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La violazione del diritto alla vita, ex art 2 CEDU: il caso Alikaj c Italia

L’INCIDENZA DELLA PRESCRIZIONE SULLA PIENA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELLA VITTIMA DEL REATO

4. La violazione del diritto alla vita, ex art 2 CEDU: il caso Alikaj c Italia

Nel marzo del 2011, la Corte di Strasburgo pronuncia una sentenza con cui condanna  l’Italia  nel  caso  Alikaj34,  relativo  all’uccisione  di  un  giovane  albanese  da  parte  

di un membro della polizia italiana che tentava di arrestarlo dopo la sua fuga.

In linea di principio, la Corte precisa come il ricorso ad una forza potenzialmente mortale da parte dei poliziotti si possa giustificare solo in presenza di determinate condizioni.   In   particolare,   l’uso   della   forza   deve   risultare   “assolutamente   necessario”   «ossia deve essere strettamente proporzionato nelle circostanze. Il diritto alla vita assume un carattere fondamentale, le circostanze nelle quali può essere legittimo infliggere la morte richiedono una interpretazione restrittiva»35.

Il caso di specie   viene   esaminato   dal   punto   di   vista   dell’art   2,   §   2,   b),   Cedu.   Secondo la norma, la finalità legittima di eseguire un arresto regolare può giustificare l’esposizione  a  pericolo  della  vita  umana  soltanto  in  casi  di  assoluta  necessità.  Questa   necessità non sussiste nei casi in cui si sappia «che la persona che debba essere arrestata non   rappresenti   alcuna   minaccia   per   la   vita   o   l’integrità   fisica   di   chiunque   e   non   è   sospettata di aver commesso un reato violento, anche se può derivare una impossibilità di arrestare il fuggitivo»36.  Applicando  questi  principi  al  caso  di  specie,  si  acclara  che  l’uso  

letale  della  forza,  oltre  a  non  essere  proporzionato,  non  sia  stato  neanche  “necessario”  ai   sensi  dell’art  2  Cedu.  

La  Corte  ha  anche  cura  di  evidenziare  come  dall’art 2 discenda in capo agli Stati membri   l’obbligo   di   disciplinare,   minuziosamente   e   nel   rispetto   delle   linee   guida   internazionali  in  materia,  l’uso  delle  armi  da  parte  delle  forze  dell’ordine.  A  tal  proposito,   i  giudici  europei  rilevano  come  l’ordinamento  italiano sia totalmente carente di una tale regolamentazione. Sulla base di queste argomentazioni, la Corte europea dei diritti umani, all’unanimità,  accerta  la  violazione  sostanziale  dell’art  2  Cedu.  

32 Nello stesso senso, recentemente cfr. Corte EDU, 28 aprile 2015, Bastürk c. Turchia.

33 SPIGA, Sulla compatibilità della prescrizione del reato con la Convenzione europea dei diritti

dell’uomo:   il   caso   Alikaj   c.   Italia, in Riv. dir. intern., fasc. 4, Giuffrè, 2011, p. 1885. Sul rapporto tra

prescrizione e diritto della vittima al ricorso effettivo, cfr. infra § 8.

34 Corte EDU, 29 marzo 2011, Alikaj e altri c. Italia. Sul caso Alikaj cfr. A. COLELLA, La Corte

“condanna”  l’Italia  per  la  violazione  sostanziale  e  procedurale  dell’art  2  in  relazione  all’uccisione  di  un   diciannovenne albanese ad opera di un agente di polizia, in Dir. pen. cont., 30 marzo 2011; V.SPIGA, Sulla

compatibilità della  prescrizione  del  reato  con  la  Convenzione  europea  dei  diritti  dell’uomo:  il  caso  Alikaj   c. Italia, cit., p. 1176 ss.; A.BALSAMO –L.TRIZZINO, La prescrizione del reato nel sistema italiano e le

indicazioni della Corte europea: fine di un equivoco?, cit.

35 Corte EDU, 29 marzo 2011, Alikaj e altri c. Italia, cit., § 62. I principi espressi dalla Corte vanno ad

incidere   sull’ambito   di   operatività   della   scriminante   prevista   dall’art   53   c.p.:   il   mancato   riferimento   al   requisito della proporzione rende l’uso  legittimo  delle  armi,  quale  causa  di  giustificazione,  incompatibile   con   la   piena   tutela   del   diritto   alla   vita.   Quest’incompatibilità   può   essere   superata   già   grazie   ad   un   interpretazione  restrittiva  dell’ambito  di  operatività  della  causa  di  giustificazione.

