orti, campi, selve et altre cose che bisogno fusse (si faccia), con consiglio però di persone giudiciose di questa professione […]

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Et a causa che quelli chel comune pigliassi il loro per questo suo bisogno non perdessero afatto, vorei che questo danno se distribui- sca in comune per far che tutti ugualmente partecipassero, havendo ancor rispetto a quelli che ne guadagnassero, acciò il danno e l’uti-