Capitolo 3. Anni Sessanta: la “rinascitaˮ raccontata dalle riviste periodiche e la
4.6 La stampa “indipendente”: «Il Giornale d’Italia» e «Il Tempo» in Sardegna
Antonio Salandra e avente come direttore Alberto Bergamini, fu il primo quotidiano nazionale a destinare una pagina giornaliera alla Sardegna fin dal 1912149. Si trattava di un’iniziativa certamente non gradita dai quotidiani isolani presenti in quel periodo sul mercato, «L’Unione Sarda» e «La Nuova Sardegna», sorti da appena un ventennio e non ancora competitivi, in termini di completezza di servizi, con i grandi giornali romani, tra i quali appunto «Il Giornale d’Italia» era quello di maggior spicco. La testata diretta da Bergamini, nel 1912, era una delle più importanti del Paese, collocandosi al
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Dal bollettino della Questura si ricavano anche alcune informazioni relative al corpo redazionale, formato da Lucio Artizzu, Giovanni Sanjust, Emilio Carta, Mario Angius e Milvio Atzori. Il direttore era Paolo Pinna. Cfr. su questi aspetti la lettera riservata inviata dalla Questura di Cagliari (questore Michele Savastano) al ministero dell’Interno, DGPS, Div. A.G. Sezione 1 e p.c. alla Questura di Roma, oggetto: “Il Popolo Sardo”, quotidiano, Cagliari, 19 settembre 1960, in ACS, PCM, Servizi informazioni e Ufficio proprietà letteraria artistica e scientifica, Archivio generale, busta 2-2/217, Il Popolo Sardo, quotidiano, Roma, c. 2.
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La lacunosità delle raccolte del «Popolo Sardo» ‒ largamente incomplete ‒ presenti nelle biblioteche e negli archivi non consente di indicare una data precisa di cessazione della pagina locale del quotidiano democristiano. La pagina sarda era presente con continuità fino alla fine del 1965, per poi essere sospesa nel corso dell’anno 1966.
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Un altro quotidiano, «L’Epoca», decise di pubblicare nel 1918 una pagina intera sulla Sardegna, curata da Pasquale Marica, e cessata nel 1922.
quarto posto per tiratura dopo il «Corriere della Sera», «Il Secolo» e «La Stampa». La diffusione media giornaliera si attestava sulle 100.000 copie150. Il giornale si apriva al sud e si mostrava attento ai problemi specifici di quelle terre151.
La pagina sarda era curata dalla giornalista toscana Emma Perodi e trattava con dovizia di particolari ‒ e con una certa “indipendenza” di giudizio rispetto ai poteri politici ed economici ‒ i principali problemi isolani. Il quotidiano si assicurò anche la collaborazione assidua di alcuni validi pubblicisti sardi come Michele Saba, Mario Berlinguer, Giuseppe Musio, Mario Mocci, Cipriano Cipriani, Marcello Vinelli e Pasquale Marica, i quali, lusingati dalla tiratura nazionale e dal prestigio della testata152, risposero con entusiasmo all’invito. Cominciò in questo modo l’avventura della stampa peninsulare in concorrenza con quella sarda.
Concentrando l’attenzione sul secondo dopoguerra, si rileva che «Il Giornale d’Italia», il quale aveva continuato regolarmente le pubblicazioni durante il periodo fascista, fu poi costretto a sospendere le uscite il 7 giugno 1944 per deliberazione dell’Allied Publication Board anglo-americano. Il 9 aprile 1946 il quotidiano poté tornare in edicola con la testata «Il Nuovo Giornale d’Italia». In questo nuovo corso la direzione fu affidata a Santi Savarino153, letterato, commediografo e senatore, con Remigio Vispo vicedirettore. All’inizio degli anni Cinquanta il quotidiano fu acquistato dalla Confindustria154, per poi essere rilevato nel maggio 1969 dall’industriale Attilio Monti, che diede luogo a una concentrazione editoriale nel centro-nord Italia155.
I principali corrispondenti dalla Sardegna erano Enrico Baravelli, Carlo Maria Caretta, Gian Paolo Caredda, l’avvocato Nino Tola, il deputato democristiano Francesco Chieffi e Lello Manca. La pagina era inizialmente intitolata “Cronaca dalla
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Cfr. su questo aspetto G. Farinelli, E. Paccagnini, G. Santambrogio, A.I. Villa, op. cit., p. 237.
