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Capitolo 3. Anni Sessanta: la “rinascitaˮ raccontata dalle riviste periodiche e la

3.2 Le prime fasi dell’Istituto autonomistico

«Ichnusa» non si schierò mai ideologicamente sul solco di un partito o di un movimento politico, ma piuttosto rimase aperta a tutte le istanze e agli interventi che potessero portare all’organizzazione di un dibattito serio, articolato e unitario sui problemi politici e culturali dell’isola. L’attuazione del Piano di rinascita economica e sociale della Sardegna, poiché derivava da una norma inserita nell’articolo 13 dello Statuto sardo, costituiva una parte integrante dell’Istituto autonomistico che, proprio allora stava muovendo i suoi primi passi, tra incertezze e contraddizioni. A tal proposito, Martin Clark scrive:

Nell’insieme, non si trattava di un grado troppo impressionante di autonomia legislativa od anche amministrativa. Erano clamorosamente assenti alcuni temi importanti, ad esempio ogni riferimento alla lingua sarda. Ma il nuovo sistema si adattava all’élite sarda. In particolare le conveniva l’art. 13: «lo Stato, col concorso della Regione, dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’isola». Qui c’era la promessa esplicita di grandi investimenti di capitale dalla terraferma: nuove «leggi speciali», l’obiettivo costante degli uomini politici sardi fin dal XIX secolo. Nessun’altra regione d’Italia aveva inserito un simile impegno proprio nel suo statuto. Per i trent’anni successivi, ed anche oltre, la politica sarda avrebbe ruotato attorno a questo piano di modernizzazione. Così in Sardegna autonomia non significò autogoverno, ma richiesta di concessioni materiali e di modernizzazione13.

Fin dalle origini, quindi, quella sarda si caratterizzò come un tipo di autonomia “limitata”. Un aspetto che sarebbe stato denunciato insistentemente anche sulle colonne di «Ichnusa». Il problema consisteva nel fatto che la prosperità garantita dai finanziamenti dello Stato italiano fu considerata più importante dell’autonomia vera e propria, sia amministrativa che finanziaria. Ciò era dovuto alla «dipendenza dei partiti politici dalle centrali nazionali»14. Messe da parte le spinte separatiste, ma anche quelle genuinamente autonomistiche e federaliste, la Regione sarda non riuscì a godere e ad utilizzare i presupposti dell’autonomia, tanto che la «nuova strategia autonomistica si affermò in modo lento e stentato»15.

12

Ivi, p. 76.

13

M. Clark, La storia politica e sociale (1915-1975), in M. Guidetti, (a cura di), op. cit., p. 428.

14

S. Tola, op. cit., p. 22.

15

M. R. Cardia, Processi storici e istituzione regionale: dallo Statuto al Piano di rinascita (1943-1962), in M. Guidetti, (a cura di), op. cit., p. 493.

Pigliaru assunse sempre posizioni alquanto critiche nei confronti dell’autonomia. A tal proposito, fu indicativo il suo intervento nel numero ventidue della rivista quando, in occasione del decennale della promulgazione dello Statuto, ne mise in risalto le insufficienze intrinseche di carattere tecnico-politico. A suo giudizio, l’atteggiamento inerte e passivo che contraddistingueva la vita politica della Sardegna era dovuto a uno Statuto che teorizzava l’autonomia, ma non ne permetteva l’attuazione. Se non fosse stato modificato, la politica sarda e la vita stessa dei sardi avrebbero «continuato a stagnare in modo davvero preoccupante»16.

A questa situazione avevano contribuito, di fatto, la fine dell’unità antifascista e le alterne vicende del Partito sardo d’Azione, il quale aveva progressivamente smarrito la sua natura di forza politica di primaria importanza, guadagnata nel primo dopoguerra. Alle elezioni per l’Assemblea costituente, il Psd’Az ottenne il 10,2% dei voti17, riuscendo ad eleggere soltanto due deputati, contro sei della Dc, due del Pci, uno del Psi e uno del Movimento dell’Uomo qualunque. Due anni dopo, in seguito alle elezioni politiche del 18 aprile 1948, approdò in Senato un solo sardista contro tre candidati della Dc, uno del Fronte popolare e uno del Blocco nazionale. Situazione simile anche anche alla Camera, dove fu eletto un solo sardista, contro nove democristiani, un esponente del Fronte popolare e uno del Blocco nazionale.

