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Così è stato per millenni: le narrazioni, con le loro strutture e contenuti archetipici – memi dalla lunga sopravvivenza che probabilmente hanno radici biologiche individuabili dalla psicologia evoluzionistica – hanno assunto in ciascun ambiente naturale e culturale una forma diversa, dando luogo a un’infinità di varianti.

Ma nell’ultimo mezzo secolo la specie umana è andata incontro a mutamenti estremamente rilevanti. Innanzitutto, fatto inedito nella storia dell’uomo, l’evoluzione scientifica e tecnologica, associata all’aumento

68 C. Benussi, Prefazione, in C. Benussi e J. Berti (a cura di), «Non date retta a me». Etiche

letterarie tra paradigma e paradosso, Mimesis, Milano-Udine 2016, p. 7. Cfr. anche A.

Scurati, Letteratura e sopravvivenza. La retorica letteraria di fronte alla violenza, Bompiani, Milano 2012, p. 32: “In un frangente in cui ‘persuasione’ e ‘violenza’ stanno in rapporto di reciproca elisione, la forza coesiva della retorica consiste proprio nella produzione di topoi, luoghi comuni discorsivi la cui fondamentale efficacia comunicativa, al di là del loro particolare contenuto topico, sta nel rendere possibile una comunità ponendo il discorso in luogo della violenza”.

esponenziale della popolazione umana, ha consentito agli esseri umani di influenzare su scala globale l’ambiente naturale, tanto che parlare di Antropocene non è più una metafora volta a sottolineare l’impatto visivo dell’elemento antropico sulla superficie terrestre, ma dà conto di una precisa realtà stratigrafica70.

D’altra parte, il concetto stesso di ambiente, nella sua accezione banale di luogo in cui si vive, è stato messo in discussione dall’affermarsi di nuovi “ambienti” che con i contesti sociali e naturali comunemente intesi sembrano aver poco a che fare. La Rete e la realtà virtuale, per molti individui – anche senza considerare coloro per cui il fenomeno ha assunto tratti patologici – sono divenuti più significativi del loro ambiente empirico concreto, assorbendo gran parte della loro attenzione, investimento intellettivo ed emotivo, capacità lavorativa; tanto che alcuni si spingono a considerare quella dal “reale” al virtuale una vera e propria migrazione, cominciata all’inizio di questo secolo e destinata ad avere proporzioni sempre più rilevanti71.

70 Si veda a tal proposito E. O. Wilson, Half-Earth. Our Planet’s Fight for Life, WW Norton & Company, New York-London 2016, tr. it. di S. Frediani, Metà della Terra. Salvare il futuro

della vita, Codice edizioni, Torino 2016, pp. 10-11. Cfr. anche T. Pievani, L’antropocen e della discordia. Pro e contro della proposta di un’epoca geologica caratterizzata dalla nostra specie, in “Le Scienze”, giugno 2015, n. 562, p. 18; si veda infine J. Zalasiewicz, Quale segno lasceremo sul pianeta? Una storia a strati, in “Le Scienze”, novembre 2016, n 579,

pp. 33-39.

71 Si veda a tal proposito E. Castronova, Exodus to the Virtual World: How Online Fun Is

Changing Reality, St. Martin’s Griffin, New York 2007. Si veda anche G. O. Longo, Op. cit.,

p. 26: “le macchine, come tutti gli strumenti costruiti dalla tecnologia e che ci servono per interagire con il mondo, hanno sulle pratiche sociali e sugli individui che se ne servono effetti molto profondi e tanto più importanti quanto più le tecnologie sono silenziose e trasparenti. Come l’uomo costruisce gli strumenti, così gli strumenti, retroagendo sull’uomo, contribuiscono alla sua evoluzione e alla comparsa di caratteristiche e capacità

La globalizzazione, infine, accelera la diffusione e aumenta la pervasività di tali mutazioni, favorendo l’assimilazione culturale. Se anche nei memi, come nei geni, la chiave della sopravvivenza sta nella diversità, l’omologazione a una cultura esterna – non meno che l’atteggiamento opposto di chiusura, una sorta di “endomemia” – può condurre a una strada evolutiva senza uscita72.