Il profilo che in questa sede interessa maggiormente è quello relativo alla violazione  procedurale  dell’art  2,  che,  nel  caso  di  specie,  si  ritiene  si  sia  concretizzata   essenzialmente per due ordini di fattori.

I   giudici   pongono   l’accento,   in   primo   luogo,   «sull’insufficiente   indipendenza   dell’inchiesta»  dovuta sia al fatto che i primi atti delle indagini siano stati compiuti da agenti appartenenti alla stessa unità amministrativa del reo, sia al fatto che questi siano stati supervisionati dal suo diretto superiore gerarchico.

In secondo luogo, la Corte evidenzia come, essendo trascorsi undici anni dalla morte  della  vittima,  la  corte  d’assise,  pur  riconoscendo  la  responsabilità  penale  a  titolo  di   omicidio colposo del reo, ha dovuto pronunciare sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Si osserva,  a  tal  riguardo,  che  per  l’esigenza  di  «celerità  e  di   ragionevole diligenza, implicita nel contesto degli obblighi positivi in causa»37,

l’operatività   della   prescrizione   rientri   «   incontestabilmente   nella   categoria   di   quelle   “misure”  inammissibili  secondo la giurisprudenza della Corte in quanto ha avuto come effetto quello di impedire una condanna». Occorre aggiungere a questo anche il fatto che l’agente  di  polizia  non  fosse  stato  sottoposto  ad  alcuna  misura  disciplinare.  

Secondo i giudici di Strasburgo, pertanto, il sistema penale italiano non è stato in grado di «generare alcuna forza dissuasiva idonea ad assicurare la prevenzione efficace di atti illeciti come quelli denunciati dai ricorrenti»38.

La pronuncia in commento si colloca a pieno titolo nel solco di quel filone giurisprudenziale, inaugurato dal caso L.C.B.39 e in costante evoluzione, volto a riconoscere, in capo agli Stati membri, gli obblighi positivi di tutela a cui prima si faceva cenno.  Dall’art  2  non  discende  solo  l’obbligo  di  astenersi dal porre in essere atti capaci di ledere   del   diritto   alla   vita,   ma   anche   l’obbligo   (positivo)   di   prevedere   ed   adottare   concretamente un quadro normativo, amministrativo e giudiziario idoneo a garantire in modo effettivo lo stesso diritto40.

Con   riferimento   specifico   all’asserita   incompatibilità   della   prescrizione   con   gli   obblighi  procedurali  discendenti  dall’art  2,  va  osservato  come  la  Corte,  nella  sentenza,   ricostruisca i principi generali affermati nella stessa giurisprudenza di Strasburgo: il punto di  partenza  di  quest’analisi  è  la  sentenza  relativa  al  caso  Edwards41. In  quest’ultima,  si  fa   riferimento a casi in cui la morte di un individuo sia avvenuta in circostanze che avevano coinvolto  responsabilità  dello  Stato:  si  precisa  come  dall’obbligo di proteggere il diritto alla  vita  discenda  direttamente  l’obbligo  di  reprimere  e  sanzionare  la  violazione42.

Nella sentenza Alikaj, la Corte europea applica pienamente questo principio. Dopo aver sottolineato che, nei casi in cui ad essere accusato di atti contrari agli articoli 2 o 3 Cedu sia proprio un agente dello Stato, «la condanna non può essere resa caduca da una  prescrizione  e  non  può  essere  autorizzata  l’applicazione  di  misure  quali  l’amnistia  o   la grazia», ribadisce che il sistema penale italiano non è stato in grado di «generare alcuna

37 Corte EDU, 29 marzo 2011, Alikaj e altri c. Italia, cit., § 108. Si vedano sul punto i principi

affermati in Corte EDU, 4 maggio 2001, McKerr c. Regno Unito; Corte EDU, 2 settembre 1998,  Yaşa  c.  

Turchia.

38 Corte EDU, 29 marzo 2011, Alikaj e altri c. Italia, cit., § 111. 39 Corte EDU, 9 giugno 1998, L.C.B. c. Regno Unito.

40 Cfr. supra, § 2.

41 Corte EDU, 14 marzo 2002, Paul e Audrey Edwards c. Regno Unito.

42 Ibidem, § 64. Sul punto cfr. V.SPIGA, Sulla compatibilità della prescrizione del reato con la

forza dissuasiva idonea ad assicurare la prevenzione efficace di atti illeciti come quelli denunciati dai ricorrenti»43.

Conclude  osservando  che,  pertanto,  l’esito  del  processo  penale   «non  ha  offerto   una   adeguata   riparazione   dell’offesa   arrecata   al   valore   sancito   dall’articolo   2   della   Convenzione»44.

5. Il divieto di trattamenti inumani e degradanti, ex art 3 CEDU: Il caso Saba c.

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