Capitolo 3. Anni Sessanta: la “rinascitaˮ raccontata dalle riviste periodiche e la
4.1 Un’inchiesta di Indro Montanelli per il «Corriere della Sera»
Negli anni Cinquanta e Sessanta la Sardegna fu oggetto di inchieste realizzate da giornali prestigiosi come «Il Giorno» e soprattutto il «Corriere della Sera». Tra il 1963 e il 1965, sotto la direzione di Alfio Russo, il quotidiano di via Solferino avviò una lunga serie di reportage da tutte le regioni italiane, con il titolo unificante di Italia sotto
inchiesta1. Il Paese era nel pieno del boom economico e molte aree geografiche, compresa la Sardegna, si trovavano in bilico tra antico e moderno. Le inchieste furono condotte da cinque importanti firme del quotidiano milanese: Alberto Cavallari, Piero Ottone, Gianfranco Piazzesi, Giovanni Russo e Indro Montanelli, il quale si occupò di Sardegna, Toscana, Emilia Romagna e Lombardia2.
Come spiegava Montanelli, l’obiettivo dellʼiniziativa assunta dal «Corriere della Sera» era di «sviscerare, regione per regione, i problemi – soprattutto economici e sociali – che le assillano»3. Tra le regioni visitate dal giornalista toscano, la Sardegna era quella più arretrata. Egli la conosceva fin da bambino, dal momento che aveva trascorso alcuni anni a Nuoro, dal 1917 al 1921, al seguito del padre, direttore di una scuola locale. A distanza di circa quarant’anni, Montanelli percorse in lungo e in largo lʼisola, descrivendola come una terra che non era ancora stata scoperta dal turismo di massa4.
Poche settimane prima che lʼinchiesta integrale venisse pubblicata a puntate sul «Corriere della Sera», Montanelli, su esplicita richiesta del gruppo editoriale dellʼ«Unione Sarda», ne diede alcune anticipazioni in un articolo di fondo pubblicato
1
Tali aspetti sono stati citati da S. Gerbi, R. Liucci, Montanelli. L’anarchico borghese. La seconda vita 1958-2001, Torino, Gli struzzi Einaudi, 2009, p. 30.
2
Le inchieste sulle regioni italiane furono raccolte nel volume: I. Montanelli, A. Cavallari, P. Ottone, G. Piazzesi, G. Russo, Italia sotto inchiesta. Corriere della Sera (1963-65), Firenze, Sansoni, 1965 (con un’Avvertenza di Indro Montanelli). Ogni inchiesta era costituita da circa dieci articoli. A partire dal luglio 1969, in vista delle prime elezioni regionali, programmate per il giugno 1970, l’allora direttore del «Corriere della Sera», Giovanni Spadolini, avrebbe promosso un’iniziativa simile a quella del 1963-1965. Gli articoli, rielaborati e arricchiti, uscirono poco dopo, in tre volumi: AA. VV., Italia 70. La carta delle regioni, cit. L’inchiesta sulla Sardegna fu condotta da Alfredo Todisco, Angelo Conigliaro, Antonio Cederna e Giuliano Zincone, con la partecipazione dei giornalisti locali Franco Porru e Manlio Brigaglia.
3
Cfr. I. Montanelli, A. Cavallari, P. Ottone, G. Piazzesi, G. Russo, op. cit., p. XV.
4
sul settimanale del giornale cagliaritano, «LʼInformatore del Lunedì», il 20 maggio 1963: «Una Regione funziona quando a farle da interlocutore cʼè uno Stato efficiente. Quello italiano non lo è più. Un esempio che lo dimostra clamorosamente: la situazione dellʼisola in fatto di porti e di comunicazioni in genere. È un autentico scandalo, e ricade sullo Stato. Tuttavia non so se la Regione lo abbia affrontato con la dovuta risolutezza. Forse se si fosse discusso un poʼ meno sul “Piano di Rinascita” e ci si fosse battuti di più sulle tariffe dei trasporti, si sarebbe raggiunto qualche risultato»5
Entrando nel dettaglio del reportage pubblicato sul quotidiano di via Solferino, Montanelli osservava che in Sardegna era stata debellata la malaria, ma le infrastrutture erano insufficienti e i piani di rinascita industriale stentavano a decollare6: «quest’isola di 24.000 chilometri quadrati, a viaggiarla, sembra vasta come un continente e suggerisce il senso dell’infinito. Il paesaggio è solenne e drammatico. Fra paese e paese, fra villaggio e villaggio, corrono trenta, quaranta, cinquanta chilometri di deserto bruno- giallastro, che uno steppico vento perennemente spazza, e che solo sparse greggi animano di un bianco palpito di vita»7. Secondo Montanelli, «l’anno della «grande svolta8» per la Sardegna fu il 1946:
E a provocarla non fu la politica, ma la chimica. La Fondazione americana Rockefeller aveva deciso di tentare un esperimento integrale di disinfestazione dalla malaria col D.D.T., in un bacino chiuso del Mediterraneo, e aveva scelto Cipro. I quadrimotori erano già in viaggio con il loro carico, quando un esponente sardo del partito liberale, Sanna-Randaccio, riuscì in
extremis a convincere il comando alleato a dirottarli sulla sua isola. Non so a quali argomenti
ricorse. Forse bastarono le statistiche. Quell’anno, di malaria, c’erano stati settantacinquemila nuovi casi. Il flagello dilagava. Gli uomini della “Rockefeller” riconobbero lo stato di emergenza e gli concessero la priorità. Su due piedi fu costituito un Ente regionale per la lotta antianofelica o E.R.L.A.A.S9.
