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Un riscatto, sul piano probatorio, apparentemente amplificato

TRA RISCATTO E FUGA: LE PAROLE DELLA VITTIMA NEL CONTRADDITTORIO PROCESSUALE

1. Un riscatto, sul piano probatorio, apparentemente amplificato

«Ne cives ad arma ruant».

Così suonava il monito del praetor romano, preoccupato di garantire la pace sociale e scongiurare la vendetta. Il fine era chiaro: il processo, raffinata modalità di soluzione  delle  controversie,  valeva  a  sostituire  l’autotutela  degli  offesi.  Una  dimensione   di riscatto era, ed é tuttora, loro concessa nel contesto del processo penale - allora di natura privata2, ora pubblica -. La vexata quaestio é comprendere fino a che punto, «se

ha un senso dire punto dove non é spazio»3, possa giungere tale riscatto, di cui il

contributo testimoniale é principale manifestazione.

Assunto  il  dato  per  cui  nell’ordinamento  penale  difetta  una  regola  analoga  all’art.   246 c.p.c.4, ed ammesso, di conseguenza, il cumularsi in capo alla vittima5 delle

qualifiche  processuali  di  “persona  offesa”  e  “testimone”,  sorse presto  l’interrogativo  se  il   legislatore si fosse scordato della palese aspettativa della vittima ad un esito processuale sfavorevole   all’imputato6 o se, piuttosto, avesse ritenuto a tal punto essenziale il

1 Un   ringraziamento,   per   l’attenzione   dedicata   e   i   puntuali   rilievi,   va   alla   professoressa   Barbara  

Lavarini.

2 Sulla  progressiva  “depenalizzazione”  del  diritto  privato  romano,  e  parallela  attrazione  di  illeciti  privati  

nel diritto pubblico: M.MARRONE, Istituzioni di diritto romano³, Palumbo, 2006, 99 ss, 498 ss.

3 E. MONTALE, Altri versi, II, Ho tanta fede in te...

4 Per una disamina delle differenze di trattamento tra sede civile e sede penale, in relazione alla figura

del danneggiato - spesso, ma non necessariamente, coincidente con la persona offesa -, B.LAVARINI, Azione

civile nel processo penale e principi costituzionali, Giappichelli, 2009, 27 ss.

5 Ad  evitare  eccessive  ripetizioni,  si  useranno  alternativamente  i  termini  “vittima”  e  “persona  offesa”,  

nella consapevolezza che la sinonimia é imprecisa: il primo termine sconta una vaghezza di fondo, e l’ordinamento  italiano  conosce,  per  lo  più,  il  secondo.  Per  contro,  quest’ultimo  assume  autonoma  rilevanza   giuridica    nella  Direttiva  2012/29/UE,  all’art.  2  §  1.

6 Interesse rilevato, ex plurimis, da M. G. AIMONETTO, voce Persona offesa dal reato, in Enc. dir., vol.

contributo probatorio della vittima da giustificare questa scelta7. L'incipit da cui muovere

é, evidentemente, che il processo si serve della vittima per finalità di rilievo pubblicistico. Di qui un ruolo ambiguo della stessa, che contemporaneamente avanza una pretesa8 e

viene assoggettata a doveri alla pari degli altri testimoni9: la vittima si serve del processo

penale e serve al processo penale10.   È   stato   notato,   tuttavia,   che   l’essenzialità   del  

contributo della vittima non si traduce in necessità stricto sensu, in quanto é sempre astrattamente possibile - benché altamente improbabile - che  l’audizione  della  persona   offesa non sia richiesta da nessuna delle parti, e che il giudice non ricorra alla extrema

ratio dell’assunzione  d’ufficio  ex art. 507 c.p.p.11.

Ad ogni modo, una volta richiesta e ammessa la testimonianza della persona offesa, lo scenario processuale si arricchisce delle parole del soggetto (supposto)12 titolare

del bene giuridico leso e, in quanto tale, (supposto) diretto conoscitore dei fatti13. A fronte

di una pluralità di prove, le sue dichiarazioni testimoniali costituiranno una premessa probatoria14, fra le altre.

