A conclusione del Pianeta irritabile, i tre “esseri viventi” sopravvissuti, in un rituale simile all’assunzione di un’ostia consacrata, si spartiscono e ingeriscono un foglio di riso con su scritti dei versi, che il nano Mamerte conservava quale ricordo della donna amata, la suora di Kanton145. In questo nuovo consorzio sociale, giunto allo stadio di “immortalità selvaggia” annunciato dall’epigrafe leopardiana, non c‘è più posto per la poesia. La definitiva scomparsa delle dinamiche di potere giunte al culmine e all’autodistruzione a causa del paradigma tecnocratico non può fare eccezioni e la letteratura, essa stessa tecnica, identificata nel suo ultimo supporto materiale, viene mangiata, assimilata, in un ritorno al fondo animale, all’organico da cui era sorta.
143 RP, II, p. 66.
144 RP, II, p. 386.
Al processo inverso, cioè alla nascita di un testo scritto attraverso l‘organicazione di un elemento che passa dal non vivente all’organico e infine, per via memetica, al letterario, si assiste in uno dei racconti più singolari del Sistema periodico leviano: Carbonio, posto a chiusura della raccolta. Levi compie una straordinaria opera di divulgazione scientifica, raccontando con leggerezza la storia naturale di un atomo di carbonio che diventa legno di cedro, chitina dell’occhio di una farfalla, latte in un bicchiere146, per giungere infine nel corpo dello scrittore:
Questa cellula appartiene ad un cervello, e questo è il mio cervello, di me che scrivo, e la cellula in questione, ed in essa l‘atomo in questione, è addetta al mio scrivere, in un gigantesco minuscolo gioco che nessuno ha ancora descritto. È quella che in questo istante, fuori da un labirintico intreccio di sì e di no, fa sì che la mia mano corra in un certo cammino sulla carta, la segni di queste volute che sono segni; un doppio scatto, in su e in giù, fra due livelli d‘energia guida questa mia mano ad imprimere sulla carta questo punto: questo147.
In un altro divertissement leviano, raccolto in Lilít e altri racconti, il protagonista è colto da una folgorazione poetica. Le muse, non invocate, giungono in forma memetica, come un’idea che improvvisamente si auto-organizza nella mente del protagonista e di conseguenza sulla pagina, a partire da quella che Levi avrebbe chiamato ‘intuizione puntiforme’:
146 “Potrei raccontare innumerevoli storie diverse, e sarebbero tutte vere: tutte letteralmente vere, nella natura dei trapassi, nel loro ordine e nella loro data. Il numero degli atomi è tanto grande che se ne troverebbe sempre uno la cui storia coincida con una qualsiasi storia inventata a capriccio” (SP, p. 941).
Pasquale si concentrò selvaggiamente sul foglio che aveva davanti, dal nocciolo la poesia si irradiò in tutti i sensi come un organismo che cresca, ed in breve gli stette davanti e sembrava che fremesse, appunto come una cosa viva148.
E veramente la poesia e il suo supporto materiale sono “una cosa viva”: abbandonato in ufficio, il foglio si sposta inspiegabilmente; portato a casa e incollato da Pasquale a un’asse di legno, l’esserino dal corpo di carta e dalle zampe d‘inchiostro, si riduce a brandelli illeggibili, nel vano tentativo di conquistare la sua libertà149.
Veri e propri memi letterari sono gli individui che abitano Nel parco descritto da Levi in uno dei racconti di Vizio di forma. Provenienti da opere di ogni luogo e tempo, la loro esistenza materiale è legata al ricordo che ne serbano i lettori. Accanto ai personaggi storici di cui esistono più versioni – “ne abbiamo cinque o sei altre, di Cleopatre”150 – vi sono caratteri memorabili destinati a rimanere per sempre nel parco – Beatrice “è insopportabile, insomma: ma quando uno è un personaggio di Dante, qui è tabù”151 – ma anche personaggi senza volto: “mal riusciti: a volte tirano avanti una stagione, o anche meno. Non parlano, non vedono e non
148 La fuggitiva, L, pp. 121-122. Il titolo del componimento, «Annunciazione», corrisponde a quello di una poesia dello stesso Levi, compreso nella silloge Ad ora incerta (AOI, p. 552).
