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Indagini e reti di iniziative: dal PISA all’Accademia de

1 “Divisi si va uniti (verso l’estinzione)”: frammentazione vs compattezza nelle iniziative di formazione

2. Strumenti e obiettivi: percorsi di formazione per do centi del territorio

2.2. Indagini e reti di iniziative: dal PISA all’Accademia de

Lincei

Tra gli strumenti più concreti ed aggiornati oggi a disposizione dei docenti per quel processo di formazione continua che deve caratterizzare la carriera di ciascuna figura coinvolta nei processi di educazione e intera- zione didattica, le indagini nazionali ed internazionali conservano indub- biamente la loro validità ed efficacia, non fosse altro che per il carattere si- stematico con cui, a cadenza periodica, esse richiamano l’attenzione su una serie di criticità e obiettivi che paiono rinnovarsi costantemente quando si parla di educazione, insegnamento, didattica e formazione.

Tra le reti di indagine meglio consolidate in questo specifico ambito si prende qui brevemente come spunto di riflessione quella nota con l’acro- nimo di PISA (Program for International Student Assessment), che nella definizione data dai suoi ideatori

is a worldwide study by the Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) in member and non-member nations of 15-year-old school pupils’ scholastic performance on mathematics, science, and reading. It was first performed in 2000 and then repeated every three years. (…) 510.000 students took part in this latest PISA survey, representing about 28 million 15-year-olds globally and 65 nations and territories (…) (cfr. Nardi, 2000; www.invalsi.it/invalsi/ri/ pisa2015/doc/Fascicolo_presentazione_PISA2015.pdf.

L’indagine PISA, promossa per la prima volta dall’OCSE (Organiz- zazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), nasce dunque nel 1998 con l’obiettivo, piuttosto ampio, di accertare con periodicità triennale conoscenze e capacità dei quindicenni scolarizzati dei principali paesi in- dustrializzati, con la particolarità che in ciascuna edizione (l’indagine si ripete con cadenza triennale) il “major domain”, ovvero l’attenzione mag- giore, viene dedicata ad una disciplina sempre differente. Così, ad esempio,

se nella edizione del 2015 il fulcro dell’indagine è stata la rilevazione del livello di rendimento in matematica, nella prossima edizione, prevista per il 2018, il perno dell’osservazione tornerà ad essere (lo era già stato nella prima edizione del 1998) l’abilità di lettura degli studenti. Sono mediamen- te più di 500.000 gli studenti coinvolti nelle singole edizioni dell’indagine, selezionati in modalità a campione in tutti i paesi del mondo.

Tra le nazioni che sin dalla prima edizione, svoltasi nel 2000, hanno aderito a questa quasi monumentale indagine vi è, naturalmente, l’Italia: dei cui risultati però, almeno sino ad ora, non si può essere fieri, partico- larmente se ci si riferisce alle performances degli studenti nelle abilità linguistiche. I risultati della ultima edizione mostrano, difatti, un netto (e poco confortante) divario tra gli studenti meridionali e quelli settentrionali negli ambiti specifici della matematica, delle scienze e della lettura: un di- vario che diventa ancora più evidente se ci si apre al panorama mondiale, dove in riferimento alle performances linguistiche, se da un lato troviamo una “eccellenza” (quella del Veneto che si classifica al tredicesimo posto), dall’altro vi è un livello di rendimento assai basso per alcune altre regioni, quale ad esempio la Sicilia, dove gli studenti raggiungono risultati (con particolare riferimento alle abilità linguistiche ricettive) inferiori solo a quelli degli studenti coinvolti nella Repubblica slovacca, oggettivamente piuttosto bassi (Nardi, 2000, pp. 41-49).

Gli esiti generalmente deludenti conseguiti dagli studenti italiani con particolare riferimento ai contenuti e alle abilità linguistiche hanno avuto come conseguenza una mobilitazione concreta di istituzioni scolastiche ed extrascolastiche, parimenti coinvolte nei processi di monitoraggio, ricerca- azione e formazione delle figure docenti, su cui assai spesso ricadono le “colpe” di aspettative disattese.

