L’importanza della didattica disciplinare, dal punto di vista filosofico
2. Insegnare la filosofia o insegnare a filosofare?
La proposta di stampo teoretico/kantiano pare chiara. Già nella Notizia
dell’indirizzo delle lezioni nel semestre invernale (Kant, 1765-66/1924) il
professor Kant sottolineava come “uno studente non deve imparare pen- sieri (Gedanken), ma deve imparare a pensare (Denken). … Il giovane che ha terminato l’istruzione scolastica … pensa che imparerà la filosofia (Philosophie), ma questo è impossibile, perché ora deve imparare a filo- sofare (Philosophieren)” (p. 297). Potremmo facilmente accostare queste espressioni a quelle di Morin (2000), che chiedono alla scuola di formare innanzitutto “teste ben fatte”; così come potremmo accostarle alla richie- sta di “pensiero critico” che emerge da più parti, in quanto competenza trasversale fondamentale. Ma non sfugga l’obiettivo di Kant, che non è quello di promuovere un generico “pensare” (critico-trasversale), ma di sottolineare la priorità e centralità del “Filosofare” rispetto alla “Filosofia”. La questione – potremmo dire con un linguaggio contemporaneo – è di- dattico-disciplinare, non trasversale. Infatti Kant (1765-66/1924) prosegue ironicamente: “per imparare la filosofia, bisognerebbe, anzitutto, che ce ne fosse realmente una. Bisognerebbe poter mostrare un libro e dire: vedete, qui è la sapienza e la conoscenza sicura; imparate ad intenderlo e a capir- lo, poi costruiteci su e sarete filosofi. Finché non mi si mostrerà un tale libro di filosofia…, mi si permetta di dire che si abusa della capacità delle persone, quando, invece di sviluppare la capacità intellettuale (Verstan-
desfähigkeit) dei giovani che ci sono affidati, e di formarla in vista di una
futura, più matura, personale conoscenza, li si inganna con una filosofia che si pretende già pronta, che sarebbe stata ideata a loro vantaggio da altri e da cui deriva un’illusione di scienza” (pp. 297-98).
La questione è quindi chiara: il problema per Kant (vecchio quanto la stessa filosofia – basti pensare a Socrate e Platone) è che il “pensare” non si può racchiudere in nessun libro; la sua dimensione verbale, la postura interrogativa, l’intelligere, la riflessione personale non è mummificabile in un Manuale, né una Storia della filosofia; e nemmeno nel singolo testo del singolo filosofo. Questo perché, secondo Kant, “il metodo peculiare dell’in- segnamento della filosofia è zetetico, come lo chiamavano alcuni antichi (da zetein), cioè indagativo. … L’autore filosofico che si è preso come base nell’insegnamento, deve essere considerato non come un modello di giudi- zio, ma soltanto come un’occasione per pronunciare da se medesimi giudizi su di lui, e anche contro di lui” (p. 298).
Franco Bianco (1990), in un saggio divenuto famoso nella didattica della filosofia, difendendo proprio questa intuizione kantiana sognava un modello “zetetico” di insegnamento della filosofia nella scuola, che con- trapponeva a quello classico, storico-manualistico.
E, se la posizione di Kant ancora non fosse chiara, si potrebbe richia- mare il suo testo più noto, Critica della ragion pura: “non si può imparare alcuna filosofia; perché dove è essa, chi l’ha in possesso, e dove essa può conoscersi? Si può imparare soltanto a filosofare” (1781/1959, pp. 649-50).
Dall’altro lato, i paladini del metodo storico non a caso si richiamano ad Hegel (1837/1964) che in un passo diventato altrettanto noto delle Le-
zioni sulla storia della filosofia – passo che pare una critica ante litteram
ad una certa retorica “moriniana” – dice: “la smania di pensare con la propria testa sta in ciò, che ognuno metta fuori una sciocchezza più grossa dell’altra. … Per filosofare non c’è speranza, l’onore è perduto; infatti esso presuppone un fondo comune di pensieri e principi, esige che si proceda scientificamente. … Ma ora tutto è riposto nella particolare soggettività; ognuno è diventato altezzoso e sprezzante verso gli altri” (pp. 372-73). E, ancora, nella Fenomenologia dello spirito: “non una filosofia che disde- gna il concetto e…, stimandosi, proprio in grazia dell’assenza di esso, un pensare intuitivo e poetico, getta sul mercato una serie di arbitrarie combi- nazioni nate da una fantasia per la quale il pensiero è solo un elemento di disorganizzazione: immagini che non sono né carne né pesce, né poesia né filosofia” (1960, p. 57).
