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Capitolo 2. La stampa cattolica nel secondo dopoguerra e l’arrivo della

2.4 I primi passi della televisione in Italia e in Sardegna

Negli anni Cinquanta un nuovo mezzo di comunicazione, la televisione, apparve nelle case degli italiani, aggiungendosi alla stampa, alla radio e al cinema. Anche su questo nuovo strumento di informazione, com’è stato analizzato in precedenza per i giornali cattolici, il ruolo esercitato dalla Chiesa e dal governo democristiano fu

molto influente nella determinazione delle strategie e della linea editoriale96. I cattolici compresero fin da subito le potenzialità e i rischi incarnati dal nuovo mezzo: è sintomatico che, la stessa domenica 3 gennaio 1954, giorno dʼinizio delle regolari trasmissioni televisive dell’emittente pubblica «Rai», Pio XII invocasse pubblicamente l’emanazione di opportune norme dirette a far sì che la televisione contribuisse alla sana ricreazione dei cittadini e alla loro educazione ed elevazione morale97. La necessità di tutelare il buon senso e la morale dei cittadini fu parimenti avvertita dal Consiglio di Amministrazione della «Rai» che, nel 1953, provvide a emanare un codice di autodisciplina da prendere a modello sia nelle trasmissioni informative sia in quelle di intrattenimento: non si potevano pronunciare le parole divorzio e prostituzione, ed era vietato esaltare l’odio di classe. «È facile capire come queste norme, al di là del loro contenuto letterale, si prestassero ad essere utilizzate, nelle mani di solerti funzionari, come strumenti di censura praticamente illimitati»98.

La televisione si impose velocemente: alla fine del 1954 il numero degli abbonati ammontava a 88.118 utenti99. L’accoglienza nei confronti del nuovo mezzo fu rapida e generale, specialmente tra le classi popolari, che si sentivano da sempre escluse dalla civiltà moderna e verso le quali s’indirizzò l’azione pedagogica della prima televisione controllata dalla Dc100. Le trasmissioni televisive accrebbero la diffusione del sapere e delle conoscenze, accelerando la circolazione delle informazioni, favorendo l’acquisizione di nuove risorse linguistiche da parte di una popolazione che, in molte aree geografiche, utilizzava solo il dialetto. La tv diede quindi un contributo fondamentale all’unificazione linguistica e allʼalfabetizzazione del Paese. Come ben intuì Massimo d’Azeglio all’alba del neo-costituito Regno d’Italia, l’unità di una

96

La bibliografia sulla storia della televisione in Italia è vasta. Si segnalano, a titolo esemplificativo, le seguenti opere: F. Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia. Società, politiche, strategie, programmi, 1922-1992, Venezia, Marsilio, 1992; A. Grasso, Storia della televisione italiana, Milano, Garzanti, 2000; F. Anania, Breve storia della radio e della televisione italiana, Roma, Carocci, 2004; E. Menduni, Televisioni e società italiana: 1975-2000, Milano, Bompiani, 2002; E. Menduni, La televisione, Bologna, Il Mulino, 2004; I. Piazzoni, Storia delle televisioni in Italia. Dagli esordi alle web tv, Roma, Carocci, 2014. Interessante anche un lavoro compiuto da G. Gozzini, La mutazione individualista. Gli italiani e la televisione 1954-2011, Roma-Bari, Laterza, 2011. In questʼopera lʼautore si concentra non tanto sulla storia delle aziende televisive, quanto sullʼanalisi del pubblico televisivo e sulla trasformazione dei comportamenti quotidiani degli utenti della televisione pubblica e poi delle televisioni private, dalla “paleotelevisioneˮ alla “neotelevisioneˮ. Sulla storia della televisione e, più in generale, dellʼindustria culturale in Italia, si segnala anche M. Morcellini, (a cura di), Il Mediaevo: Tv e industria culturale nellʼItalia del ventesimo secolo, Roma, Carocci, 2000. In tale opera, lʼindustria culturale viene analizzata non solo dal punto di vista storico, ma anche da quello sociologico.

97

Cfr. Pio XII, Esortazione all’Episcopato dell’Italia circa la televisione del 1° gennaio 1954, da Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Roma, Libreria editrice Vaticana, 1954.