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Ibidem.
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Il prestigio del «Giornale d’Italia» derivava anche dal fatto che fu il primo quotidiano italiano ad aver introdotto nel 1901 la “terza paginaˮ dedicata alla cultura, un’invenzione del direttore Alberto Bergamini. In questa pagina scrissero intellettuali famosi come Gabriele D’Annunzio, Giovanni Pascoli, Alfredo Oriani, Benedetto Croce, Ferdinando Martini, Giuseppe Chiarini, Luigi Capuana, Domenico Gnoli, Cesare De Lollis, Giovanni Papini, Marino Moretti, Goffredo Bellonci e Antonio Salandra. Cfr. sullʼinvenzione della terza pagina, G. Farinelli, E. Paccagnini, G. Santambrogio, A.I. Villa, op. cit., p. 237.
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Suoi successori furono Angelo Magliano (1962-1966), Nino Badano (1966-1969), Dino Biondi (1969- 1972), Alberto Giovannini (1972-1975) e Lino Rizzi (1975-1976).
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Il quotidiano veniva pubblicato per conto della «Società Tipografica Editrice Capitolina», con sede a Roma, in piazza dell’Indipendenza. Il Consiglio di Amministrazione risultava composto dal prof. Giovanni Balella, presidente, Giacomo Veronese, membro, Mario Boldrini, sindaco, Aldo Stacchi, sindaco supplente. Il giornale veniva stampato con una tiratura di circa 40.000 copie. Tali dettagli sono contenuti nella lettera riservata della Questura di Roma (Ufficio Stampa) all’attenzione del ministero dell’Interno, DGPS, Divisione AA. GG. – Sezione 1, Roma, 28/1/1969, oggetto: “IL GIORNALE D’ITALIA” – Quotidiano, in ACS, PCM, Servizi informazioni e Ufficio proprietà letteraria artistica e scientifica, Archivio generale, classifica 2-2/96, Il Giornale d’Italia, quotidiano, Roma.
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Sardegna”, “Notizie dalla Sardegna” e, in seguito, “Vita e problemi della Sardegna”. Non era raro il caso in cui si pubblicassero addirittura due pagine sulla regione. Una prassi che sarebbe diventata una costante nel decennio successivo. Il giornale non usciva il lunedì, era stampato a Roma e inviato in Sardegna ogni pomeriggio con servizi aerei156.
Dalla lettura degli articoli emergono un’elevata attenzione ai problemi economico- sociali dell’isola e una minore considerazione per le vicende politiche, nelle quali traspare comunque una linea editoriale centrista. Sul tema della rinascita, il quotidiano puntava l’indice contro l’eccessivo dualismo tra Stato e Regione157
e sosteneva con grande risalto, oltre al settore secondario, l’importanza di quello turistico, confidando nelle iniziative imprenditoriali dellʼImam dei musulmani ismailiti Karim Aga Khan, differentemente dalla pagina sarda del quotidiano comunista «l’Unità», secondo cui la rinascita passava soprattutto per i settori industriale e agricolo158. La posizione favorevole al turismo espressa da «Il Giornale d’Italia» era in sintonia con quella dell’edizione locale del quotidiano «Il Tempo», denominata «Il Tempo della Sardegna»159. E se «l’Unità» sosteneva che i problemi dell’isola non potessero essere risolti con il turismo e che il principe degli ismailiti non avrebbe potuto fare miracoli, «Il Giornale d’Italia» e «Il Tempo», similmente a «L’Unione Sarda» e a «La Nuova Sardegna», ritenevano che il denaro investito nel turismo potesse prospettare per la Sardegna l’avvento di un secondo Piano di rinascita, di iniziativa privata e, conseguentemente, di più rapida attuazione rispetto a quello statale varato nel 1962.
