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Capitolo 3. Anni Sessanta: la “rinascitaˮ raccontata dalle riviste periodiche e la

3.4 Un piano senza “scopo”?

Nel numero trentaquattro, uscito nell’estate del 1960, «Ichnusa» pubblicò una

Lettera d’informazioni, un opuscolo che comprendeva un articolo, non firmato, e una

serie di tabelle che confrontavano gli impegni finanziari previsti dalla Commissione di studio con quelli ipotizzati dal Gruppo di lavoro45. Secondo quanto affermato nella

Lettera, lʼimpossibilità concreta di compiere una richiesta cosciente di finanziamenti era

imputabile alla «mancanza degli elementi conoscitivi fondamentali»46 di un piano che veniva ritenuto senza “scopo”47. In tal modo, si metteva ancora una volta in evidenza lo scarto tra gli strumenti conoscitivi e i provvedimenti politici, dimostrando che senza analisi e conoscenza era impossibile realizzare una politica adeguata ai bisogni e alle peculiarità della Sardegna. Inoltre, venivano criticati alcuni principi essenziali che riguardavano gli investimenti e i calcoli.

Dopo la pubblicazione della Lettera d’informazioni, l’assessore alla Rinascita Francesco Deriu inviò un articolo di risposta a Pigliaru, pubblicato sul numero trentasette di «Ichnusa»48 e riportato anche dai due quotidiani «LʼUnione Sarda»49 e «La

44

Il riferimento è relativo ai “fatti di Genova” del 30 giugno 1960, ossia agli scontri che si verificarono durante il corteo indetto dalla Camera del Lavoro e sostenuto dalle opposizioni di sinistra per protestare contro la convocazione nel capoluogo ligure del sesto congresso del Movimento sociale italiano. Genova era una città dalle forti tradizioni antifasciste e resistenziali. Su questi fatti si veda il documentario Il governo Tambroni e la rivolta di Genova (1960), in «Rai Storia»,

https://www.youtube.com/watch?v=PVm0N2Kz5cs.

45

Sui citati aspetti si veda S. Tola, op. cit., p. 218.

46

Lettera d’informazioni, in «Ichnusa», supplemento al n. 34, 1960.

47

Ibidem.

48

F. Deriu, Una lettera sul “Piano di Rinascitaˮ, in «Ichnusa», n. 37, 1960.

49

Una lettera dell’assessore Deriu a proposito del Piano di Rinascita, in «L’Unione Sarda», 2 novembre 1960.

Nuova Sardegna»50. Secondo il ragionamento del titolare del nuovo assessorato, i lavori della Commissione e quelli del Gruppo non potevano essere confrontati tra loro perché si erano svolti con strumenti e finalità differenti. La prima aveva avuto il compito di fornire tutti gli elementi conoscitivi per la progettazione di un piano generale, mentre il secondo si era occupato di individuare le linee d’intervento e gli strumenti finanziari per l’attuazione di un programma aggiuntivo, cui avrebbero partecipato lo Stato, la Regione e gli altri Enti. Secondo Deriu, l’ultimo rapporto era idoneo a tutti gli effetti a realizzare lo sviluppo del reddito medio così come ipotizzato dalla precedente Commissione51.

Pigliaru fece seguire alla lettera scritta da Deriu un suo articolo intitolato Postilla ad

una lettera, in cui ribadì in toto la validità delle critiche mosse nell’opuscolo di

