• Non ci sono risultati.

La violazione del divieto di tortura: il caso Cestaro c Italia

L’INCIDENZA DELLA PRESCRIZIONE SULLA PIENA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELLA VITTIMA DEL REATO

6. La violazione del divieto di tortura: il caso Cestaro c Italia

Sui profili di forte criticità del modello italiano di prescrizione emersi nella giurisprudenza di Strasburgo, si era già pronunciato il Comitato contro la Tortura dell’Onu,  nel  2007.    Si  era  sostenuto  che  la  repressione  penale  degli  atti  di  tortura  non   dovesse essere soggetta alla disciplina della prescrizione e tra le raccomandazioni del Comitato  vi  era,  puntualmente,  quella  di  riformare  l’istituto  in  modo  da  poterne  «garantire   la  piena  coerenza  con  le  obbligazioni  derivanti  dalla  Convenzione  dell’ONU  contro  la   tortura, in modo da rendere possibili le indagini, i processi e la punizione di simili atti senza tempo»54.

Proprio intorno alla violazione del divieto di tortura ex art 3 ruota la sentenza

Cestaro55, pronunciata dalla Corte EDU lo scorso 7 aprile. Il caso esaminato dai giudici

di  Strasburgo  rientra  nell’ambito  del  filone  processuale relativo alle violenze perpetrate dalla  polizia  italiana,  all’interno  della  scuola  Diaz-Pertini di Genova, nel luglio del 2001, durante le giornate del G8.

Il ricorrente è un cittadino italiano, il sig. Arnaldo Cestaro, sessantaduenne all’epoca  dei  fatti. Dopo la conclusione del summit del G8, nella notte tra il 21 e il 22 luglio, mentre insieme ad altri manifestanti alloggiava nella scuola Diaz-Pertini, venne colpito duramente dagli agenti di polizia alla testa, sulle braccia e sulle gambe con calci e manganelli   del   tipo   “tonfa”,   considerati   potenzialmente   letali   e   per   questo   fuori   ordinanza56.  Il  sig.  Cestaro  «fu  il  primo  ad  essere  picchiato  e  l’ultimo  ad  essere  condotto  

in ospedale»57, dove rimase ricoverato quattro giorni e venne sottoposto ad un primo

intervento chirurgico. Ritornò a casa in sedia a rotelle, con una prognosi di quaranta giorni a  causa  delle  fratture  all’ulna  e  al  perone.  (§  155).

53 Corte EDU, 1° luglio 2014, Saba c. Italia, §§ 76 e 79.

54 Comitato contro la Tortura, Osservazioni  Conclusive  sull’Italia (CAT/C/ITA/CO/4), 2007, § 19; Sul

punto cfr. A. BALSAMO, L’art   3   della   CEDU   e   il   sistema italiano della prescrizione: una riforma

necessaria, cit., p. 3932.

55 Corte EDU, 7 aprile 2015, Cestaro c. Italia.

56 Cfr. Corte EDU, 7 aprile 2015, Cestaro c. Italia, § 68.

57 A.COLELLA, C’è  un  giudice  a  Strasburgo.  In  margine  alle  sentenze  sui  fatti  della Diaz e di Bolzaneto:

l’inadeguatezza  del  quadro  normativo  italiano  in  tema  di  repressione  penale  della  tortura, in Riv. it. dir. proc. pen., fasc. 4, Giuffrè, 2009, p. 1808.

Nella   sentenza,   con   decisione   adottata   all’unanimità,   la   Corte   ha   condannato   l’Italia   ravvisando   una   duplice violazione,   sostanziale   e   procedurale,   dell’art   3   della   Convenzione58.

Riguardo al profilo materiale della violazione, la Corte sottolinea come per determinare se un abuso possa essere qualificato come tortura, occorra valutare «l’inumanità  dello  stesso  e la capacità di arrecare sofferenze molto gravi e crudeli. Tale specificità dipende da una serie di elementi, come la durata del trattamento e dei suoi effetti  fisici  o  mentali,  e,  a  volte,  il  sesso,  l’età,  lo  stato  di  salute  della  vittima  ecc.».  Viene   utilizzato   il   criterio   dell’intensità della sofferenza unitamente al criterio che fa leva sull’esistenza  di  «una  volontà  deliberata»59.  Rispetto  al  caso  di  specie,  l’esistenza  di  una  

