Formazione iniziale, tirocinio, tutorato Qualificare gli insegnanti per la qualità
2. Qualificare gli insegnant
Il profilo docente nella scuola è tema sul quale pedagogia e disci- pline non sempre riescono a trovare una sintesi condivisa. Si fatica a co- ordinare e armonizzare le esigenze di merito, riguardo la composizione delle competenze per l’insegnamento (pedagogiche e disciplinari), quelle dell’organizzazione della didattica accademica, e, infine, i legittimi rilievi provenienti da chi gli insegnanti li rappresenta: associazioni professionali e sindacati, similmente a quanto avviene per altre professioni intellettuali ad alta specializzazione1.
Lo sforzo di far rientrare gli ambiti di competenze all’interno dei settori scientifici disciplinari attualmente in ordinamento nelle università dovrebbe forse aprirsi alla possibilità di riflettere su sperimentazioni e ricerche in campo educativo nella scuola, e confrontare, ove necessario adattandole, le categorie esistenti con la realtà emergente dalla pratica scolastica.
Qualificare gli insegnanti è un processo dinamico che mal si combina con una rappresentazione statica del campo di studio. L’approccio riflessi- vo e di ricerca che si vuole caratterizzi le competenze specifiche richieste all’insegnante (Mortari, 2004), dovrebbe essere il principale carattere an- che della comunità scientifica che si occupa di formazione degli insegnanti.
Va detto che tutta la lunga evoluzione delle decisioni di politica scola- stica dalla Commissione Gui in avanti è stato caratterizzato da una sostan- ziale mancanza di visione e di linea politica ampiamente condivisa sull’e- ducazione. Superare le contrapposizioni ideologiche per ottenere, in nome dell’educazione, quella tensione verso la meta comune della qualità della formazione alla cittadinanza e alle professioni, dovrebbe ispirare i politici e la politica.
Ci vollero quasi trent’anni per fare diventare legge i rilievi della Com- missione Gui sull’esigenza di specializzare i docenti a livello universitario (L. 341/1990), e quasi altri 10 per vedere le norme diventare atti concreti. Una maggiore attenzione e una cura del problema più consapevole avrebbe evitato l’alternarsi di costruzioni e demolizioni di interi impianti normativi, com’è accaduto, a partire dal 2008, con la chiusura delle Scuole di Specia- lizzazione per l’Insegnamento Secondario (SSIS), alla quale è seguita la tardiva e incompiuta attuazione del TFA2, e, infine, con la lunga gestazione
1. Si fa qui riferimento al ruolo delle associazioni professionali e degli ordini profes- sionali per diverse professioni, chiamati a collaborare, quando non a gestire direttamente, la definizione e l’accertamento del possesso dei requisiti minimi (standard) professionali prima di accedere alla professione (spesso con apposito Esame di Stato).
2. Realizzato in modo completo solo dalle istituzioni AFAM, mentre nelle università fu attuato con gravi ritardi (avvii effettivi dei tirocini nel secondo quadrimestre scolastico) solo nella sua versione transitoria (art. 15 del DM 10 settembre 2010, n. 249).
di quanto previsto dall’art. 181/b della L. 107/2015, e dal successivo d.lgs. 59/2017 che istituì il FIT, cancellato, prima di essere attuato, dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145.
Il confronto su cosa debba saper fare oggi un insegnante in una clas- se della scuola primaria o di quella dell’infanzia sembra aver raggiunto un’ampia condivisione. Non così per la scuola secondaria, dove la questio- ne è tutt’altro che risolta. Sembra che molti insegnanti siano ancora convin- ti che in classe ci si debba far ascoltare con la necessaria attenzione. L’e- loquio e la sensibilità socratica sono certo d’aiuto, tuttavia, oggi i ragazzi arrivano in classe con delle esperienze di vita sulla comunicazione, sull’ap- prendimento non formale e informale, sui loro mondi, che gli insegnanti rischiano di non saper cogliere e intercettare, lasciando, di conseguenza, fuori dalle aule le motivazioni profonde ad apprendere.
Quanto oggi si conosce sui processi di apprendimento in contesti socia- li, sulle dinamiche dell’età evolutiva, sulle dinamiche relazionali, impone di andare ben oltre una formazione iniziale dell’insegnante centrata su un pro- filo professionale tradizionale, quello che caratterizza la “lezione liceale”. Non è più sostenibile culturalmente, né può essere auspicabile, che chi si occupa di insegnamento/apprendimento possa non essere anche un profon- do conoscitore di linguaggi usati nei diversi contesti dai discenti, delle loro caratteristiche cognitive ed emotive, degli strumenti che la tecnologia mette a disposizione dell’educazione. E questo in modo decisamente significativo per tutti i discenti in età scolare, per i quali il livello di elaborazione di stimoli ed esperienze di questo tipo assume un ruolo critico per l’apprendi- mento e per la motivazione ad apprendere. Un’esigenza che si confermerà decisiva visto che contesti e strumenti sono cambiati molto negli ultimi anni e continueranno a mutare con accelerazione crescente.
L’università indaga e approfondisce il sapere scientifico e lo traduce in apprendimento nella cosiddetta istruzione superiore3. A questo livello di
istruzione spetta non solo il ruolo di conoscere a fondo passato e presente e quello di anticipare il futuro, ma anche, per le professioni, il difficile com- pito di mediare l’innovazione presso-e-con i contesti professionali.
Per intervenire sulla qualità della formazione dei docenti è decisivo, quindi, rafforzare l’alleanza università-scuola: il sapere scientifico, che ha nell’accademia il suo luogo eletto di elaborazione, deve essere capace di immergersi nella realtà vissuta della scuola, di contaminarsi con il fare per dare solidità all’impianto formativo (Damiano, 2007, p. 14). Il sapere
sapiente scende al livello della pratica praticante per dar vita a un’alleanza
3. Ci si riferisce alla higher education internazionalmente identificata con l’istruzione oltre il livello di istruzione della scuola secondaria (che qualcuno in Italia definisce ancora “scuola superiore”, creando una sovrapposizione linguistica impropria).
pienamente formativa, insostituibile per l’educazione. Un processo avviato nei dieci anni di esperienza SSIS: una profonda, e a tratti anche dolorosa contaminazione reciproca che ha avviato, nel tempo e nei contesti più fa- vorevoli, straordinarie esperienze di collaborazione al servizio della qualità della formazione degli insegnanti (Anceschi, Scaglioni, 2010).
Solo una stretta collaborazione fra scuola e università può rivelare quanta dose di scienza e quanta di competenza metodologica possano com- binarsi nel profilo culturale-professionale di un insegnante efficace e quan- ta e quale formazione iniziale, e continua, debba essere organizzata.