Alla mutazione apportata da questi cambiamenti nelle forme e nei temi letterari nonché nel modo di fare letteratura73, è necessario che corrispondano nuovi modi di considerare il fenomeno letterario. Se, come si è visto, l’accento viene posto sempre più spesso sull’origine della narrazione come adattamento della specie è anche perché a tale prospettiva è utile tornare in un momento storico in cui sono in gioco non soltanto i modi di convivenza delle diverse comunità umane, ma la specie umana nel suo insieme. Ciò ha a che fare sia col rischio correlato alle problematiche ambientali che si avviano a un punto di non ritorno (se già non l’hanno oltrepassato), sia col timore di perdere, con l’evoluzione tecnologica, caratteristiche e facoltà solitamente ascritte allo specifico umano.

Nella direzione di un interesse per la letteratura come attuale strumento di sopravvivenza della specie umana nel suo ambiente vanno gli studi ecocritici, sorti negli Stati Uniti nell’ambito dei cultural studies alla fine del secolo scorso e diffusisi in Italia negli ultimi dieci-quindici anni74.

latenti, a volte addirittura insospettabili. Insomma, si può affermare che l’evoluzione della tecnologia contribuisce potentemente all’evoluzione dell’uomo”.

72 Cfr. G. O. Longo, Op. cit., p. 16.

73 Cfr. C. Benussi, Il romanzo italiano otto/novecentesco, in C. Benussi e J. Berti (a cura di),

Op. cit., pp. 30-31.

74 Si vedano a tal proposito almeno S. Iovino, Ecologia letteraria. Una strategia di

sopravvivenza, Edizioni Ambiente, Milano 2006 e Id., Filosofie dell’ambiente. Natura, etica, società, Carocci, Roma 2008 (I. ed. 2004). Per gli studi di ambito inglese e americano

L’ecocritica parte dall’assunto che la crisi ecologica sia in primo luogo una crisi culturale dovuta non solo a un recente mutamento della cultura umana nel segno di un minore rispetto per l’ambiente e per le altre forme di vita, ma anche e forse soprattutto al perdurare di una solida visione antropocentrica, che si rivela obsoleta nell’attuale contesto in cui, a differenza dei periodi storici antecedenti alle rivoluzioni industriali, l’impatto dell’uomo sull’ambiente è tutt’altro che modesto. L’ecologia letteraria ambisce quindi a una forma di cultura che capisca l’attuale, drammatico aut aut:

o una sopravvivenza congiunta di umanità e natura o nessuna sopravvivenza: umanità e natura vanno considerate in un’ottica ecologica, che è quella della compresenza, e non quella della distruzione reciproca75.

In una prospettiva interdisciplinare, l’ecologia si associa, con beneficio reciproco, a numerose arti e scienze e la letteratura non fa eccezione, nella convenzione che

sia possibile un uso etico-ambientale dei testi letterari (classici vecchi e nuovi), che essi possano cioè contribuire a un’evoluzione del modo in cui ci orientiamo eticamente nel nostro rapporto con il mondo non umano76.

si vedano almeno L. Buell, The Future of Environmental Criticism. Environmental Crisis and

Literary Imagination, Blackwell, Malden 2005 e la raccolta di saggi a cura di C. Glotfelty e

H. Fromm, The Ecocriticism Reader. Landmarks in Literary Ecology, University of Georgia Press, Athens 1996. Cfr. in particolare L. Buell, Op. cit., pp. 1-28 per un excursus e una definizione dell’ecocritica nel più ampio ambito degli studi culturali.

