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L’incidenza della prescrizione sul diritto al ricorso effettivo ex art 13 CEDU

L’INCIDENZA DELLA PRESCRIZIONE SULLA PIENA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELLA VITTIMA DEL REATO

8.   L’incidenza della prescrizione sul diritto al ricorso effettivo ex art 13 CEDU

L’obbligo  per  lo  Stato  competente  di  fornire  alle  vittime  un  rimedio  effettivo,  ex   art 13 CEDU, sorge quando la violazione del diritto alla vita o del divieto di atti di tortura e di trattamenti inumani e degradanti venga puntualmente accertata.

Da ciò deriva  che  l’assenza  di  una  sanzione  penale  nei  confronti  del  reo,  causata   dall’intervento   della   prescrizione,   nei   casi   di   inerzia   delle   autorità   giudiziarie,   va   ad   integrare  potenzialmente  una  duplice  violazione:  da  un  lato,  l’inerzia  complessiva  delle   autorità, protrattasi intenzionalmente o per negligenza, costituisce violazione degli obblighi  procedurali  derivanti  dall’art  2  o  3,  nello  specifico  dell’obbligo  di  condurre  con   celerità  e  diligenza  i  procedimenti  penali;;  dall’altro  lato,  l’impossibilità  di  applicare la sanzione   penale   per   l’intervento   della   prescrizione   determina,   come   violazione   aggiuntiva,   quella   dell’art   1372. In queste ipotesi particolarmente gravi, è evidente

pertanto come inevitabilmente la natura dei diritti tutelati dagli articoli 2 e 3 abbia implicazioni  sull’art  13.73

Ciò premesso, in considerazione di quanto analizzato fino ad ora, occorre verificare  se,  nel  caso  in  cui  sia  stata  accertata  una  violazione  dell’art  2  o  dell’art  3,  il   diritto al ricorso effettivo imponga doverosamente allo Stato di sanzionare penalmente il responsabile  della  violazione,  precludendo  l’operatività  di  qualunque  causa  di  estinzione   del reato o causa di non punibilità, oppure se questo diritto possa essere soddisfatto pienamente anche attraverso strumenti alternativi, quali, ad esempio, il risarcimento del danno in sede civile.

70 F.BESTAGNO, Diritti umani e impunità. Obblighi positivi degli Stati in materia penale, cit., p. 208 71 Ibidem.

72 Cfr. V.SPIGA, Sulla compatibilità della prescrizione del reato con la Convenzione europea dei diritti

dell’uomo:  il  caso  Alikaj  c.  Italia, cit. 1188.

Oggi è ampiamente condivisa, in dottrina e nella giurisprudenza della Corte europea, la tesi secondo cui la presenza di rimedi alternativi alla condanna penale non sia sufficiente, in talune circostanze, a soddisfare il diritto al ricorso effettivo delle vittime. Come già evidenziato, il principio opera, in particolare, nel caso di gravi violazioni dei diritti umani (gross violation of human rights law) posta in essere in circostanze tali da coinvolgere la responsabilità statale. «Rispetto a questi casi, la Corte ha affermato che lo Stato   competente   ha   sempre   l’obbligo   di   sanzionare   penalmente   l’autore   della   violazione»74. In presenza di questi presupposti oggettivi (grave violazione) e soggettivi

(violazione perpetrata da soggetti dotati di pubblica autorità) solo la sanzione penale sarà, dunque,  idonea  a  realizzare  il  diritto  al  rimedio  effettivo  e  di  conseguenza,  l’applicazione   di misure escludenti la punibilità del reato, tra cui la prescrizione, diventerebbe incompatibile, di per sé, con gli obblighi convenzionali, anche nei casi in cui la vittima della violazione possa accedere al risarcimento dei danni in sede civile75.

Questo è il principio emerso emblematicamente nei casi giurisprudenziali esaminati  fino  ad  ora,  in  cui  si  sono  registrate  “gravi”  violazioni  di  diritti  fondamentali,   in   particolare   dei   diritti   previsti   dall’art   2   e   3   CEDU,   perpetrate   da   soggetti   dotati   di   autorità pubblica. In tutte queste ipotesi, la condanna penale acquista, dunque, valore “retributivo”  dei  diritti  violati  e  confluisce  negli  elementi  del  diritto  al  ricorso  effettivo   disposto  dall’art  13  CEDU76, unitamente alla sanzione disciplinare prevista nei confronti

del responsabile della violazione ed al risarcimento del danno in sede civile.