98

F. Chiarenza, Il cavallo morente. Storia della Rai, Milano, Franco Angeli, 2002, p. 60.

99

A. Grasso, op. cit., p. 26.

100

Lo stretto rapporto tra televisione pubblica e politica è ancora attuale, come conferma il libro di C. Padovani, Unʼattrazione fatale. Televisione pubblica e politica in Italia, Trieste, Asterios Editore, 2007.

nazione non era solo una questione di natura politica, economica o geografica, bensì anche un fatto culturale e linguistico101.

Il telegiornale del «Programma Nazionale» fu diretto da Vittorio Veltroni102 e condotto da due speakers come Furio Caccia e Riccardo Paladini. Esso aveva una durata di mezz’ora e, con il suo tono asciutto, oggettivo e serioso, diede avvio a un’informazione istituzionale imperniata su cerimonie, discorsi e inaugurazioni103

. Ampio e acritico spazio fu dato al Papa e al Vaticano, mentre le notizie di sport e i riferimenti alla difficile situazione politica risultavano quasi totalmente assenti. Le immagini in bianco e nero restituivano l’idea di un’Italia provinciale e preindustriale, attraversata dalla guerra fredda, che divideva democristiani e comunisti. Ancorché fosse ingessato e formale, il primo telegiornale rappresentò una “finestra sul mondo”, consentendo agli italiani di scavalcare i confini delle piccole province in cui abitavano.

Dalla metà degli anni Cinquanta furono frequenti i servizi giornalistici e le dirette, come per esempio nel collegamento dalla Città del Vaticano in occasione dell’elezione di Papa Giovanni XXIII, avvenuta il 28 ottobre 1958. La «Rai» assunse validi giornalisti come Elio Sparano, Umberto Eco, Furio Colombo, Gino Rancati, Adriano De Zan, Guido Oddo e il cagliaritano Tito Stagno104, il quale sarebbe diventato noto soprattutto per aver raccontato, in compagnia di Enrico Medi105, la diretta del primo sbarco dell’uomo sulla luna, nella notte tra il 20 e il 21 luglio 1969. All’inizio degli anni Sessanta sarebbe approdato in «Rai» anche Filippo Canu106, inviato al seguito dei

101

Su questi argomenti si veda M. D’Azeglio, Proposta d’un programma per l’opinione nazionale italiana, Firenze, Le Monnier, 1847 e Id., I miei ricordi, Firenze, Barbera, 1891.

102

Su questi dettagli si veda D. Nunnari, Dal giornale al portale. Storia e tecniche della comunicazione, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, p. 80.

103

Sulla storia dei telegiornali in Italia si veda la monografia di M. G. Bruzzone, L’avventurosa storia del Tg in Italia. Dall’avvento della televisione a oggi, Milano, BUR, 2002.

104

Tito Stagno può essere considerato un pioniere del giornalismo televisivo «Rai». Nel 1953 egli vinse il primo concorso nazionale per telecronisti bandito dalla tv pubblica e, dal 1955, entrò nella redazione del primo telegiornale diretto da Vittorio Veltroni, divenendone anche conduttore. Stagno realizzò anche le telecronache dei giochi olimpici invernali di Cortina nel 1956, mentre nel 1957 commentò in Campidoglio la firma dei trattati del Mercato Comune Europeo. Egli seguì le visite in Italia di importanti Capi di Stato (come per esempio i reali di Inghilterra e John Kennedy), fu inviato al seguito di due presidenti della Repubblica (Antonio Segni e Giuseppe Saragat) e di due Papi (Giovanni XXIII e Paolo VI). Negli anni Settanta e Ottanta si occupò di sport in tv, curando e conducendo La Domenica Sportiva. Cfr. su Tito Stagno lʼintervista da lui rilasciata a M. Molendini in occasione dei sessantʼanni della televisione, La Rai fa sessantʼanni, Tito Stagno: «Che disputa con Ruggero Orlando per lʼallunaggio, in «Il Messaggero», 3 gennaio 2014,

http://spettacoliecultura.ilmessaggero.it/televisione/rai-sessant-amp-39-anni-tito-stagno- intervista/422016.shtml.