Tra queste istituzioni primeggia, in riferimento ai contenuti linguisti- ci, l’Accademia dei Lincei, che a partire dal 2013 ha costituito una rete capillare di iniziative con l’obiettivo di raggiungere sui territori regionali docenti e formatori per offrire loro occasioni di aggiornamento e confronto su alcune tematiche “annose”, tra cui non può mancare l’educazione lingui- stica (cfr. Clementi, Serianni, 2015). Proprio in questo specifico ambito, i Lincei hanno inteso tessere una trama di sollecitazioni, spunti e occasioni di riflessione rivolti espressamente ai docenti di lingua e letteratura italiana raggruppati per aree regionali, ai quali hanno proposto una serie di obietti- vi da perseguire costantemente nel processo di familiarizzazione e consoli- damento dei contenuti dell’italiano.

In quest’ottica, gli studiosi coinvolti hanno consapevolmente affrontato una serie di problematiche che quotidianamente, nel processo di insegna- mento, si frappongono tra il docente stesso e la buona riuscita del processo medesimo. Tra i “pomi della discordia” chiamati in causa in questo percor-

so di aggiornamento vi sono, ad esempio, la (spesso mancante) consapevo- lezza, negli alunni, del concetto di lingua nazionale, ovvero di lingua come strumento di espressione dell’identità civica, prima che culturale, sia nelle sue forme orali che in quelle – tradizionalmente più complesse e laborio- se – della scrittura (cfr. il recentissimo Serianni, 2016). Il raggiungimento o consolidamento di questa consapevolezza, e il conseguente interesse per la salvaguardia della lingua standard rispetto all’intromissione invasiva di alcuni fenomeni linguistici (cfr. infra) viene posto, nella iniziativa di formazione dei Lincei, come obiettivo primario di qualsivoglia percorso scolastico, in cui la didattica linguistica dovrebbe rappresentare una di- mensione trasversale, inclusa di default nelle singole didattiche disciplinari. Successivamente gli studiosi dell’Accademia individuano la opportunità di rendere consapevoli i discenti della differenza tra abilità produttive e abi- lità ricettive della lingua, che nelle dinamiche dell’uso può tradursi in uso, appunto, attivo e passivo della lingua.

Qui si rende forse opportuna una precisazione, relativa alla distinzione tra abilità operata dal Quadro comune europeo di riferimento per le lin-

gue, cui si contrappone quella tra modalità d’uso – attiva e passiva – della lingua proposta dai Lincei. A ben guardare, non si tratta di una contrap- posizione vera e propria, quanto piuttosto di due prospettive differenti da cui guardare al medesimo contenuto: da un lato, quella “normativa” del

Framework, che diversifica i contenuti dell’insegnamento/apprendimento

linguistico per abilità, pur non mancando di sottolineare ripetutamente la complementarietà che le caratterizza; dall’altro, quella dell’uso comune, in cui i Lincei sottolineano la necessità di far comprendere agli studenti che ascoltare e leggere significa partecipare ai processi comunicativi tanto quanto parlare e scrivere (Mazzotta, 2001, 2002; Vedovelli, 2010).

Tra le “annose questioni” sollevate dagli accademici dei Lincei con il proposito di trasformarle, si diceva, in obiettivi di aggiornamento\inse- gnamento (per i docenti) e apprendimento (per gli studenti) vi è la neces- sità – particolarmente in tema di lingua italiana come lingua madre, ma anche come seconda o straniera – di recuperare la dimensione cosiddetta colta: laddove colta non deve in nessun caso e per nessun motivo far pen- sare a una lingua “da bacheca”, lontana dalla dimensione dell’uso, quanto piuttosto a una lingua che pur non piegandosi costantemente a gergalismi o regionalismi esasperati è in grado di mettere in comunicazione tra loro tutti i differenti settori del sapere, dello studio, e anche solo del parlare (cfr. Dardano, 2005). Non a caso, incitando docenti e studenti al recupero della dimensione colta, i Lincei non tralasciano di riferire della necessità di integrare questa dimensione con alcune manifestazioni ormai consuete nell’uso linguistico, e se vogliamo particolarmente familiari alla dimensio- ne studentesca, quali sono ad esempio gli stili comunicativi tipici della rete