75 S. Iovino, Ecologia letteraria, cit., p. 12.

Nella sua progettualità, l’impostazione ecocritica ben rappresenta la lamarckiana volontà di evolvere, nodo centrale di una memetica capace di conciliare gli automatismi della viralità del meme con la sua dipendenza dall’agentività umana.

Se con le sue attività, l‘essere umano può operare sull’ambiente naturale, e manipolarne non sempre senza rischio gli equilibri, una nuova cultura che si confronti con le sfide del presente è necessaria, affinché quell’intervento possa essere consapevole e regolato, e affinché gli attuali meccanismi dualistici di sfruttamento possano essere rimpiazzati da un’interazione etica “evoluta”. È questa l‘“evoluzione consapevole” a cui mirano la cultura ambientale e l‘ecologia letteraria77.

La letteratura è lo strumento attraverso il quale una società può rimodellare i propri miti e i propri sistemi simbolici e normativi, contribuendo a definire cosa abbia valore e a trovare modi di preservarlo, infatti

nell’età della crisi (e della cultura) ecologica, la letteratura ri-diviene una forma di discorso filosofico: una forma educativa e riflessiva, etica nel senso che dà rappresentazioni, crea una consapevolezza intorno al valore. Definirla provocatoriamente un’etica applicata significa che essa, come le altre forme applicate di etica (etica degli affari, dell’informazione, dell’ambiente, bioetica ecc.) non si ferma alla sfera del metalinguaggio, ma parla

77 Ivi, p. 63.

direttamente il linguaggio delle cose che rappresenta, e ne rivela l‘aspetto normativo78.

Se lo strumento principe della letteratura è quello della persuasione, vicino a questa prospettiva è anche il pensiero di Antonio Scurati, che parte da considerazioni sulla “parola finta” barthesiana per impostare un discorso su retorica e sopravvivenza:

Attraverso un serrato confronto con la filosofia, la teoria letteraria e le scienze sociali, la mia ricerca mi ha portato a individuare l‘essenziale della parola letteraria nel contributo che la sua componente retorica e comunicativa fornisce alla lotta interminabile con cui la specie umana – costantemente sottoposta alla minaccia di estinzione e ora a quella di autoestinzione – ha tentato e tenta faticosamente di mantenersi in vita. […] La letteratura – apparentemente minacciata dall’egemonia dei media elettronici – non si troverebbe affatto “in pericolo”, secondo quanto sostenuto da posizioni passatiste, a vario titolo reazionarie o anche

sinceramente progressiste ma immalinconite

dall’elaborazione del lutto. La letteratura sarebbe, anzi, quanto mai attuale poiché a essere in pericolo, come sempre e più che mai, sarebbe la specie umana79.

Soffermarsi, con Scurati, sulla dimensione retorica della letteratura significa sottolinearne la natura di téchne, anzi, nello specifico di omotecnica volta all’auto-addomesticamento dell’uomo sia in senso biologico ed etologico – gli esseri umani presentano infatti mutazioni

78 Ivi, p. 65.

fisiche che li accomunano agli altri animali da essi addomesticati80 – sia in quanto impresa culturale antropopoietica81. Se è da poco tempo che con l’ingegneria genetica l’uomo può operare direttamente sui replicatori biologici mutando il DNA delle altre specie e potenzialmente della propria (dando peraltro all’evoluzione un indirizzo lamarckiano ed esogenetico che non possedeva), l’ingegneria memetica attraverso la parola scritta ha una storia millenaria: nasce con i primi codici di leggi, da forza alle lingue col vincolo, anche retorico, dei contratti economici (“sao ko kelle terre…”), e opera attraverso la letteratura di ogni epoca, giungendo ai nostri giorni anche con le sue manifestazioni deteriori della propaganda e della retorica pubblicitaria, connubio perfetto tra due naturali egoismi: quello del meme e quello del mercato.