105

Stagno ha raccontato la sua vita professionale, incentrata sulla telecronaca dello sbarco sulla luna del 1969, in un libro: T. Stagno, S. Benoni, Mister moonlight: confessioni di un telecronista lunatico, Roma, Minimum fax, 2009.

106

Canu frequentò la scuola di giornalismo di Urbino e iniziò la sua carriera giornalistica a «L’Unione Sarda». Dopo essere stato vicedirettore del «Gr 2» ai tempi di Gustavo Selva, fu nominato direttore del Dipartimento Scuola Educazione della «Rai». Per tutti questi aspetti si veda F. Canu, Quel caffè sul

presidenti della Repubblica Antonio Segni, Giuseppe Saragat e, in parte, di Sandro Pertini.

Il controllo della Dc sul nuovo medium si sarebbe protratto senza variazioni di rilievo fino all’inizio degli anni Sessanta, quando in Italia cominciò a profilarsi la nuova stagione del centrosinistra, con l’apertura di un dialogo tra cattolici e socialisti. Il 4 novembre 1961 fu inaugurato il «Secondo Programma» (poi denominato negli anni Settanta «Rai Due), che esordì con uno sceneggiato televisivo curato dallo scrittore sardo Giuseppe Dessì, dal titolo La Trincea107. In questo documento originale Dessì

raccontò le fasi principali della Grande guerra, in particolare la conquista della “trincea dei razziˮ da parte della Brigata Sassari, avvenuta il 14 novembre 1915 ai danni degli austriaci. Protagonista dellʼepisodio fu il padre dello scrittore, ufficiale di carriera108.

Se in Italia la televisione era nata ufficialmente il 3 gennaio 1954, in Sardegna arrivò soltanto tre anni dopo109 e fu visibile dal 31 dicembre 1956110. Gli utenti sardi dovettero quindi affrontare tre anni d’isolamento prima di potersi uniformare ai telespettatori continentali. La popolazione locale, che attendeva con ansia di poter ricevere il segnale della «Rai», protestò contro lo Stato per questo ritardo, sentendosi quasi defraudata. Tuttavia, i tecnici, i radioamatori e i negozianti di apparecchi televisivi, nel corso degli anni vacanti tra lʼinizio della diffusione del nuovo mezzo in Italia e l’arrivo del segnale in Sardegna, intrapresero delle prove di trasmissione nelle vetrine dei loro negozi111. A Sassari, per esempio, nella vetrina di un negozio di proprietà del russo Griscenko, collocato sotto i portici di un grattacielo di Piazza Castello, si assiepavano ogni sera

Corso. Piccole storie di avvenimenti e personaggi anche importanti, Sassari, La biblioteca della Nuova Sardegna, 2003.

107

Di questo particolare faceva menzione l’allora direttore della sede «Rai» di Cagliari, Giangiorgio Gardelin, La radiotelevisione italiana e la Sardegna, in «Sardegna economica», ottobre-novembre 1962. L’articolo offre un quadro analitico dell’attività svolta dalla «Rai» in Sardegna nel secondo dopoguerra.

108

Cfr. G. Dessì, La trincea, in «Secondo Programma», 4 novembre 1961, http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=86081.

109

Per una sintesi della storia della radio e della televisione in Sardegna dagli anni Trenta agli anni Ottanta si segnala R. Olla, La radio e la televisione, in M. Brigaglia, (a cura di), La Sardegna. Enciclopedia. La geografia, la storia, l’arte e la letteratura. Parte terza: L’arte e la letteratura in Sardegna. Le strutture culturali, 5, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1994, pp. 181-184.

110

Cfr. sui citati aspetti Questa settimana alla televisione, in «LʼUnione Sarda», 30 dicembre 1956. In alcune zone della Sardegna la televisibile fu visibile già dal 23 dicembre 1956. Ciò veniva annunciato anche nellʼarticolo Entro il mese la TV in Sardegna, in «LʼUnione Sarda», 15 dicembre 1956.