L’edizione regionale del «Giornale d’Italia», così come accadeva per le altre tre testate («l’Unità», «Il Popolo» e «Il Tempo»), aveva però un limite di fondo, rilevato peraltro dal giornalista Pasquale Marica, il quale si domandava a che cosa servisse parlare dei problemi di una specifica area territoriale in un quotidiano nazionale, se poi la pagina locale era diffusa esclusivamente in quella determinata regione, senza poter
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A Cagliari la testata era in vendita nelle edicole a partire dalle ore 18, a Sassari dalle ore 17.45 e ad Alghero dalle ore 16.50. Questi orari furono comunicati dalla redazione in una nota: Il Giornale d’Italia in Sardegna, in «Il Giornale d’Italia», 27 aprile 1958.
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Dualismo fra Stato e Regione. Rinascita in pericolo, in «Il Giornale d’Italia», “Cronaca della Sardegnaˮ, 16 gennaio 1966.
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Il quotidiano del Pci diffidava dell’Aga Khan, considerato un monopolista, autore della «più grande speculazione del secolo» in fatto di turismo, giacché avrebbe acquistato a prezzi molto bassi le terre messe in vendita dai contadini e dai pastori sardi, realizzando la Costa Smeralda. In sostanza, al monopolio industriale della petrolchimica di Rovelli e Moratti si aggiungeva, secondo «l’Unità», quello turistico. Per maggiori dettagli si segnalano gli articoli di A. De Jaco, La Sardegna svenduta ai grandi monopoli, in «l’Unità», 1° giugno 1965 e R. Longone, Speculazione sulle aree la «Smeralda» dell’Aga Khan? Si sgonfia il «boom» turistico in Sardegna, ivi, 13 giugno 1962.
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Cfr., a titolo esemplificativo, Decisa volontà dell’Aga Khan di valorizzare la Costa Smeralda, in «Il Tempo della Sardegna», 2 gennaio 1966; Una moderna «politica del sole» per sviluppare il turismo sardo, ivi, 23 gennaio 1966.
raggiungere l’intera nazione. Non sarebbe stato forse più utile trattare questi argomenti nella foliazione nazionale piuttosto che nella pagina locale, attribuendo a tali problematiche il maggior risalto possibile160?
Invero, nell’aprile 1950 la Sardegna poté uscire dall’edizione locale ed essere conosciuta anche nelle pagine nazionali, quando il quotidiano romano decise di pubblicare un’inchiesta condotta dall’inviato speciale Giuseppe Barillà. Essa, intitolata
Viaggio in Sardegna, si articolò in una serie di pezzi161 di rilievo in cui si mettevano in luce le difficoltà nei trasporti da e per l’isola, le precarie condizioni igieniche di molti paesi, in particolare la mancanza di fogne, acquedotti, scuole, luce, l’alto tasso di emigrazione, la crisi dell’industria mineraria, del settore agropastorale e il faticoso cammino del neonato Istituto autonomistico. Barillà rilevò altresì l’effetto positivo delle bonifiche agrarie e descrisse il fenomeno del banditismo, apprezzando il lavoro effettuato in tal senso dalle forze dell’ordine, come si legge nell’articolo intitolato Una
probabilità sola d’incontrare i banditi: «Le rapine sono in ribasso ad opera dei
carabinieri, ma si percorrono chilometri in territori ideali per i malintenzionati. I carabinieri hanno fatto un lavoro in Sardegna veramente encomiabile»162. In generale, Giuseppe Barillà trovò:
Una Sardegna diversa da quella eternata nel «cliché» di maniera: una Sardegna che, senza rinnegare il passato glorioso, risale con passo fermo e sicuro la china della civiltà e, attraverso un lavoro tenace e paziente, conquista il diritto ad un migliore avvenire. I colleghi continentali ci permettano un consiglio: andare più che alla ricerca del colore allo studio dei nostri problemi attuali e non solo al folclore. La Sardegna è diventata di moda presso i lettori della Penisola. Va bene la ricerca del colore locale, il fascino degli antichi nuraghi e dei pastori erranti, ma non è questa, o solo questa, la Sardegna163.
Negli anni Sessanta, l’edizione regionale del «Giornale d’Italia» fu ulteriormente accresciuta, beneficiando talvolta anche di due pagine intere, una relativa alla città di Cagliari, intitolata “Cronaca di Cagliari”, e la seconda avente invece come testatina “Cronaca della Sardegnaˮ, curata dai vari corrispondenti dall’isola: Mario Zappadu da
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Cfr. P. Marica, Stampa e politica in Sardegna, cit., p. 210.