«Ichnusa», affermando che gli attori che avevano preso parte all’elaborazione del Piano erano stati del tutto incapaci di elaborare un progetto di rinascita, sia dal punto di vista politico sia da quello meramente tecnico. Egli individuava inoltre una tendenza regressiva in seno al Piano52, giacché si era scesi dalla “logica del pianoˮ alla “logica dello schemaˮ. Questʼultima era vista come una vera e propria regressione tecnicista, una “pianificazione empirica” più simile a quelle del sistema liberale che non a quelle del sistema democratico. I problemi, oltre che di carattere tecnico ed economico, erano quindi di metodo e di principio: il criterio utilizzato per l’elaborazione del piano non era stato in grado di offrire un’adeguata conoscenza delle necessità e degli strumenti, poiché si basava su un principio non organico alla Sardegna. Inoltre, un piano di modernizzazione di tale genere non avrebbe prodotto “civilizzazione”, ma al massimo una situazione di ricchezza disomogenea e distribuita in modo inadeguato. In particolare, il tessuto culturale delle zone interne sarebbe stato stravolto da un piano cieco e “deficiente”, perché costruito senza alcuna conoscenza e senza alcuno scopo.

Il nuovo sistema proposto dallo Stato italiano e accettato passivamente dai politici sardi avrebbe prodotto un insanabile scontro tra “codici comunicativi” e “sistemi di valori”53. L’accettazione, da parte dei politici regionali, di un Piano di rinascita ridotto a

“schema senza scopo” era, secondo Pigliaru, la prova tangibile di quel modo di fare politica che si riduceva a passiva prassi amministrativa54. Un pessimismo che si fece ancora più marcato tra la fine del 1961 e l’inizio del 1962, quando si venne a sapere con certezza che sarebbe stato il Comitato dei ministri per il Mezzogiorno, vale a dire il

50

F. Deriu, Deficiente e senza scopo il Piano di Rinascita?, in «La Nuova Sardegna», 2 novembre 1960.

51

Id., Una lettera sul “Piano di Rinascitaˮ, in «Ichnusa», n. 37, 1960.

52

A. Pigliaru, Postilla ad una lettera, supplemento al n. 34 di «Ichnusa», 1960.

53

Ibidem.

54

governo nazionale, a stabilire il piano degli interventi, con il solo “concorso” della Regione sarda. Ciò fu per Pigliaru la negazione dell’Istituto autonomistico e del principio democratico dell’autogoverno.

In un editoriale pubblicato nel 1961, egli ripeté queste perplessità55 in un intervento che sembrava emanare un certo tono di sconfitta e di rassegnazione: «L’autonomia, insomma, non sarà se prima non sarà la Rinascita, in quanto riscatto e liberazione dell’uomo, rottura della struttura tradizionale della vita sociale in Sardegna, instaurazione di modi e di rapporti umani (cioè economici, sociali, giuridici, politici) completamente nuovi»56. In altre parole, si trattò di:

un editoriale insolitamente fiacco e povero di mordente, imperniato su formule già utilizzate in passato: la pianificazione in rapporto all’uomo, la necessità di non farsi trovare impreparati alle scadenze […]. Evidentemente Pigliaru avvertiva, nel momento in cui si definivano i ruoli e ben poco c’era da sperare nella maggioranza democristiana – e quindi filogovernativa – al Consiglio regionale, il ridursi degli spazi riservati agli intellettuali e alle masse popolari e quindi l’allontanarsi della possibilità di una gestione realmente democratica degli interventi57.

In questo modo si chiudevano, di fatto, le prospettive che il Piano di rinascita avrebbe potuto offrire. Fu, a tutti gli effetti, un duro colpo per «Ichnusa», che nei primi anni Sessanta venne attraversata da una crisi di obiettivi. Questo perché lo scopo della rivista sassarese di «incidere sull’elaborazione del Piano di rinascita si stava rivelando un’illusione con l’avvio delle prime realizzazioni, impostate secondo quei princìpi del centralismo statale e dell’estensione dei grandi monopoli che i critici più accesi avevano ben presto individuato»58. Finalmente, il 29 maggio 1962 la prima Commissione del Senato approvò in via definitiva il disegno di legge sul Piano straordinario per favorire

la rinascita economica e sociale della Sardegna, in attuazione dell’articolo 13 della

legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3. Giunse così a compimento, dopo un lungo

iter preparatorio, la predisposizione dello strumento normativo destinato a regolare

quello che sarebbe stato il primo esperimento di programmazione regionale “globale” della storia del dopoguerra.Il disegno divenne legge della Repubblica, la n. 588 dell’11 giugno 1962.