111

La pratica di guardare la televisione dalle vetrine dei negozi era diffusa ancora negli anni Ottanta, ovviamente non più in modo esclusivo, come invece avveniva negli anni Cinquanta. Frequentemente, i passanti per le strade si concentravano ad occhieggiare le immagini proiettate dalla tv, presente in bella mostra nelle vetrine dei principali negozi delle grandi città italiane. Si pensi, per esempio, a una scena di un film diretto e interpretato da Renato Pozzetto, Il volatore di aquiloni (1987), in cui l’attore lombardo si ferma davanti alla vetrina del negozio la Rinascente di Milano attirato dalle immagini del mare trasmesse da una televisione marchiata Brionvega. Egli decide così di entrare nel negozio e di accomodarsi in vetrina per vedere da vicino un video veicolato dalla televisione e parlare “immaginariamenteˮ con la madre proprio attraverso lo schermo televisivo.

numerosi cittadini per vedere la televisione. In realtà, i telespettatori potevano scorgere soltanto alcune immagini poco nitide che si muovevano sullo schermo, poiché la ricezione era difficile e precaria112. Il corrispondente dell’«Unità» dalla Sardegna, Giuseppe Podda, racconta un aneddoto che aiuta a capire con quanta ansia i sardi attendessero l’arrivo del nuovo veicolo di informazione e intrattenimento:

In occasione del Carnevale 1956 al Veglione TV de “L’Unione Sarda”, programmato dai giornalisti al TEATRO MASSIMO, il pubblico esplose in un applauso lungo cinque minuti quando venne letto un articolo appena pubblicato dal giornale, non ancora in edicola, che dava l’attesissimo annuncio: «La televisione in Sardegna arriverà a Natale!». Con assoluto tempismo il padrone del teatro, commendator Ivo Mazzei, peraltro rappresentante della Marelli, mise in mostra due apparecchi, formidabili scatoloni da sistemare nel salotto buono, pronunciando il nome dei due acquirenti: il primo a Giuseppe Fiori per evidenti ragioni professionali, il secondo al giovane medico Aldo Massidda. [...] Con qualche ritardo rispetto alla data prevista, finalmente ‒ domenica 30 dicembre 1956 – gli schermi in bianco e nero dei circa duemila televisori esistenti si animarono di immagini nelle maggiori città sarde113.

Come spiega Manlio Brigaglia, in generale si può dire che la televisione, come del resto la radio, «ha avuto un forte impatto sulla società isolana e sulla popolazione, perché serviva ad avvicinare il mondo alla Sardegna e a far conoscere la regione a tutto il resto d’Italia. In realtà, però, la Sardegna fu considerata perlopiù un oggetto passivo da scoprire, piuttosto che un soggetto capace di parlare agli italiani»114. A questo proposito, Brigaglia cita Michelangelo Pira, uno dei maggiori studiosi sardi del fenomeno televisivo, per il quale, «finora siamo stati parlati dal cinema, dalla televisione, dal giornalismo. Dobbiamo imparare a parlare noi agli altri»115.

112

Cfr. l’intervista di M. Mossa Pirisino a Manlio Brigaglia, Sessanta anni di televisione in Italia. Buongiorno Regione Sardegna, in «Tgr Sardegna Rai Tre», 3 gennaio 2014,

http://www.tgr.rai.it/dl/tgr/regioni/PublishingBlock-c9be07a1-4453-4cfd-b296- 30d47339bd1a.html?idVideo=ContentItem-34df1f70-ad69-40c0-9cf1-

48f3f596adcd&idArchivio=Buongiorno.

113

G. Podda, Cagliari al cinema. Dal dopoguerra al Sessantotto, secondo volume, Cagliari, Aipsa edizioni, 1998, p. 160.

114

Cfr. lʼintervista di M. Mossa Pirisino a Manlio Brigaglia, Sessanta anni di televisione in Italia, cit. Sulla diffusione della radio e della televisione in Sardegna, in particolare nella zona della Barbagia si segnala il libro di M. Pira, La rivolta dell’oggetto. Antropologia della Sardegna. Secondo Pira: «La televisione è [...] intrinsecamente demistificante nei confronti di [...] ogni gerarchia; rovescia lʼordine gerarchico e linerare, il sistema centro-marginale. Ma pochi tra i potenti lo sanno. I più sono anzi convinti che la frequenza delle loro apparizioni in Tv produca gli stessi effetti di quella delle loro apparizioni sulla stampa, cioè una crescita della loro immagine e del loro prestigio. È vero esattamente il contrario. Nella misura in cui essi appaiono in televisione il loro potere non sale ma scende; quello del presidente del consiglio dei ministri può alla fine apparire minore di quello del “presentatoreˮ». Il brano succitato è estratto da M. Pira, La rivolta dellʼoggetto. Antropologia della Sardegna, Milano, Giuffré, 1978, p. 50.