161
L’inchiesta Viaggio in Sardegna di G. Barillà era composta dai seguenti articoli: Comunicazioni efficienti sogno di un’isola, in «Il Giornale dʼItalia», 16 aprile 1950; La tubercolosi ferisce i paesi poveri, ivi, 17 aprile 1950; Una probabilità sola d’incontrare i banditi, in «Il Giornale dʼItalia», 20 aprile 1950; Il formaggio girotondo economico, ivi, 22 aprile 1950; Ci vuole gente per l’Isola deserta, ivi, 25 aprile 1950; Buona terra da bonificare, in «Il Giornale dʼItalia», 27 aprile 1950; Si arriva all’industria da una agricoltura ricca, ivi, 29 aprile 1950; È finita l’autarchia per il carbone ed i metalli, in «Il Giornale dʼItalia», 3 maggio 1950; Faticoso installamento dell’Istituto Regione, ivi, 5 maggio 1950.
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G. Barillà, Una probabilità sola d’incontrare i banditi, in «Il Giornale d’Italia», 20 aprile 1950.
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Interesse nell’isola per l’inchiesta del nostro giornale. Il viaggio di Barillà in Sardegna, di cui il «Giornale d’Italia» pubblica in questi giorni i capitoli, è seguito in tutta l’Isola con vivo interesse, ivi, 27 aprile 1950.
Olbia, Roberto Galletti da Sassari, Nino Tola da Nuoro, Piero Fresco da Oristano, Giorgio Mossa da Iglesias e Lucio Marinaro da Alghero. A conferma della volontà di espansione del quotidiano in Sardegna vi fu anche la costituzione di una redazione vera e propria, mentre in precedenza funzionavano soltanto alcuni uffici di corrispondenza ubicati presso l’abitazione dei principali collaboratori locali164. Il giornalista Lorenzo Gagliardi e l’ispettore delle vendite Renato Ricciarelli partirono da Roma alla volta della Sardegna per allestire a Cagliari una sede adeguatamente attrezzata, con la presenza di una segreteria e il supporto di mezzi tecnici indispensabili, come i dimafoni, attraverso cui i collaboratori trasmettevano i loro articoli. Nel 1966, su segnalazione del politico liberale Francesco Cocco Ortu junior, fu assunto come praticante Piercarlo Carta che, dal 1969, divenne caposervizio e responsabile della redazione sarda165.
Il giornale pubblicava quattro edizioni regionali – «Cronache italiane», «Cronaca della Calabria», «Vita e problemi della Sicilia», «Vita e problemi della Sardegna» – testimoniando la volontà dell’editore di espandersi soprattutto nel Meridione. L’edizione principale contenente le notizie sullʼisola era distribuita a Roma verso le ore 14.30, per poi arrivare via aereo a Cagliari intorno alle ore 17. Rispetto ai due quotidiani regionali «L’Unione Sarda» e «La Nuova Sardegna», la testata romana, uscendo principalmente nel pomeriggio, aveva il vantaggio di poter pubblicare notizie più aggiornate, soprattutto per quanto riguarda la cronaca nera. Un elemento che sarebbe stato decisivo negli anni Sessanta, a causa dell’intensificazione degli episodi banditistici nelle zone interne della regione. Trattandosi di un quotidiano della sera, «Il Giornale d’Italia» non poteva però considerarsi, a tutti gli effetti, un antagonista dei due quotidiani regionali del mattino, quanto piuttosto un “secondo giornale”, aggiuntivo e complementare rispetto a «L’Unione Sarda» e a «La Nuova Sardegna».
Per quanto l’entità delle vendite del foglio romano nell’isola fosse abbastanza limitata in termini assoluti, un migliaio di copie vendute al giorno166, essa poteva ritenersi ragguardevole, considerato l’esiguo numero di lettori in grado di permettersi una duplice spesa giornaliera per acquistare un quotidiano la mattina e uno la sera. Negli anni Cinquanta, infatti, le condizioni del sistema economico regionale certificavano un livello di reddito procapite fra i più bassi d’Italia, anche se il più elevato fra le regioni meridionali. Il reddito per abitante collocava la Sardegna intorno al
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All’inizio degli anni Sessanta, gli uffici di corrispondenza erano tre: il primo a Cagliari, in via Bacaredda, il secondo a Sassari, in viale Pascoli 101, e il terzo a Nuoro, presso Villa Merlini.