Nel luglio 1948, la crisi del Partito sardo d’Azione portò alla drammatica scissione di Emilio Lussu dal suo partito che, secondo Martin Clark, una volta perduto il leader storico, «per molti anni si accontentò di agire come un partner subordinato alla DC, nel governo regionale»18. La Dc, con la vittoria del 18 aprile 1948, assunse un ruolo da protagonista nelle vicende politiche della Sardegna. I politici sardi non furono però in grado di comprendere «l’ampiezza della novità che si introduceva nella carta costituzionale ed i valori positivi che un’organizzazione decentrata dello Stato poteva esprimere»19.

Le prime elezioni regionali, svoltesi nel maggio 1949, segnarono lʼinizio della collaborazione tra Dc e Psd’Az20

. Tuttavia, già nel corso della prima legislatura (1949- 1953), nell’ottobre 1951, si verificò una prima rottura di questo accordo collaborativo, con il passaggio del PsdʼAz allʼopposizione e la formazione di una nuova giunta

16

A. Pigliaru, Documenti, in «Ichnusa», n. 22, 1958.

17

Cfr. su questi dati M. Clark, La storia politica e sociale (1915-1975), in M. Guidetti, (a cura di), op. cit., p. 429.

18

Ibidem.

19

P. Soddu, (a cura di), Paolo Dettori. Scritti politici e discorsi autonomistici, Sassari, Gallizzi, 1976, p. 45.

20

Si segnala su questi aspetti M. Clark, La storia politica e sociale (1915-1975), in M. Guidetti, op. cit., p. 432.

monocolore Dc guidata, come in precedenza, da Luigi Crespellani: i tre assessori sardisti furono sostituiti da due tecnici, Mario Azzena e Mario Carta21. Con i sardisti relegati ai margini dello scacchiere politico si ridusse drasticamente la possibilità di una gestione autonoma della politica regionale. L’amministrazione della Regione divenne ancora più chiaramente dipendente de facto da quella romana. Così come a Roma la politica era caratterizzata «dallo spettacolo continuo di una Democrazia Cristiana tesa alla ricerca di alleati politici, al centro innanzitutto ma anche a destra e a sinistra»22, anche a Cagliari l’assemblea regionale si presentava come una copia ridotta del modello romano.

L’Assemblea regionale, la Giunta e l’amministrazione si modellarono tutte sui loro corrispettivi romani. Tanto in Italia quanto in Sardegna il sottogoverno divenne presto il modo dominante di governare. Molti uffici statali o locali – enti assistenziali, casse di risparmio, organismi per la riforma agraria, fondi assicurativi – furono colonizzati da uomini di partito. [...] Così l’autonomia sarda non significò uno sforzo concertato sardo per l’autogoverno, neppure un’espressione concertata di richieste sarde; significò concessioni governative – nei fatti, partitiche – a clienti sull’isola, proprio come aveva fatto la vecchia centralizzazione. O piuttosto significò pressione costante per queste concessioni; e, sull’isola, approvazione di leggi regionali per completare ed integrare la politica centrale dello stato23.

Tuttavia, non mancarono le proteste da parte di alcuni esponenti della Dc sarda contro le trascuratezze e lo scarso senso di giustizia che il governo nazionale dimostrava nei confronti dell’isola. I politici locali furono però spesso richiamati alla disciplina di partito e all’osservanza delle direttive romane, confermando che lo spazio concesso alle aspirazioni concretamente autonomistiche era davvero ridotto24. Basti pensare alle dimissioni di Alfredo Corrias da presidente della Regione e da consigliere regionale nel giugno 1955, a causa dell’«odiosa, inaccettabile discriminazione degli interventi statali ai continui danni della Sardegna»25.

Intanto, nel 1953 la Dc aveva compiuto un balzo in avanti rispetto alle elezioni regionali del 1949, mentre il Partito sardo d’Azione aveva visto i propri consensi calare ancora una volta26.

21

Lʼelenco delle giunte regionali dalla I alla XIV Legislatura è consultabile in http://consiglio.regione.sardegna.it/Manuale%20consiliare/XIV_Legislatura/Tomo%20II/08%20-

%20Giunte%20regionali.pdf.

22

P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988, Torino, Einaudi, 1989, p. 188.

23

M. Clark, La storia politica e sociale (1915-1975), in M. Guidetti, (a cura di), op. cit., pp. 434-435.

24

Cfr. su questi aspetti, S. Tola, op. cit., p. 62.

25

Il presidente della Regione Alfredo Corrias si dimette da consigliere regionale, in «La Nuova Sardegna», 9 giugno 1955.