A determinare il cieco egoismo del gene concorre anche la sua tendenza a volere tutto e subito. Non sono ammissibili – si diceva – mutamenti svantaggiosi nel breve periodo in vista di un maggiore beneficio futuro. Col meme invece, progettabile e sottoposto al vaglio della finalità cosciente dell’uomo, la ricerca di un vantaggio nei tempi lunghi, tanto più in termini di sopravvivenza della specie, è possibile e doverosa, in particolare quando si parla di problematiche ambientali, per affrontare le quali bisogna estendere il proprio orizzonte temporale e basarsi su un’etica

80 Si veda T. Pievani, Domatori di noi stessi. Nel corso dell’evoluzione la nostra specie si

sarebbe auto-addomesticata, in “Le Scienze”, dicembre 2014, n. 556, p. 20.

L’addomesticamento – illustra Pievani – porta al prolungamento dell’età infantile e al mantenimento di tratti tipici di quel periodo in età adulta e riproduttiva. Questo fenomeno, chiamato neotenia, è curiosamente al centro di uno dei racconti fantascientifici di Primo Levi, Angelica farfalla, in si indaga su medico nazista che cercava di portare gli esseri umani oggetto dei suoi esperimenti al di là della fase neotenica, rivelandone la terribile condizione dell’età adulta (SN, pp. 434-441).

del futuro82. Ciò non significa che il gene sia “egoista” e il meme no, ma che l’egoismo del meme può essere sfruttato per finalità che vanno oltre la replicazione dello stesso. Parlando dei memi che stanno alla base della letteratura – si cercherà a breve di definirli –, essi sono egoisti in quanto replicatori, ma possono essere indirizzati alla funzione etica cui si è appena accennato. Il memeplesso letterario “vuole” sopravvivere e replicarsi: per questo motivo, deve rimanere se stesso ma anche mutare per adattarsi all’ambiente e ai cambiamenti della specie che lo veicola e che, fino all’emergere di alternative soddisfacenti, rimane l’Homo sapiens. Per non estinguersi, la letteratura deve farsi apprezzare dall’uomo soddisfacendo esigenze estetiche e psicologiche e al contempo contribuire alla sua sopravvivenza, diffondendo una visione del mondo compatibile con essa anche a lungo termine.

Se, senza trascurare l’originario binomio uomo-natura, si utilizza un’accezione estesa di ambiente che comprenda anche il rapporto dell’uomo con i suoi artefatti tecnologici, culturali e sociali, si può individuare nella fantascienza uno dei generi che meglio esprime l’attenzione da parte della letteratura per le problematiche della contemporaneità. Essa le analizza con gli strumenti dell’estrapolazione, estendendo l’orizzonte temporale assieme a quello spaziale e ampliando i confini del possibile. La fantascienza che guarda esplicitamente al futuro dell’umanità elabora scenari complessi e li rende credibili anche grazie all’autorevolezza delle scienze (dure o sociali) che programmaticamente accoglie nella sua poetica. Tali scenari presenta come compatibili o incompatibili con la sopravvivenza della specie o con la sua felicità, strutturandosi al contempo come monito volto a evitarli e come preadattamento cognitivo necessario a riconoscerne i prodromi nella realtà empirica attuale.

È vero: non tutta la fantascienza è futurologia, né la previsione avveniristica pertiene per definizione al genere, che possiede anche altri strumenti per esplorare l’alterità. Vi sono ucronie, utopie e distopie senza tempo, narrazioni fantascientifiche ambientate nel passato (vi si annovera persino la prehistoric fiction) o in mondi che col pianeta Terra non hanno apparentemente nulla a che fare. Tuttavia uno dei minimi comuni denominatori della science fiction resta la focalizzazione sulla specie piuttosto che sull’individuo. Se la letteratura cosiddetta mainstream, quando si apre a prospettive sovraindividuali, giunge a un universale storico-ideologico, l’approccio fantascientifico predilige una storia naturale, prospettiva in cui l’Homo sapiens abbia un inizio, un’evoluzione, una serie di mutamenti, una fine.