115

Si veda lʼintervista di M. Mossa Pirisino a Manlio Brigaglia, Sessanta anni di televisione in Italia. Buongiorno Regione Sardegna, in «Tgr Sardegna Rai Tre», 3 gennaio 2014,

http://www.tgr.rai.it/dl/tgr/regioni/PublishingBlock-c9be07a1-4453-4cfd-b296- 30d47339bd1a.html?idVideo=ContentItem-34df1f70-ad69-40c0-9cf1-

La televisione, come peraltro il cinema116, diventò fonte di alfabetizzazione e di acculturamento per molti cittadini sardi. Gli anni Cinquanta e i Sessanta erano intrisi di speranze e di promesse nell’isola: si allontanava lo spettro della disoccupazione, fiorivano i commerci, nasceva la Cassa del Mezzogiorno tra polemiche e consensi, si cominciavano ad assegnare le case popolari alle famiglie rimaste senzatetto dopo i bombardamenti del 1943, e le banche concedevano i primi mutui per la casa a chi aveva un posto di lavoro sicuro. L’automobile ‒ la Fiat Cinquecento prima, la Seicento poi – divenne il fiore all’occhiello delle famiglie benestanti. L’apparecchio televisivo era l’elettrodomestico più ambito dai sardi, nonostante fosse fino ad allora irraggiungibile per le grandi masse117.

I sardi sembravano impazzire di gioia per quel mezzo che portava “il cinema in casaˮ. Nei giorni dellʼavvento della televisione nellʼisola furono almeno 200.000 gli spettatori che si raccolsero attorno agli apparecchi degli appartamenti privati e dei locali pubblici. A Cagliari si accesero i televisori di circa 40.000 cittadini, contando quelli delle frazioni, riuniti nelle case, nei bar e nei circoli privati118. E, per una sorta di rinata legge comunitaria, chi aveva il televisore lo metteva al servizio di amici, vicini e conoscenti. Si trattava, quindi, di una fruizione collettiva, che soltanto negli anni Sessanta, in seguito alla crescita esponenziale del numero di apparecchi, sarebbe diventata esclusivamente privata o familiare. Si calcola che la popolare trasmissione di quiz condotta da Mike Bongiorno, Lascia o raddoppia? in onda ogni giovedì a partire dal 1956, avesse favorito in appena un mese l’acquisto, nella sola città di Cagliari, di ben 500 televisori119. Nel 1959 Delia Scala, Nino Manfredi e Paolo Panelli si esibirono sul palcoscenico del Teatro Massimo di Cagliari per la finale di Canzonissima, una manifestazione musicale andata in onda sul «Programma Nazionale».

Mentre era in corso la campagna per le elezioni regionali del 1957, non tutte le forze politiche sarde erano schierate a favore della televisione, come documentava Aldo Cesaraccio nella sua rubrica “Al caffèˮ, pubblicata su «La Nuova Sardegna»:

I nemici della televisione sono, in Sardegna, i comunisti, i socialisti, i sardisti, i socialdemocratici e i liberali. In una parola, i così detti «laicisti». I partiti ritenuti in linea con la dottrina cristiana, e cioè il partito democristiano, i due partiti monarchici e (salvo qualche

116

Sulla diffusione del cinema nella città di Cagliari fornisce utili indicazioni G. Podda, op. cit., p. 78.

117

Cfr. ancora l’intervista di M. Mossa Pirisino a Manlio Brigaglia, Sessanta anni di televisione in Italia. Buongiorno Regione Sardegna, in «Tgr Sardegna Rai Tre», 3 gennaio 2014,

http://www.tgr.rai.it/dl/tgr/regioni/PublishingBlock-c9be07a1-4453-4cfd-b296- 30d47339bd1a.html?idVideo=ContentItem-34df1f70-ad69-40c0-9cf1-

48f3f596adcd&idArchivio=Buongiorno.