“volontà   deliberata”   viene   desunta   da   una   serie   di   circostanze:   le   percosse   sono state inflitte «in modo totalmente gratuito»; non vi è stato un qualsiasi nesso causale tra la condotta di Cestaro - che se ne stava inerme, seduto a terra, a braccia alzate - e  l’uso  della   forza e oltretutto, come ampiamente dimostrato nel corso dei processi interni, l’operazione   era   stata   concepita   fin   dall’inizio   come   una   spedizione   punitiva   contro   i   manifestanti, come una vera e propria rappresaglia, «tesa semplicemente a provocare l’umiliazione   e   la   sofferenza   fisica   e   morale   delle   vittime»60. Sul piano delle misure

generali, sono stati previsti obblighi positivi di tutela penale: secondo i giudici di Strasburgo,  infatti,  il  diritto  fondamentale  sancito  dall’art  3  CEDU  sarebbe  privo  di  una   tutela  piena  ed  effettiva  a  causa  dell’assenza  di  una  puntuale criminalizzazione del reato di   tortura.   L’Italia   ha   ratificato   la   Convenzione   contro   la   tortura   adottata   in   seno   alle   Nazioni   Unite   nel   1984,   tuttavia   non   ha   mai   trasposto   l’obbligo   specifico   di   incriminazione   previsto   dall’art   4   e   l’assenza   drammatica   del delitto di tortura nell’ordinamento  italiano  è  stata  stigmatizzata,  da  tempo,  da  molte  voci  autorevoli  della   dottrina italiana61. Si tratta di un deficit strutturale che nel caso di specie non ha permesso

di sanzionare gli atti di tortura subiti dal ricorrente, e che farebbe venir meno ogni «effetto deterrente  necessario  per  prevenire  altre  simili  violazioni  dell’art  3  in  futuro»  (§  242).  

E’  proprio  in  questa  prospettiva  che,  ai  fini  della  violazione  procedurale  dell’art   3, la prescrizione si è rivelata decisiva. Essa, operando contestualmente ai benefici concessi dal provvedimento di indulto previsto dalla legge 241 del 2006, ha paralizzato qualsiasi tipo di risposta penale, in quanto ai reati contestati agli imputati – lesioni, percosse,   violenza   privata,   abuso   d’ufficio,   ecc.   – sono stati applicati termini di prescrizione brevi.

A dimostrazione di tutti gli sforzi compiuti dalle autorità giudiziarie interne, durante i diversi gradi di giudizio relativi alle violenze subite dai manifestanti durante il G8,  è  interessante  osservare  come,  a  conclusione  del  giudizio  d’appello  relativo  ai  fatti  

58 In argomento, F.VIGANÒ, La   difficile   battaglia   contro   l’impunità   dei   responsabili di tortura: la

sentenza della Corte di Strasburgo sui fatti della scuola Diaz e i tormenti del legislatore italiano, in Dir. pen. cont., 9 aprile 2015; F.CASSIBBA, Violato  il  divieto  di  tortura:  condannata  l’Italia  per  i  fatti  della  

scuola  “Diaz-Pertini”,  in  Dir. pen. cont., 27 aprile 2015.

59 La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti,

attribuisce  valore  determinante  al  criterio  della  “volontà  deliberata”.  Si  definisce  tortura,  infatti,  qualsiasi atto  mediante  il  quale  venga  inflitto  “intenzionalmente”  dolore  ad  una  persona,  al  fine  di  ottenere  da  esse   informazioni oppure per punirla o intimidirla (§171).

60 Sono le parole del Procuratore Generale, cfr. Sentenza Cestaro c. Italia, § 77.

61 Cfr., per tutti, A.PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e costituzione: anatomia di un reato

della caserma Bolzaneto 62 , il Procuratore generale di Genova avesse eccepito

l’illegittimità  costituzionale  dell’art  157  c.p.  per  contrasto  con  l’art  117,  1°  comma,  Cost.,   in  relazione  all’art  3  CEDU.  

La Suprema Corte, nella sentenza Diaz, aveva già riconosciuto che i fatti emersi nel corso dei giudizi di merito rientrassero nel concetto di tortura e che «la gravità e gratuità  dell’uso  della  forza  fosse  stata  provata  nel  processo  al  di  là  di  ogni  ragionevole   dubbio»63.  Forte  di  quest’affermazione  di  principio,  la  Procura  di  Genova  osservava  come  

dall’art   117, 1° comma, discendesse in capo al legislatore il dovere di conformarsi ai vincoli  derivanti  dagli  obblighi  internazionali.  Di  conseguenza  l’art  157  c.p.  si  poneva  in   contrasto con la norma convenzionale, nella parte in cui non escludeva dal suo ambito di operatività i delitti integranti condotte poste in essere in violazione del divieto di tortura previsto  dall’art  3  CEDU64.

I giudici di legittimità, tuttavia, hanno ritenuto manifestamente infondata la questione,  asserendo  che,  ai  sensi  dell’art  25  Cost.,  non sia ammissibile una pronuncia capace di incidere in malam partem sulla   risposta   punitiva   dell’ordinamento   e   sugli   aspetti inerenti alla punibilità65.

7. Gli orientamenti della Corte europea dei diritti umani in materia di condotte che

Outline

Documenti correlati