I   problemi   sorgono   laddove   la   testimonianza   della   vittima   rappresenti   l’unica   premessa probatoria, o quando la medesima si contrapponga alla premessa probatoria costituita dalle dichiarazioni - in esame dibattimentale - dell’imputato,   senza   alcun   ulteriore   elemento   che   corrobori   l’una   o   l’altra   versione.   L'esame   testimoniale   della   persona offesa e l'esame dell'imputato hanno pari dignità probatoria, ma cosa contribuisce a differenziarli - sul piano della valutazione - é la sussistenza dell'obbligo di affermare il vero, elemento che difetta nell'esame dell'imputato15. Da ciò si ricava una tendenziale

7 Un esplicito suggerimento, limitatamente alla testimonianza della parte civile, si evince dalla

Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, in Gazz. uff., Serie generale n. 250 del

24 - 10 - 1988 - Suppl. ordinario n. 93, dove si afferma: «Si e' ritenuto che la rinuncia al contributo probatorio della parte civile costituisce un sacrificio troppo grande nella ricerca della verità processuale».

8 A ben vedere le pretese sono più di una: quella, in senso ampio, ad una certa conclusione del

procedimento penale - v. nota 6 -, quella ad ottenere ascolto - pretesa che oggi trova conferma nella Direttiva 2012/29/UE, art. 10, rubricato «Diritto ad essere sentiti» - e quella, eventualmente, ad un ristoro risarcitorio - qualora danneggiato e persona offesa coincidano -.

9 G. ILLUMINATI, La vittima come testimone, in AA.VV., Lo statuto europeo delle vittime di reato, a cura

di L. Lupària, Cedam, 2015, 65 ss.

10 H. BELLUTA, Eppur si muove: la tutela delle vittime particolarmente vulnerabili nel processo penale

italiano, in AA.VV., Lo statuto europeo delle vittime di reato, cit., 257. Sulla contraddittorietà della figura,

L. PARLATO, Il contributo della vittima tra azione e prova, Torri del Vento, 2012, 381 ss.

11 L.LUPÀRIA, Quale posizione per la vittima nel modello processuale italiano?, in AA.VV., Lo scudo

e la spada. Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia,

Giappichelli, 2012, 47.

12 Sulla cautela a considerare la vittima  come  “presunta”,  L.LUPÀRIA, Quale posizione per la vittima

nel modello processuale italiano?, cit., 50.

13 Corollari di questa conoscenza diretta dei fatti in L. PARLATO, Il contributo della vittima tra azione e

prova, cit., 382 ss.

14 Ci si riferisce a «i mezzi potenzialmente idonei a provare», alias il primo dei tre fattori componenti

la   “struttura   triadica   della   prova”,   P. FERRUA, La prova nel processo penale. Vol. I Struttura e

procedimento, Giappichelli, 2015, 1 - 47 ss. Di seguito si considereranno   fungibili   i   termini   “prove”   e  

“premesse  probatorie”,  con  ciò  riferendosi  al  medesimo  fenomeno  ora  descritto.

15 M.STELLIN, Il contributo testimoniale della vittima tra Cassazione e CEDU, in Arch. pen., n. 1, 2015,

presunzione  di  attendibilità  del  teste,  quand’anche  vittima16, e una tendenziale sfiducia

verso le parole dell'imputato17, il che porterebbe a rilevare come, ex post, paia sorto

sull’accusato   l’onere   della   prova,   senz’altro   diabolica, della temerarietà delle dichiarazioni della vittima.

Si   aggiunga,   fra   l’altro,   la   granitica   massima   giurisprudenziale per cui la deposizione della persona offesa può essere assunta, da sola, come fonte di prova della colpevolezza  dell’imputato18. É, altresì, vero che il giudici di legittimità hanno, da tempo,

affinato i criteri con cui vagliare attentamente le dichiarazioni del teste - vittima, richiedendo un maggiore corredo motivazionale19, ma restano inapplicabili, al caso di

specie,  i  canoni  di  valutazione  della  prova  forniti  dall’art.  192  commi  2  e  3  c.p.p.20.

Arduo, ma non impossibile, superare l'impasse della   temuta   inversione   d’onus

probandi21.

Il legislatore detta, infatti, una regola di giudizio22: che la prova della colpevolezza

si raggiunga «oltre ogni ragionevole dubbio», altrimenti si prosciolga. Tertium non datur.

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