26

Per un prospetto dei risultati delle elezioni del secondo Consiglio regionale della Sardegna, 14 giugno 1953, si veda

Si può affermare che negli anni Cinquanta la Dc riuscì a governare stabilmente la Regione, esprimendo la quasi totalità degli assessori, pur allʼinterno di maggioranze politicamente diverse: dagli esecutivi monocolore Dc alle giunte basate su una ripresa di alleanze con il PsdʼAz, dai governi appoggiati dalla destra monarchica e missina fino a quelli di centrosinistra a presidenza Efisio Corrias a partire dal novembre 195827.

3.3 «Ichnusa» in prima linea per l’applicazione del Piano di rinascita

Le discussioni e le proteste riguardanti l’avvio dell’ordinamento autonomistico procedevano di pari passo con le attese che l’articolo 13 dello Statuto aveva creato tra i sardi. In questo clima di speranza, dalle pagine di «Ichnusa» gli intellettuali offrirono le loro analisi e i loro contributi. Nel numero undici della rivista, in un editoriale dedicato al rapporto cultura-rinascita, Antonio Pigliaru spiegava il perché dell’interessamento, da parte degli intellettuali, ai temi inerenti al Piano. Egli ripeteva la necessità di considerare la rinascita non solo come un piano economico, ma piuttosto come un piano di attuazione politica in grado di configurarsi alla stregua di una vera e propria riforma, politica e culturale: «se […] si tratta di fare una rinascita, quindi di organizzare programmaticamente una certa azione o un certo tipo di intervento nella storia [...] è chiaro allora che un piano di rinascita regionale si deve sempre concepire come lo sviluppo coerente e culminante di una riforma culturale di fondo»28. In sostanza, secondo Pigliaru, senza un’adeguata conoscenza e analisi dei problemi sociali, economici e culturali dei sardi, non si sarebbe potuta realizzare alcuna autonomia politica, né tantomeno alcuna rinascita: non era possibile governare senza conoscere.

Intanto, l’iter di applicazione dell’articolo 13 dello Statuto sardo subì notevoli ritardi. Nel dicembre 1951 il governo, d’intesa con la giunta regionale, aveva costituito una Commissione consultiva per studiare le risorse sarde e la loro valorizzazione. Questa, tuttavia, a causa della mancanza di finanziamenti, avrebbe iniziato i suoi lavori soltanto nel maggio 1954. Le incertezze e i ritardi governativi nazionali e regionali fecero sì che la Commissione consegnasse dopo ben quattro anni, nell’ottobre 1958, un Rapporto

conclusivo sugli studi per il Piano di Rinascita. In esso venivano previste due fasi di

intervento, una decennale e l’altra trentennale, e una spesa complessiva di 861,9

http://consiglio.regione.sardegna.it/Manuale%20consiliare/XIV_Legislatura/Tomo%20II/02a%20- %201953%20Secondo.pdf.

27

Cfr. lʼelenco delle giunte regionali dalla I alla XIV Legislatura, in http://consiglio.regione.sardegna.it/Manuale%20consiliare/XIV_Legislatura/Tomo%20II/08%20-

%20Giunte%20regionali.pdf.

28

miliardi, di cui 456 a carico dello Stato e 405 dei privati29. Il Rapporto suggeriva un modello di sviluppo basato sulle piccole e medie industrie, le quali, in teoria, avrebbero dovuto fare da volano per la consequenziale espansione dei comparti della pastorizia e dell’agricoltura, sfruttando le risorse e i saperi locali. Si puntava a un tipo di capitalismo “non aggressivo”, finalizzato alla produzione di una ricchezza diffusa.

Per tutti gli anni Cinquanta la Commissione aveva lavorato con lentezza e ritrosia all’elaborazione del Piano, mentre dalla Sardegna si erano levate grida di protesta per richiedere e ottenere procedure più veloci: nel 1956, a Cagliari, il “Movimento per la rinascita della Sardegna” aveva organizzato una nuova conferenza sul Piano, ritenendo che le condizioni sociali ed economiche dell’isola si stessero aggravando di anno in anno. La lentezza nell’elaborazione di un piano di sviluppo, quanto mai necessario in una regione come la Sardegna, si manifestò fin da subito come sintomo di un Istituto autonomistico rimasto ancorato ad un’idea centralizzata del potere. Autonomia e Piano di rinascita erano legati l’una all’altro, tanto che la debolezza della prima si ripercuoteva sulla lentezza di attuazione del secondo.