Secondo lʼinviato speciale del «Corriere della Sera», «la convenzione geografica vuole che la Sardegna faccia parte del Mezzogiorno e del suo “problema”»10
.
Ma le differenze sono sostanziali e decisive. Anzitutto, manca nell’isola il fenomeno delle città congestionate e traboccanti. Cagliari e Sassari non sono state fino ad oggi che dei villaggi cresciuti, e solo ora cominciano ad acquistare una fisionomia metropolitana. La società pastorale sarda non era in grado di sviluppare una civiltà urbana. [...] Ma c’è, a differenziare la Sardegna da tutto il resto del Sud, anche un altro fatto, di ordine sociale: la mancata sovrapposizione di una casta conquistatrice, aristocratica e latifondista. [...] Altro carattere distintivo dal resto del Mezzogiorno: appunto la mancanza di una società feudale in
5
I. Montanelli, Della Sardegna parlo da sardo, in «LʼInformatore del lunedì», 20 maggio 1963.
6
Cfr. su questi aspetti S. Gerbi, R. Liucci, op. cit., p. 30.
7
I. Montanelli, Sardegna, arcipelago di uomini, in «Corriere della Sera», 7 giugno 1963.
8
Ibidem.
9
I. Montanelli, Sardegna, arcipelago di uomini, in «Corriere della Sera», 7 giugno 1963.
10
decomposizione, in Sardegna non c’è nulla di decadente, di corrotto e di degradante. [...] questa terra povera non è «depressa» nel senso in cui lo sono le altre terre del Sud. È soltanto primitiva; ma compatta e sana, senza nulla di dissolvente e di putrefatto. Altra particolarità che la differenzia dal Sud: la sua bassa pressione demografica. La Sardegna rappresenta l’otto per cento della superficie nazionale, ma meno del tre della popolazione. Ciò vuol dire che, mentre in Italia la media è di 168 abitanti per chilometro quadrato, in Sardegna è di 5911.
Montanelli era laconico sul tema del banditismo, assurto negli anni Sessanta agli onori della cronaca anche su quotidiani e rotocalchi nazionali:
Il banditismo, quando si fa un’inchiesta sulla Sardegna, è tema d’obbligo. Ma io intendo sbarazzarmene in poche parole, perché non c’è nulla di nuovo da scoprire, se non il fatto ch’è circoscritto a una sola provincia e non riesce a dare alla Sardegna nessun primato nella delinquenza. Per strano che possa sembrare, la Sardegna occupa uno degli ultimi posti nella graduatoria nazionale della criminalità. Ce n’è molta di più in Lombardia o in Toscana. Quello che rende sensazionale il delitto sardo è il suo carattere primitivo e elementare. Esso nasce dalla sfiducia nelle leggi dello Stato, dall’impegno morale di farsi giustizia da sé, come avviene in tutte le civiltà arcaiche, e quasi sempre ha come pretesto iniziale il furto di bestiame. È tutto qui. Intorno ad esso non si sviluppano speculazioni, come accade per esempio in Sicilia. Non c’è in Sardegna una industria della delinquenza, una associazione per il suo sfruttamento, come lo sono la mafia e la camorra, che poi contaminano per metastasi tutta la società12.