telematica o degli smartphones (quando non si sconfini nell’ambito, assai poco linguistico, delle emoticons o dei segni diacritici o di operazione ma- tematica utilizzati in sostituzione dei segni alfabetici). È plausibile ipotiz- zare che i Lincei abbiano intravisto in queste particolari forme espressive un canale utile a introdurre agli studenti forme linguistiche viste da loro come meno familiari, pur essendo parte della loro madrelingua: si parte dal friendly per introdurre contenuti e concetti considerati “ostici” magari solo perché non passano attraverso i canali – la rete e il telefono, appunto – di comunicazione più immediata. Il processo di familiarizzazione agevo- lerebbe, nel progetto dei Lincei, una riscoperta del valore della competenza linguistica (ovvero degli aspetti più legati alla forma, tradizionalmente ca- tegorizzati, per l’italiano come per le altre lingue, in morfologia, fonologia, sintassi e lessico) antesignana e complementare rispetto alla competenza comunicativa, che la prepotente affermazione, negli anni Sessanta del secolo scorso, degli omonimi approcci glottodidattici ha messo in primis- simo piano, oscurando la precedente, erroneamente legata solo al concetto di rigido e quasi sterile rispetto di regole e postulati grammaticali (cfr. Ci- liberti, 2012). L’arricchimento della competenza linguistica potrebbe essere utilizzato come fucina per lo sviluppo o il consolidamento della competen- za testuale, in cui abilità produttive (saper scrivere o “recitare” un testo) e ricettive (saper leggere, ascoltare, decodificare) non sono più scindibili, ma devono restare complementari per il beneficio dell’intero processo di ap- prendimento (Clementi-Serianni, 2015, pp. 11-12).

Il percorso tracciato dalla rete dei Lincei a beneficio dei docenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado ha incluso, in gran parte in linea con quanto predisposto dalla rete internazionale PISA, riferimenti al potenziamento di tre competenze disciplinari: l’italiano argomentativo, la matematica e le scienze. A giudizio dei Lincei, questi tre saperi, prima che un presupposto culturale trasversale, dovrebbero costituirsi come un autentico requisito di cittadinanza per tutti gli studenti scolarizzati che si collochino entro il diciottesimo anno di età. A principio di questo percorso, e dunque della possibilità di aggiornamento offerta ai docenti, i promotori pongono due quesiti fondamentali: 1. quante relazioni sia possibile stabili- re tra i vari saperi, nell’ottica di una interazione positiva e propositiva che ne valorizzi le potenzialità sia in forma sistemica che in modalità singola; 2. se esistano possibilità concrete e non conflittuali di collaborazione tra i vari docenti. Questo secondo interrogativo in particolare sembra rifar- si ai dati poco confortanti, sicuramente presi in esame dagli accademici dei Lincei, relativi a molteplici esperienze in ambiente CLIL, ovvero di apprendimento integrato di lingua e disciplina non linguistica (Marsh, Nikula, 1999; Coonan, 2002, 2005), nato, lo ricordiamo brevemente, pro- prio nell’ottica di un insegnamento veicolare delle lingue in una modalità

che, nel rispetto della rule of forgetting teorizzata da Krashen, aspirava a indurre gli studenti all’apprendimento implicito della lingua target utilizza- ta per lo studio delle altre discipline (Krashen, 1981). Se per paesi come la Finlandia e la Gran Bretagna si può parlare di esperienze positive in questo senso, ciò non resta vero per l’Italia, in cui la co-presenza “in tandem” in aula del docente di lingua e del docente della disciplina non linguistica ha generato tensioni e contrasti relativi a quanto spazio dare a quale delle due discipline (e, di conseguenza, a quale dei due docenti). Non si è ancora ipo- tizzato, ad oggi, un percorso CLIL avente come lingua veicolare l’italiano (si tratterebbe, se svolto entro i confini nazionali, di un percorso rivolto in ogni caso ai soli apprendenti di italiano come L2): ciò nonostante, resta vi- vo il proposito di sensibilizzare i docenti a promuovere percorsi il più pos- sibile interdisciplinari, in cui l’educazione linguistica si costituisca come ponte trasversale nella costruzione del bagaglio di conoscenze.