Nel 1957 «Ichnusa» si occupò in maniera approfondita delle elezioni regionali che si svolsero il 16 giugno. Un momento cruciale, poiché stavano per concludersi i lavori preparatori del Piano e, di conseguenza, sarebbero stati affidati incarichi e compiti di notevole importanza. In un editoriale pubblicato nel numero sedici, intitolato Verso le

elezioni regionali, Pigliaru rilevò come la nuova giunta avrebbe dovuto affrontare le

problematiche legate a «quel piano di rinascita economica e sociale dell’isola»30: l’articolo 13 e l’annesso piano erano, secondo il direttore della rivista, l’unica carta spendibile per il bene della Sardegna; l’unica che, di fatto, ad essa era stata offerta31

. L’analisi del voto e un primo bilancio delle consultazioni furono oggetto di un editoriale dal titolo Il terzo Consiglio Regionale, pubblicato nel numero diciotto. Al di là della prevedibile vittoria della Democrazia cristiana, l’attenzione del “padre” di «Ichnusa» fu dedicata alla crisi del Partito comunista italiano, che registrò un «sensibile regresso»32. Egli puntò l’attenzione anche sul Partito monarchico popolare dell’armatore napoletano Achille Lauro che, non presente nelle precedenti elezioni, ottenne il 9%

29

Cfr. M. R. Cardia, Processi storici e istituzione regionale: dallo Statuto al Piano di rinascita (1943- 1962), in M. Guidetti, (a cura di), op. cit., p. 493.

30

A. Pigliaru, Editoriale: Verso le elezioni regionali, in «Ichnusa», n. 16, 1957.

31

Ibidem.

32

delle preferenze, portando ben sei rappresentanti in Consiglio regionale33. Era esplicita la critica di Pigliaru alle idee esposte dalla rubrica “Al caffè” di Aldo Cesaraccio su «La Nuova Sardegna», la quale avrebbe in un certo senso favorito lʼaffermazione del laurismo:

La misura dell’improvviso successo del laurismo (pochi mesi d’organizzazione) non può non darci, deve darci la misura dei nostri torti, delle nostre responsabilità, la misura dell’estrema «imbecillità» di quella azione quotidiana di diffamazione della politica cui, consapevolmente o non, abbiamo tuttavia posto mano, direttamente o indirettamente, per esempio con le parole che solitamente diciamo «al caffè» o con le reazioni che di volta in volta evitiamo per una specie di pudore che in realtà è solo pigrizia34.

Secondo Pigliaru, quindi, il fatto più rilevante dei risultati elettorali era rappresentato dal successo dei movimenti qualunquisti, inviduando in essi soprattutto le forze del Partito monarchico popolare35.

Nel 1958, la pubblicazione della rivista «iniziò a subire sbalzi, modifiche e alterazioni senza che si manifestasse un nuovo indirizzo, ma anzi con una riduzione dell’impegno complessivo»36. Tra il 1959 e il 1960 nacque l’idea della terza fase di

«Ichnusa», che prese avvio dal numero trentaquattro. A parte alcune modifiche grafiche – il formato più piccolo, la testata più moderna, la presenza in copertina di un sottotitolo più sintetico, l’indicazione dei nomi degli articolisti – il motivo dominante della rivista, in questa terza fase, divenne l’attuazione del Piano di rinascita e il rinnovato impegno degli intellettuali sardi “autonomisti”. La rivista si era data un indirizzo editoriale preciso, fondato sullo stretto rapporto tra democrazia, autonomia e rinascita. Anche gli intellettuali chiamati al dibattito furono definiti “intellettuali autonomisti”, mentre il periodico si arricchiva di un nuovo slogan: “una cultura moderna per una Sardegna moderna, una cultura autonomista per una Sardegna autonoma”.

Lo stesso Pigliaru sviluppò questi concetti in due editoriali: il primo, intitolato

L’intellettuale autonomista37

, e il secondo, Il lavoro di Ichnusa38, da cui si evince che egli considerava la sua rivista un organo necessario allo sviluppo culturale della Sardegna: «l’occasione offerta alla cultura sarda per un esercizio libero e attivo di se

33

Per i risultati delle elezioni del terzo Consiglio regionale della Sardegna, 16 giugno 1957, si veda http://consiglio.regione.sardegna.it/Manuale%20consiliare/XIV_Legislatura/Tomo%20II/02a%20- %201957%20Terzo.pdf.

34

Ibidem.