Montanelli forniva anche alcuni cenni sull’Istituto autonomistico della Regione Sardegna, in comparazione con quello siciliano:
La Regione venne istituita nel ’48. Anch’essa ha uno statuto speciale, ma i suoi poteri sono meno larghi (e i suoi fondi meno cospicui) di quelli riconosciuti alla regione siciliana. Nelle loro rivendicazioni i sardi si sono mostrati molto più prudenti, cauti e misurati. Non hanno conteso allo Stato la funzione di garante dell’ordine pubblico, non hanno preteso di sostituirglisi nel campo del’istruzione, dell’agricoltura, dell’industria, del commercio, come hanno fatto quelli di Palermo, che poi hanno spiegato in tutti questi settori la competenza e il rigore che purtroppo abbiamo visto. Hanno soltanto chiesto e ottenuto di «amministrarsi» da sé. [...] Il traguardo dell’autonomismo era l’eliminazione di una categoria di «notabili» che si ponevano a intermediari fra il cittadino e lo Stato. [...] Alla regione sarda giova molto il confronto, che viene spontaneo, con quella siciliana. I nove assessori del piccolo governo di Cagliari e i settantadue consiglieri che ne compongono la assemblea non forniscono lo sconcertante spettacolo di fasto, di arroganza e di disinvoltura manovriera che offrono i loro colleghi di Palermo. [...] Ma, quanto a vero rinnovamento politico in senso democratico, passi avanti non mi pare che se ne sia fatti. Prendendo il posto del vecchio «notabile», il dirigente regionale lo è diventato a sua volta, e lo dimostra la sua perennità. [...] Se si facesse un plebiscito sulla regione, credo che, a differenza della Sicilia dove il «no» sarebbe massiccio, essa verrebbe riconfermata. Ma più per un viluppo di interessi costituiti che per convinzione ideologica. L’uomo della strada in Sardegna si sente lontano, estraneo alla Regione, come per secoli lo fu allo Stato centrale. [...] In tutto questo, la responsabilità dei partiti è grave13.
11
I. Montanelli, Sardegna, arcipelago di uomini, in «Corriere della Sera», 7 giugno 1963.
12
Ibidem.
13
Dal punto di vista economico-sociale, il protagonista della vita sarda era il pastore: «È lui il solo essere umano che s’incontra traversando le solitudini del “profondo Sud” [...], la provincia di Nuoro: ritto su un sasso, appoggiato al bastone di vincastro, in un’immobilità quasi minerale»14
. Montanelli notava come, malgrado statisticamente la figura del pastore fosse in contrazione, rimanesse immutato il peso da questo «esercitato sulla mentalità, sul costume, sulla socialità, o per meglio dire sulla asocialità della Sardegna»15. Anche chi oggi è medico, avvocato, commerciante, ha un babbo o un nonno pastore, con la sua «allergia alle iniziative», con la sua «inesausta sete di libertà e di solitudine», con il suo «forsennato individualismo»16. «È lui che ha dato un carattere ai sardi. [...] È lui che campeggia nei componimenti della scarsa letteratura sarda, i romanzi della Deledda e le poesie di Sebastiano Satta»17. Montanelli rilevava che «nella difficile coabitazione della tradizionale pastorizia con una agricoltura in sviluppo e che, bene o male, si va modernizzando, sono compendiati molti dei più annosi e difficili problemi dell’isola»18
.
Eppure, la Sardegna non può fare a meno della sua pastorizia, che fornisce il quarantacinque per cento al suo complessivo prodotto agrario; e ci sono intere province, come quella di Nuoro, che, senza la pastorizia, letteralmente morrebbero. Bisogna quindi trovare delle condizioni che le consentano di convivere con l’agricoltura in sviluppo. Ma il problema è di difficile soluzione […]. Il bestiame sardo è composto quasi tutto di pecore. Ce ne sono circa due milioni e mezzo, che rappresentano un buon trenta per cento del patrimonio complessivo nazionale. [...] La condizione del pastore non è, come molti credono, delle più misere, almeno sul metro sardo. A diecimila lire a pecora, il proprietario di duecento pecore ha un reddito annuo lordo di due milioni. [...] Ma gran parte del guadagno se ne va nell’affitto dei pascoli, che cresce col restringersi delle zone ad essi adibite. [...] Al crescente costo dei pascoli si aggiunge un altro motivo di crisi: l’abigeato, eterna piaga della Sardegna che non accenna a guarire. Il derubato non denuncia il ladro, nemmeno se lo ha riconosciuto, per paura della vendetta. Preferisce rivalersi su un terzo, che a sua volta si rivale su un quarto. E ne deriva un generale stato d’insicurezza, in cui ognuno è alla mercé di ognuno. […] Tutto questo ha creato un fenomeno assolutamente nuovo per la Sardegna: l’esodo in continente. I sardi non sono mai stati migratori. E meno di tutti lo era il pastore, legato alla sua terra da un vincolo quasi di consustanzialità. Ora ha imparato la strada del mare e della Maremma, dove i pascoli sono più a buon mercato, e l’abigeato non esiste. S’imbarca con l’armento, col cane, col giaccone di velluto, col mantello d’orbace, e forse con la disperazione nel cuore. Ma si imbarca19.