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Nei periodi di ferie, Piercarlo Carta veniva sostituito da Antonio Capitta, come emerge da una dichiarazione rilasciata all’autore dallo stesso Piercarlo Carta, a Cagliari, in data 3 agosto 2013.
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dodicesimo-tredicesimo posto fra le regioni italiane, rispetto al dato medio nazionale167. La diffusione si sarebbe ulteriormente ridotta negli anni Sessanta e Settanta, quando la televisione pubblica e, successivamente, le emittenti private si sostituirono ai quotidiani della sera nella funzione di costante aggiornamento delle notizie.
Il longevo esperimento dell’edizione “Sardegna” del «Giornale d’Italia» si chiuse definitivamente nel gennaio 1971, dopo circa sessant’anni di vita. A darne l’annuncio fu Piercarlo Carta: «nel quadro di una ristrutturazione interna de “Il Giornale d’Italia”, si sospende da domani la pubblicazione della pagina “Cronaca di Cagliari”. Ciò non significa, però, che questo giornale non continuerà ad interessarsi dei problemi di Cagliari e della Sardegna, ai quali dedicherà più ampio spazio nelle pagine interne»168. In seguito, il quotidiano romano mantenne in Sardegna soltanto un ufficio di corrispondenza e lo spazio destinato alle notizie dall’isola fu confinato in pochi trafiletti che non potevano avere lo stesso risalto di una pagina intera. Il giornale, passato nel febbraio 1975 dall’editore Monti ad Arturo Tofanelli169
, si avviò del resto anche in campo nazionale a una lunga agonia, che l’avrebbe portato alla chiusura delle pubblicazioni il 24 luglio 1976170.
Dal 1953 un altro quotidiano con sede principale a Roma, «Il Tempo», fondato nel 1944 da Renato Angiolillo, sbarcò in Sardegna171 con un’edizione specifica, «Il Tempo della Sardegna», che si protrasse fino all’inizio degli anni Settanta (1972), per poi ridimensionare notevolmente lo spazio dedicato all’isola, portandolo da una pagina
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Cfr. il saggio di P. Maurandi, L’avventura economica di un cinquantennio, in A. Accardo, (a cura di), op. cit., p. 275.
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Questo passo è estratto dal comunicato apparso su «Il Giornale d’Italia», 2-3 gennaio 1971.
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Si segnalano su questi aspetti: L. Grandori, Il Giornale di Arturo, in «Panorama», 5 marzo 1975; Tofanelli è felice. La Dc pure, in «Il Mondo», 20 marzo 1975, allegati in ACS, PCM, Servizi informazioni e Ufficio proprietà letteraria artistica e scientifica, Archivio generale, classifica 2-2/96, Il Giornale d’Italia, quotidiano, Roma.
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Sulla chiusura delle pubblicazioni cfr. L. Rizzi, Nell’ora più triste, in «Il Giornale d’Italia, 24 luglio 1976; La redazione, Di libertà si muore, ivi, 24 luglio 1976; L. Villari,“Il Giornale d’Italia” non esce più. Monti lo ha chiuso. Era in edicola da 76 anni, in «la Repubblica», 24 luglio 1976. Gli articoli citati sono allegati in ACS, PCM, Servizi informazioni e Ufficio proprietà letteraria artistica e scientifica, Archivio generale, classifica 2-2/96, Il Giornale d’Italia, quotidiano, Roma. Sullo stesso tema si veda anche la lettera a firma I redattori de «Il Giornale d’Italia», Al Presidente Leone, in «Il Giornale d’Italia», 26 gennaio 1976.