35

Cfr. A. Pigliaru, Editoriale: Il terzo Consiglio Regionale, in «Ichnusa», n. 17, 1957.

36

S. Tola, op. cit., p. 83.

37

A. Pigliaru, Editoriale. L’intellettuale autonomista, in «Ichnusa», n. 33, 1959.

38

medesima, cioè una “sede” permanente, appunto, di organizzazione culturale»39

. «Ichnusa», luogo d’incontri e scontri, mirava a diventare «il punto di riferimento di tutta l’iniziativa culturale in Sardegna»40

, favorendo l’inserimento attivo degli intellettuali autonomisti nella vita regionale.

Intanto la Commissione incaricata di realizzare gli studi preliminari all’attuazione del Piano di rinascita aveva portato a termine i suoi lavori nel 1958 e li aveva comunicati attraverso la redazione di un Rapporto conclusivo consegnato ad Antonio Segni, presidente del Consiglio dei ministri. Tuttavia, «fra la pubblicazione dell’elaborato della Commissione di studio e l’approvazione del Piano passarono ancora quattro anni, nei quali le linee di intervento inizialmente delineate furono rielaborate da una nuova commissione (Gruppo di lavoro, 1959-61), nominata dal ministro della Cassa per il Mezzogiorno Giulio Pastore»41.

Il 31 marzo 1959 la Regione Autonoma della Sardegna, attraverso la legge regionale numero 7, sancì l’istituzione dell’assessorato alla Rinascita, affidato al democristiano Francesco Deriu42. Sulla base dei dettami forniti dal nuovo Gruppo di lavoro, si tracciò una diversa ipotesi di sviluppo della Sardegna, non più incentrata sulla crescita del comparto agricolo e sulle risorse locali, bensì sulla convinzione che solo una strategia industriale esogena avrebbe consentito di superare il divario tra l’isola e l’Italia settentrionale. Anche a proposito dei fondi da utilizzare per l’attuazione del piano, la situazione fu modificata dal nuovo Gruppo di lavoro. Se la precedente Commissione aveva preventivato un programma da realizzare in due fasi distinte, una di dieci e l’altra di trent’anni, con una spesa totale di 861,9 miliardi di lire, il nuovo Gruppo di lavoro ridusse gli investimenti totali a 670 miliardi, di cui 395 a carico dello Stato, da distribuire in un’unica fase di quindici anni. In sostanza, il nuovo Gruppo di lavoro spostò «verso l’industria (dall’8 al 20 per cento) una parte delle risorse inizialmente destinate all’agricoltura (che scesero dal 68 al 40 per cento)»43

.

Rimaneva l’incognita su quale sarebbe stato l’organo addetto alla gestione e all’attuazione del Piano. Si trattava di intraprendere il cammino verso la fase conclusiva del lungo iter preparatorio. Tuttavia, quando le proposte del Gruppo di lavoro furono sul punto di essere trasformate in disegno di legge, lʼesecutivo guidato da Antonio Segni

39

A. Pigliaru, Editoriale. L’intellettuale autonomista, in «Ichnusa», n. 33, 1959.

40

Id., Editoriale. Il lavoro di Ichnusa, ivi, n. 34, 1960.

41

S. Sechi, La Sardegna negli «anni della Rinascita», in M. Brigaglia, A. Mastino, G. G. Ortu, (a cura di), op. cit., 72.

42

Si fa riferimento alla legge regionale n. 7 del 21 marzo 1959, Norme relative al funzionamento ed ai servizi dellʼAssessorato regionale alla rinascita.

43

S. Sechi, La Sardegna negli «anni della Rinascita», in M. Brigaglia, A. Mastino, G. G. Ortu, (a cura di), op. cit., p. 72.

venne sfiduciato e cadde. I problemi della Sardegna furono messi in secondo piano dal governo di transizione guidato da Fernando Tambroni, che ebbe vita breve perché, in seguito ai famosi scontri di Genova44, si dovette dimettere. Sarebbe toccato al nuovo esecutivo guidato da Amintore Fanfani la definizione del disegno di legge concernente l’attuazione del Piano.

Tutti i quotidiani e le riviste isolane dedicarono ampio risalto alla vicenda, trasmettendo all’opinione pubblica fiducia e speranza per il nuovo corso, ma nello stesso tempo anche una certa impazienza e delusione per il lungo protrarsi dei lavori di preparazione. Inoltre, si avvertiva il rischio che la Regione potesse avere un ruolo marginale nell’attuazione finale del Piano.