Nel suo studio dettagliato sulla regione, Montanelli si interessò anche del fenomeno turistico. Secondo la prima firma del «Corriere della Sera», la Sardegna non era ancora stata assaltata dalla massa di villeggianti a basso costo, proprio a causa del suo
14
Id., Il blasone del pastore e lo scettro del contadino, ivi, 8 giugno 1963.
15
I. Montanelli, Il blasone del pastore e lo scettro del contadino, in «Corriere della Sera», 8 giugno 1963.
16
Ibidem.
17
I. Montanelli, Il blasone del pastore e lo scettro del contadino, in «Corriere della Sera», 8 giugno 1963.
18
Ibidem.
19
isolamento geografico. Nemmeno i sardi sembravano però consapevoli dello splendore del loro paesaggio costiero. Il turismo, che nella regione aveva conosciuto un boom fin dallʼinizio degli anni Sessanta, sarebbe dovuto essere disciplinato. Il rischio, paventato da Montanelli, era che le incantevoli riviere sarde potessero fare la fine di Ostia e Fregene, prese d’assalto dai turisti. E già si avvertivano i segnali delle devastanti lottizzazioni a venire, con il loro corredo di brutture architettoniche e scempi paesaggistici. «È curioso che in questa classe dirigente assetata di “piani” non ce ne sia uno per il turismo, la più promettente e sicura di tutte le industrie, che provveda almeno a impedire la distruzione della sua materia prima: la natura, contro cui si vanno perpetrando autentici delitti architettonici»20.
Nell’articolo del 9 giugno 1963, intitolato I campi in Sardegna soffrono ancora la
sete, Montanelli, inviato speciale ad Arborea, scriveva che «i grandi nemici della
Sardegna, quelli che per secoli ne hanno reso stento [sic] e ritardatario lo sviluppo, erano la malaria e la siccità. La malaria, grazie agli americani, è stata combattuta e debellata in quattro anni di battaglia. La lotta contro la siccità continua da quasi mezzo secolo. Siamo alle porte della vittoria. Ma ci siamo da un pezzo. Quanto dovremo rimanerci?»21. In sostanza, nonostante fossero state portate a compimento opere colossali, con l’acqua che era ormai in grado raggiungere molte città e paesi, e con il problema dell’irrigazione agricola in via di risoluzione, lʼinviato del «Corriere della Sera» si chiedeva: “Ma non sarà troppo tardi?”. Ci saranno ancora le braccia necessarie per sfruttare la nuova ricchezza, in una Sardegna, che nell’ultimo lustro ha registrato un esodo di massa di circa 50.000 persone emigrate, ossia circa il 10% delle 430.000 unità lavorative totali?22. Egli era scettico: «Siamo sicuri che prima o poi l’acqua ai campi arriverà. Ma non siamo altrettanto sicuri che ci trovi ancora le braccia necessarie a sfruttarla. Il ritardo potrebbe rivelarsi catastrofico e irreparabile»23.
Parlando di industrializzazione, Montanelli sosteneva che Il carbone è un ammalato
grave che può contagiare la Sardegna24. Nel sommario si legge: «La sua qualità è
cattiva e il costo di produzione e di trasporto molto elevato. L’ultima terapia escogitata, la Supercentrale elettrica di Porto Vesme, è il campo in cui i partiti politici si stanno dilaniando in un duello all’ultimo sangue». Su questi temi, egli citava Salvatore Cambosu:
20
I. Montanelli, Ora la Sardegna cammina, in «Corriere della Sera», 16 giugno 1963.
21
Id., I campi in Sardegna soffrono ancora la sete, ivi, 9 giugno 1963.
22
Ibidem.
23
I. Montanelli, I campi in Sardegna soffrono ancora la sete, in «Corriere della Sera», 9 giugno 1963.
24
Secondo lo scrittore Cambosu, la nonna dei minatori sardi, Vincenza Urru, è morta nella convinzione che il carbone del Sulcis fosse oro, che in carbone si tramutava per sortilegio, appena tocco [sic] dalla mano avida dell’uomo. Se è vero, bisogna attribuire a nonna Vincenza un certo potere divinatorio perché infatti quel carbone sarebbe stato più prezioso dell’oro solo se lo si fosse lasciato dov’era. [...] La Sardegna è la terra italiana più ricca di minerali. Suoi sono tutto il nostro arsenico e antimonio, il novanta per cento del piombo, il settantacinque del rame, il settanta dello zinco, il cinquanta del bario [...] Ci sono, è vero, nelle viscere del Sulcis, milioni di tonnellate di carbone. Ma di cattiva qualità e di costosa estrazione25.