In quest’ottica di trasmissione trasversale dei saperi si colloca, conse- guentemente, anche il percorso di aggiornamento proposto ai docenti dagli accademici della Crusca: un percorso il cui obiettivo finale diventa quello di stabilire una relazione tra le cosiddette lingue della scienza e la lingua italiana dell’uso comune, quando non – nell’ipotesi di un livello attentivo e di apprendimento particolarmente elevato – con la lingua italiana lettera- ria, la lingua “colta” di cui si diceva poc’anzi. Questo obiettivo ambizioso parte proprio dalla rilevazione che, nonostante i numerosi sforzi compiuti negli ultimi anni in direzione di una multidisciplinarietà diffusa, i linguag- gi delle scienze e delle lettere sembrano ancora lontani dall’instaurare un dialogo didatticamente e tematicamente costruttivo: secondo quanto segna- lato da Cortelazzo (2011, p. 1983) nella Enciclopedia dell’italiano, “(…) le barriere linguistiche derivate dalle ineliminabili diversità tra linguaggio scientifico e lingua comune sono ancora ben lontane dall’essere abbattute”. Laddove, è forse il caso di sottolineare, la definizione di “ineliminabili” intende riferirsi non tanto ad una incomunicabilità tra i settori menzionati, quanto all’esiguo numero di tentativi fatti in direzione di un codice lingui- stico il più possibile comune, in grado dunque di porsi “a cavallo” tra la lingua della comunicazione ordinaria e i contesti più specialistici.

Proprio a ridimensionare quella convinzione di non-eliminabilità si muove la proposta di aggiornamento dei Lincei, i quali nell’ottica di di- mostrare la possibilità, al contrario, di una interazione comprensibile e propositiva tra i diversi linguaggi svolgono un’analisi linguistica dei conte- nuti specifici generalmente ritenuti refrattari rispetto alle dinamiche e alle forme linguistiche della comunicazione ordinaria. Coluccia, ad esempio, invita i docenti a riflettere su quanto accade nell’ambito disciplinare della matematica, dove, a ben guardare, il docente alterna – spesso in modo inconsapevole – almeno tre tipi di linguaggio: 1) ordinario e tecnico-in- formale, caratterizzato dall’uso costante del discorso diretto, marcato da

numerose espressioni colloquiali e dalla presenza solo sporadica di tec- nicismi; 2) tecnico e semi-formale, utilizzato per i momenti della lezione in cui vengono esposti i contenuti, offerte agli studenti rappresentazioni grafiche degli stessi e il docente si alterna agli studenti stessi nel rivolge- re e rispondere a domande, nel formulare commenti, nel ricorrere a tratti paralinguistici ed extralinguistici con l’idea di semplificare i contenuti e instaurare una comunicazione più “vivace”; 3) formale, in cui con maggio- re ampiezza emergono simboli, formule, codici e frasi di argomentazione logico-deduttiva introdotte da alcuni specifici marcatori (“se… allora”; “dato… si calcoli” e così via) (cfr. Coluccia, 20161). Descritta in questi

termini, la matematica – ma lo stesso discorso potrebbe restare valido an- che per altre discipline scientifiche – si connota come un crocevia di più forme di lingua, per le quali è necessario trovare un equilibrio, se non si vuol correre il rischio della incomprensibilità dei contenuti nel processo didattico. La matematica è dunque essa stessa un tema di riflessione lin- guistica, da svolgersi tenendo conto almeno tre passaggi, vale a dire quelli di traduzione, decodifica e interpretazione di questa peculiare varietà di linguaggio scientifico. Una riflessione articolata, cui fa seguito un ulterio- re interrogativo: se sia possibile, nel concreto della dimensione didattica e multidisciplinare, trovare un bilanciamento tra il rigore della disciplina (/la rigidità del suo linguaggio) e la sua comunicazione tramite un linguaggio (non eccessivamente) distante da quello della lingua comune. Un interroga- tivo la cui risposta, secondo i Lincei, va cercata proprio nell’articolazione progetti interdisciplinari, in cui la dimensione linguistica venga presentata agli studenti come un approfondimento propedeutico alla assimilazione dei contenuti specifici, e non – come spesso hanno lamentato gli studenti stes- si – un inutile groviglio di perifrasi che producono, a livello dei contenuti, appunto, il (temutissimo) risultato opposto (cfr. Bruni, Raso, 2002).

3. Obsolescenze, neoformazioni, dialettalismi, lingue “da

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