Come dare tutti i torti ad Hegel, soprattutto se si pensa a certe derive della pratica di consulenza filosofica, in cui l’unica cosa importante diven- ta esprimere il proprio pensiero, la propria intuizione, il proprio sentire? Oppure se si pensa a certe derive della pratica del debate, in cui prevale lo stile del forum televisivo o l’ansia da prestazione, di dover difendere una certa posizione a tutti i costi, a prescindere dalla sua validità?
Anche in questo caso l’ironia hegeliana non è da meno di quella kan- tiana. Possiamo citare a riguardo La scuola e l’educazione. Discorsi e
relazioni: “In generale si distingue il sistema filosofico, con le sue scien-
ze particolari, dal filosofare vero e proprio. Secondo la moda moderna,
specialmente quella della pedagogia, non si deve tanto venire istruiti nel
contenuto della filosofia, quanto imparare a filosofare senza contenuto;
ciò vuol dire, pressappoco: si deve viaggiare, viaggiare sempre, senza co- noscere le città, i fiumi, i paesi, gli uomini, ecc.” (1808-1816/1985, p. 105). La posizione di Hegel non è “astratta” – come vorrebbe far credere una certa lettura dell’idealismo hegeliano; ma molto concreta. E anche molto attuale, diremmo. Oggi la questione si inserirebbe nel quadro più vasto del rapporto tra competenze trasversali e conoscenze/competenze disciplinari. Pretendere di filosofare senza la (storia della) filosofia è come pretendere
di creare competenze trasversali senza passare per le discipline. Per ri- prendere la metafora hegeliana, è come mettere gli studenti su un treno in cui rischiano di vedere tutto e non esperire (apprendere) realmente niente. Senza contenuti, senza conoscenze, nessuna competenza: né disciplinare né tantomeno trasversale. Il contrario, invece, è possibile. Per dirla ancora con Hegel: “invece, nel conoscere una città, nel giungere poi ad un fiume e ad un’altra città, e così via, si impara senz’altro, in tal modo, a viaggiare, e non si impara soltanto ma si viaggia effettivamente. Così quando si viene a conoscenza del contenuto della filosofia, non si impara soltanto il filosofa- re, ma si filosofa anche già effettivamente. … Il procedimento triste, mera- mente formale, il perenne cercare e vagare, senza contenuto, l’asistematico sofisticare e speculare, hanno come conseguenza la vacuità e la mancanza di pensieri in testa, il fatto che non si sappia nulla. … La filosofia deve es- sere insegnata e appresa, al pari di ogni altra scienza. L’infelice prurito di insegnare a pensare da sé (Selbstdenken) e a produrre autonomamente ha messo in ombra questa verità”.
Nel mentre stesso si apprendono conoscenze filosofiche, si apprende anche la competenza disciplinare fondamentale del “filosofare”. E si acqui- sisce gradualmente (mano a mano che si conoscono testi, autori, questioni) un “abito” che diventa competenza (trasversale) del “pensare”. Non pensare da sé e per sé (perché non esiste un pensare da sé o un pensare senza con- tenuto); ma pensare con altri, con altro, a partire da altro.
Attenzione, però, prima di decretare la vittoria di Hegel su Kant (e indirettamente quella del metodo storico sul metodo zetetico-teoretico). Perché, se si leggono i testi nel loro contesto, si capisce molto bene co- me la contrapposizione “didattica” tra i due pensatori sia in realtà una costruzione strumentale a posteriori. Su questo Berti (2007) ha stabilito un punto di non ritorno. Senza dilungarci ulteriormente, possiamo per lo meno ricordare come certamente Kant non sostenesse l’idea di un filoso- fare soggettivistico e personalistico (sarebbe ben contrario al suo impianto sistematico!). Così come va ricordato che nella stessa Critica della ragion
pura (1781/1959, pp. 649-50) Kant non solo distingua il suo metodo critico dallo scetticismo, ma distingua la prassi del filosofare dalla filosofia stu- diata “storicamente”, studio certamente possibile, come si chiarisce nella
Metafisica L2 (citata in Micheli, 2007, p. 155): “come si può imparare la
filosofia? O si derivano le conoscenze filosofiche dalle prime fonti della sua produzione, cioè dai principi della ragione, oppure la si impara da coloro che hanno filosofato”.
D’altro canto, Hegel sicuramente non ce l’aveva con Kant quando criti- cava il pensare soggettivistico senza contenuti. Ma stava prendendo posizio- ne contro la pedagogia bavarese (di stampo kantiano), nonché contro alcune derive romantiche del kantismo (in particolare Eschenmayer e Jacobi).
Ma, posta questa doverosa (sia pur sintetica) ricostruzione, torniamo alla questione teoretica fondamentale. Oggi è proprio necessario contrap- porre Kant ed Hegel, metodo zetetico e metodo storico? In realtà, no. Anzi: sia la prassi scolastica, sia la teoria didattica (sia anche le Indicazioni na-
zionali 2010) ci spingono ormai verso una imprescindibile sintesi.