118

Tali dati sono riportati da G. Podda, op. cit., p. 162.

119

peccato veniale) il missino, possono non amare la televisione ma certo la fanno amare agli altri. Per la verità, però, non si ha notizia di forniture di apparecchi televisori da parte missina, mentre democristiani e monarchici tali forniture fanno [...]. Ho visto svettare antenne televisive anche a Palmadula: è vero che da quelle parti le strade sono soltanto espressioni da vocabolario, ma la televisione c’è. [...] È implicita nell’offerta di apparecchi televisori da parte dei partiti la solenne promessa di un migliorato tenore di vita per la popolazione sarda. [...] A Palmadula la strada può aspettare, la televisione no. Nella sola provincia di Sassari si parla di centinaia di televisori installati dai partiti120.

La sede regionale della «Rai» fu aperta a Cagliari, in viale Bonaria, all’inizio degli anni Cinquanta121. Il primo documentario televisivo sulla Sardegna, realizzato dalla televisione pubblica, risale al 1955, quando la rivista «Prospettive Meridionali»122 inviò nell’isola un gruppo di intellettuali123

per approfondire le ragioni del sottosviluppo e del banditismo nelle zone dell’interno, raccontare la povertà e il disagio delle popolazioni, mettendo al contempo in evidenza la cultura e i valori locali124. Guidati dal giornalista e conduttore televisivo sardo Tito Stagno, gli intellettuali visitarono diverse aree della regione, raccogliendo informazioni e interviste, assemblate poi in un documentario di sessanta minuti, trasmesso dal «Programma Nazionale» e intitolato Viaggio in

Sardegna125. Nellʼinchiesta vennero mostrati i pescatori del corallo ad Alghero, rilevando che non si trattava di lavoratori sardi, ma campani, i quali trasportavano i polipi a Torre Annunziata.

Oltre alle attività di pesca, furono documentati gli scarsi introiti economici per gli agricoltori della Nurra, zona del nord ovest della Sardegna. Scendendo nel centro Sardegna, a Oristano, i documentaristi individuarono la presenza di numerosi cantieri in cui veniva impiegata manodopera non specializzata e sottopagata. Proseguendo verso il

120

Frumentario, “Al caffèˮ: Amici e nemici della TV, in «La Nuova Sardegna», 7 maggio 1957.

121

Cfr. G. Gardelin, La radiotelevisione italiana e la Sardegna, in «Sardegna economica», ottobre- novembre 1962.

122

Questa rivista era espressione dei gruppi cattolici del Centro democratico di cultura e documentazione diretto da Nicola Signorello e Giorgio Tupini. Il periodico si rifaceva alla tradizione meridionalista della Democrazia cristiana e del Partito popolare.

123

Giuseppe Ungaretti, Domenico Rea, Carlo Bo, Leone Piccioni, Antonio Cibotto, Giorgio Caproni e Marise Ferro.

124

Questi particolari sono stati messi in rilievo da Manlio Brigaglia nell’intervista da lui rilasciata a M. Mossa Pirisino, Sessanta anni di televisione in Italia. Buongiorno Regione Sardegna, in «Tgr Sardegna Rai Tre», 3 gennaio 2014,

http://www.tgr.rai.it/dl/tgr/regioni/PublishingBlock-c9be07a1-4453-4cfd-b296- 30d47339bd1a.html?idVideo=ContentItem-34df1f70-ad69-40c0-9cf1-

48f3f596adcd&idArchivio=Buongiorno.

125

Su questa inchiesta, come del resto sulle altre condotte in quel periodo dalla «Rai» sulle varie regioni d’Italia, si sofferma I. Piazzoni. Ella definisce Viaggio in Sardegna un documentario caratterizzato «da una prevalente inclinazione narrativa [...], appunti di viaggio molto lontani dai moduli del reportage». Cfr. I. Piazzoni, op. cit., p. 40.

sud-ovest dell’isola, gli autori del Viaggio in Sardegna, descrissero le difficili condizioni lavorative dei minatori dei giacimenti di Carbonia, Cortoghiana e Seruci126.

Nel primo documentario televisivo della «Rai» sulla Sardegna emergeva uno