La pubblicazione di «Ichnusa» si interruppe con un ultimo, doppio fascicolo: il numero cinquantasei-cinquantasette, intitolato Sei domande sulla Rinascita, curato nel 1964 ma, di fatto, pubblicato nel 1965. Era chiaro, a quel punto, secondo gli intellettuali

55

Si fa riferimento ad Id., Editoriale. A proposito del piano di rinascita, in «Ichnusa», n. 45, 1961.

56

Ibidem.

57

S. Tola, op. cit., pp. 221-222.

58

della rivista, che il Piano di rinascita sarebbe stato solo l’attuazione di uno “schema” economico “senza scopo”. In copertina figuravano sei domande sulla politica della rinascita, contenenti una serie di interviste a esponenti politici e intellettuali: Pietro Soddu, Umberto Cardia, Nino Carrus, Giovanni Maria Cherchi, Gerolamo Colavitti, Giuseppe Dalmasso, Paolo Dettori, Renzo Laconi, Giorgio Macciotta, Vico Mossa, Gonario Pinna, Ignazio Pirastu, Andrea Saba e Carlo Sanna. L’inchiesta era stata condotta da un giovane economista di area sardista, Sebastiano Brusco, che nella presentazione rilevava alcuni punti critici relativi alle dinamiche del piano, legati principalmente alle strategie di sviluppo dei poli industriali e allʼarrivo in Sardegna di gruppi monopolistici59.

La rivista chiuse in questo modo la sua attività attraverso un’ennesima testimonianza di fedeltà ai temi cruciali della Sardegna, e preconizzando, di fatto, alcune delle maggiori trasformazioni che avrebbero interessato l’isola negli anni a venire. Nel corso degli anni Sessanta le condizioni di salute di Antonio Pigliaru si fecero critiche: egli fu «colpito dal primo grave attacco del male che nel giro di un decennio lo avrebbe portato alla morte, fu costretto per oltre un anno alla degenza in una clinica di Sassari e la sua attività intellettuale, compreso l’impegno di “Ichnusaˮ, ne fu ovviamente ostacolata e ridotta […]»60

. Egli morì il 27 marzo 1969. Manlio Brigaglia, in un articolo commemorativo pubblicato su «L’Unione Sarda», scrisse: «se muore un uomo come Antonio Pigliaru ogni segno, ogni documento, ogni piccolo ricordo diventa il simbolo di una esistenza intera. Càpita, questo, soltanto a quegli uomini che vivono tutta la loro vita con così totale coerenza ad una fede (intellettuale o morale, politica o filosofica, civile o metafisica) [...]»61.

La «Ichnusa» di Pigliaru fu realmente la “rivista della Sardegnaˮ perché si sforzò sempre di non essere partigiana. Nacque come luogo di incontro e strumento di dialogo finalizzato all’inserimento degli intellettuali impegnati in seno alla vita politica sarda. Fece della partecipazione ai grandi temi della “questione sarda” (autonomia, rinascita, cultura, scuola e banditismo) il suo motivo d’essere in un periodo molto importante della vita del Paese e dellʼisola. Il periodico riuscì a offrire una testimonianza sulla Sardegna, senza chiudersi nel provincialismo, ma ponendosi costantemente e progressivamente come una sede aperta ad ogni genere di confronto. «Ichnusa» mirava a costruire un progetto politico democratico e autonomistico, di cui tutti i sardi avrebbero potuto essere parte.

59

S. Brusco, Sei domande sulla Rinascita, in «Ichnusa», n. 56-57, 1965.

60

S. Tola, op. cit., p. 83.

61