74 V.SPIGA, Sulla compatibilità della prescrizione del reato con la Convenzione europea dei diritti

dell’uomo:  il  caso  Alikaj  c.  Italia, p. 1189.

75 La Corte di Cassazione, in modo costante e pacifico, in materia di prescrizione del reato e di

prescrizione del diritto al risarcimento dei danni causati direttamente dal reato stesso ha affermato che (Cass., Sez. 3, 17 gennaio 2008, n. 872, in De jure/Juris Data), «qualora il fatto illecito generatore del danno sia considerato dalla legge come reato, se quest'ultimo si estingue per prescrizione, si estingue pure l'azione civile di risarcimento, data l'equiparazione tra le due prescrizioni, a meno che il danneggiato, costituendosi parte civile nel processo penale, non interrompa la prescrizione ai sensi dell'art. 2943 c.c.; tale effetto interruttivo, che si ricollega all'esercizio dell'azione civile nel processo penale, ha carattere permanente protraendosi per tutta la durata del processo; in caso di estinzione del reato per prescrizione, tale effetto cessa alla data in cui diventa irrevocabile la sentenza che dichiara l'estinzione, tranne che la parte civile abbia revocato la costituzione o non abbia, comunque, coltivato la pretesa, venendo in tal caso meno la volontà di esercitare il diritto che è alla base dell'effetto interruttivo.» Se, dunque, vi è stata costituzione di parte civile, si verifica l'interruzione con effetto permanente per tutta la durata del processo e tale termine ricomincia a decorrere dalla data in cui diviene irrevocabile la sentenza penale che ha dichiarato di non doversi procedere per essersi il reato estinto per prescrizione (Cass., Sez. 3, 19 novembre 2001, n. 14450, in De jure/Juris Data ; Cass., Sez. VI, 6 febbraio 2014, n.17799 -caso Eternit- in De

jure/Juris Data).

Nel  caso  in  cui  invece  la  prescrizione  intervenga  nel  corso  del  giudizio  d’appello,  ai  sensi  dell’art  578   c.p.p.   affinché   il   giudice   d’appello,   pronunciando   la   sentenza   di   non   doversi   procedere,   statuisca   sulle   questioni civili è necessaria la pronuncia di una condanna in primo grado e che vi fosse stata costituzione di parte civile nel processo. La giurisprudenza di legittimità sostiene necessariamente la ricorrenza di entrambe  le  suindicate  condizioni,  dichiarando  che  «è  illegittima  la  condanna  dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile pronunciata in appello, come effetto della declaratoria di sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione, con la quale il giudice di secondo grado abbia riformato, su impugnazione del pm, la sentenza di assoluzione di primo grado, in quanto la decisione sulle restituzioni e sul risarcimento del danno può essere adottata solo nel caso in cui, nel precedente grado di giudizio, sia stata affermata, con sentenza di condanna, la responsabilità dell’imputato»  (  Cass.  Sez.  V,  11  marzo  2005   , n. 15640, in De jure/Juris Data)

76 Corte EDU, GC, 1 giugno 2010, Gäfgen c. Germania, § 119; Cfr. F.VIGANÒ, L’arbitrio  del   non  

In   conclusione,   se   si   esclude   l’ipotesi   di   “gravi   violazioni”   dei   “diritti   fondamentali”  posta  in  essere  da  soggetti  dotati  di  autorità  statale,  in  cui  la  prescrizione  è   sicuramente inammissibile con la piena tutela dei diritti lesi, in tutte le altre ipotesi l’inammissibilità   della   stessa   verrà   accertata   solo   in   presenza   di   ulteriori   elementi.   Assumono valore significativo, a tal proposito, due situazioni: in primo luogo, l’eventualità   che   l’autorità   giudiziaria   abbia,   intenzionalmente o per negligenza, determinato la scadenza dei termini di prescrizione, lasciando impuniti i responsabili sul piano  penale;;  e  in  secondo  luogo,  l’impossibilità  per  le  vittime  di  accedere  ai  meccanismi   di risarcimento alternativi per il danno subito77.

9. La differenze discriminatorie del regime prescrizionale nei casi di omicidio

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