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Ciò rientrava in un’ottica di espansione che comprendeva Puglia, Campania, Basilicata e Sicilia. Per quanto riguarda quest’ultima, «Il Tempo» approdò nella maggiore isola italiana nel 1958, come si evince anche da un rapporto della Prefettura di Palermo trasmesso al Servizio Informazioni della presidenza del Consiglio dei ministri e al ministero dell’Interno, in data 5 agosto 1958, in ACS, PCM, Servizi informazioni e Ufficio proprietà letteraria artistica e scientifica, Archivio generale, classifica 2-2/98, Il Tempo. Il responsabile dell’edizione siciliana era Mario Taccari, con collaboratori Mario Palumbo e Vincenzo Quarantino. L’espansione diffusionale del giornale varcò anche i confini nazionali ed europei: nel 1965 fu lanciata un’edizione riservata agli Usa. Su questi ultimi aspetti si segnala l’articolo Il Tempo in America, in «Il Tempo», 12 luglio 1965, allegato in ACS, PCM, Servizi informazioni e Ufficio proprietà letteraria artistica e scientifica, Archivio generale, classifica 2-2/98, Il Tempo, quotidiano, Roma.
intera iniziale a una semplice corrispondenza, pubblicata al massimo a piè di pagina. Ciò coincise pressappoco con l’uscita di scena di Angiolillo, che aveva guidato il giornale dal 1944 al 1973 sotto la duplice veste di editore e direttore172.
La pagina sarda era stata affidata fin dagli inizi a Remo Concas173, che siglava i suoi articoli sotto lo pseudonimo Kon e curava personalmente le rubriche “Un giorno nell’Isola” e “Un giorno a Cagliari”. Tra i collaboratori figuravano anche Manlio Brigaglia, Pasquale Marica, Antonio Delitala, Aldo Chirico, e Antonio Pigliaru174, che firmava la sua rubrica “Piazza d’Italia” – dedicata soprattutto al commento dei fatti politici riguardanti la città di Sassari – con lo pseudonimo “Il Lostico di Turno”. Il quotidiano romano, con il suo ruolo di giornale sostenitore del governo e, quindi, della Dc, era, di fatto, la voce del capitale e della borghesia meridionale. In una relazione della Questura di Roma si legge che la testata, pur dichiarandosi indipendente, sosteneva la linea politica dei partiti di destra175. Il principale pubblico di lettori era individuato negli imprenditori, nei commercianti, negli impiegati e nei contadini.
«Il Tempo» aveva uffici di corrispondenza negli allora tre capoluoghi provinciali: Cagliari, Sassari e Nuoro. La Sardegna era, inoltre, ben rappresentata nella redazione centrale, ubicata nello storico palazzo Wedekind, in piazza Colonna a Roma, dove il giornalista Ignazio Contu176 ricopriva il ruolo di capo servizio interni177. Anche «Il Tempo» analizzò le questioni fondamentali relative alla rinascita dell’isola. In particolare, Aldo Chirico portò alla luce una criticità: il conflitto tra i vari comuni della Sardegna, secondo cui Ogni paese vuole la fetta migliore dalla grande torta del “Piano
di Rinascita„178
. Pasquale Marica, invece, sintetizzò in un articolo del 1955 uno dei motivi della difficoltà dei sardi nel passare dall’antico al moderno, L’atavico
172
Renato Angiolillo morì il 16 agosto 1973. Il suo successore alla direzione del giornale, dal 1973 al 1987, fu Gianni Letta.
173
Remo Concas collaborò anche con altre testate, tra cui «Il Quotidiano Sardo», «L’Unione Sarda» e «Il Messaggero Sardo».
174
Per maggiori approfondimenti su Antonio Pigliaru e la sua rivista, «Ichnusa», si veda il cap. tre.
175
Cfr. la lettera della Questura di Roma (Ufficio Stampa) al ministero dell’Interno (DGPS), divisione Affari Generali, sezione prima, Roma, con oggetto: “Il TEMPO” – Quotidiano, in data 7 marzo 1966, in ACS, PCM, Servizi informazioni e Ufficio proprietà letteraria artistica e scientifica, Archivio generale, classifica 2-2/98, Il Tempo, quotidiano, Roma.
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Ignazio Contu nacque a Cagliari nel 1930. Dalla fine degli anni Cinquanta egli fu autore della nota politica dei quotidiani «Il Tempo» e «La Notte». Dal 1983 fu portavoce del governo Fanfani e, in seguito, portavoce del Senato per due legislature. Dal 1995 fu consigliere politico del presidente del Consiglio Lamberto Dini. Per maggiori dettagli si veda Scompare Ignazio Contu, maestro del giornalismo italiano, in «Tg 1», 9 maggio 2011, http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/ContentItem-b631bcc9-6628-468e- 88fb-9654781698bd.html.