Anche in questo caso il giudizio di Montanelli si facevo amaro:
L’opinione che mi sono fatta (e spero di sbagliarmi), è che, com’è avvenuto per l’irrigazione, anche per l’industrializzazione si sia messa troppa carne al fuoco, che rischia di arrivare in tavola a commensale già morto di fame. Anche in Sardegna la classe dirigente mostra tanta intelligenza dei problemi generali quanto negligenza di quelli particolari. Vede la montagna, ma ignora il muretto e v’inciampa. Non pensa che alla palingenesi, e disprezza quelle riforme spicciole e graduali, che sole possono avviare un sano e organico sviluppo. Si preoccupa delle «riforme di struttura» e delle «industrie di base», ma non ha ancora istituito dei semplici caseifici per razionalizzare l’unica sua produzione sicura: quella del latte e dei formaggi26.
Il 13 giugno 1963 Montanelli si occupò del Piano di rinascita, in un articolo intitolato
Strano gioco delle parti tra Stato e Regione in Sardegna. Nel sommario si legge:
«Solamente un dialogo più ordinato fra Cagliari e Roma potrebbe colmare certe gravi lacune e contraddizioni. Il piano della rinascita deve avere carattere veramente aggiuntivo e non sostitutivo delle spese ordinarie»27.
Dal ’50 ad oggi lo Stato ha speso in Sardegna qualcosa che oscilla sui seicento miliardi. Non si può dire che li abbia buttati al vento. Nello stesso spazio di tempo la produzione agricola è più che raddoppiata. Il reddito pro capite è aumentato del trenta per cento. La disoccupazione effettiva non supera le diecimila unità. L’industrializzazione ha preso l’avvio. Dei risultati insomma ci sono. Ma c’è da chiedersi se non se ne sarebbero raggiunti di migliori e più decisivi, se si fosse agito in maniera un po’ più ordinata. Gli interventi sono stati arruffati, discontinui e talvolta concorrenziali. Lo strumento principale è stata la Cassa del Mezzogiorno, che qui ha operato molto bene e con grande serietà in tutti i settori. Le faraoniche dighe sul Flumendosa sono merito suo. Dei duecento miliardi che la Cassa ha investito in Sardegna, non ho visto nulla, o quasi nulla, che si presti a critiche. Si capisce solo ch’è mancato un certo coordinamento, una rigorosa scala di priorità. E a questa carenza si deve lo squilibrio fra le troppe cose iniziate e le troppo poche concluse. Ma di ciò non ha colpa la Cassa. Ne ha colpa la mancanza di un organico «piano». Eppure, questo «piano» era stato previsto nello stesso Statuto del ’48, che istituiva la Regione. [...] Questo solenne impegno fu preso la bellezza di quindici anni fa. E, se si fosse attuato subito, ora avremmo sotto gli occhi il primo esempio di «programmazione» su scala regionale. Invece si è trascinato fino ad oggi […] e sotto gli occhi ci mette la prova del disordine, della confusione e degli sprechi, in cui queste programmazioni sono destinate a gettare il Paese28.
25
Ibidem.
26
I. Montanelli, Il carbone è un ammalato grave che può contagiare la Sardegna, in «Corriere della Sera», 11 giugno 1963.
27
Id., Strano gioco delle parti tra Stato e Regione in Sardegna, ivi, 13 giugno 1963.
28
Montanelli metteva in evidenza che nel 1961, in vista delle elezioni regionali, la Dc voleva presentarsi, per mantenere le sue posizioni di potere, come il «partito della rinascita»29:
[...] e così il Piano di rinascita della Sardegna assolse il suo principale compito; che non è tanto quello di far rinascere la Sardegna, quanto di mantenervi al potere la D.C. Ma se questo fu il discutibile atteggiamento del partito di maggioranza, non meno discutibile fu quello dei partiti di opposizione. I quali risposero non con una critica al piano per l’impostazione che dava ai problemi e i mezzi che indicava per risolverli, ma mobilitando demagogicamente le passioni isolane contro quello che essi definiscono un attentato allo spirito dell’autonomia e alle prerogative della regione30.
Infine, il problema più annoso era dato dall’ambiguità dell’articolo 13, secondo cui il Piano doveva essere «predisposto dallo Stato con il concorso della Regione». Tuttavia,