149 Interrogato a proposito dell'interpretazione dei suoi racconti fantastici e fantascientifici compresi nella sezione "Futuro anteriore" di Lilít, Levi precisa che la chiave di lettura è necessariamente plurima, quantomeno ambigua (cfr. le Note ai testi, in Opere, II, pp. 1534-1535). Nel caso della Fuggitiva, quindi, vanno considerati al contempo il significato letterale – il fantastico perturbante di un foglio di carta che s'incammina su una miriade di zampe nere – e quello simbolico: la frustrazione di un autore che, incapace di concedere vita propria alla sua opera, finisce per perderla.
150 Nel parco, VF, p. 672.
sentono, e spariscono nel giro di pochi mesi”152. Anche l‘ambiente è tratto dai topoi letterari più praticati e i tramonti “spesso durano dal primo pomeriggio fino a notte, e qualche volta annotta e poi torna la luce e il sole tramonta di nuovo, come volesse concedere un bis”153.
Passando dalla produzione finzionale alla saggistica, l’idea della letteratura e dei suoi generi come organismi viventi appartenenti al regno culturale (e simili, nei processi, a quelli del regno animale, vegetale o minerale) è comune negli scritti di Italo Calvino. Tra i tanti esempi che si potrebbero fare, il più significativo sono forse le pagine su Giorgio Manganelli, pubblicate sul «Menabò» nel 1965. Nel definire gli eterogenei contenuti dell’opera manganelliana e nell’inquadrarla in un filone, Calvino si cimenta in un paragone puntuale tra evoluzione culturale e biologica che vale la pena riportare per intero:
Forse è giunto il momento per trasformare il nostro irrecuperabile ritardo in un vantaggio, nel senso che la nostra è una letteratura meno «specializzata». Uso il termine «specializzazione» come lo si usa in biologia, nella teoria dell’evoluzione: una specie animale più «specializzata» è quella che ha sviluppato di più le sue caratteristiche in relazioni a particolari circostanze e come tale le è più difficile adattarsi a nuove situazioni. Per esempio i dinosauri pare fossero animali tanto «specializzati» che posti di fronte a un rapido cambiamento di vegetazione morirono tutti; l‘uomo, invece, deve le sue varie fortune al fatto di essere un animale il cui processo di «specializzazione» si è fermato a una fase più arretrata e
152 VF, p. 673.
quindi non c‘è cambiamento di nutrizione o di clima che gli faccia impressione. La «specializzazione» nel senso del romanzo sette-ottocentesco ha appena scalfito la nostra letteratura, in cui la nozione di prosa è rimasta dominante su ogni distinzione di generi, e comprensiva d‘una continuità dal Trecento a oggi. Non è stato tante volte detto che la storia della nostra narrativa passa anche attraverso le carte dei cronisti e dei viaggiatori, le epistole, le ambascerie, gli exempla dei predicatori e ogni altro genere di scrittura pratica? Questa nozione di prosa dovrebbe ormai essersi riscattata dalla accezione lirica, evocativa, puristica che fu propria della «prosa d‘arte» (un episodio di «specializzazione» estinto e già lontano); da tempo sappiamo che la vera prosa italiana del nostro secolo è quella di quando Gadda spiega il risotto o la chirurgia o il cemento armato. Se approfondiamo questa idea di prosa come scrittura che si impasta per fornirci una spiegazione delle cose, sarà di lì che potremo inserirci nella problematica attuale dell’écriture con qualcosa da dire […]154.
Alcuni anni dopo, il Calvino del Castello dei destini incrociati e delle Città invisibili, nel descrivere La tradizione popolare nelle fiabe, porrà nuovamente l‘accento sul genere letterario come un organismo che deve riprodursi per sopravvivere, declinando il concetto di specializzazione in una prospettiva di letteratura combinatoria:
154 SS, I, pp. 1155-1156. L’anno di questa Notizia su Giorgio Manganelli è lo stesso delle
Cosmicomiche: come si vedrà nel capitolo successivo, questa accezione di specializzazione
Possiamo definire questo come un ultimo tentativo della fiaba di ricostruire un universo totale. Con la scomparsa d’una totalità naturale-culturale arcaica la fiaba muore, cioè perde la facoltà di moltiplicare le sue varianti. Altre rappresentazioni d’una totalità del mondo in una sequenza di eventi prendono forma, moltiplicano le loro varianti, muoiono, parzialmente risuscitano e parzialmente rimuoiono155.
La fiaba popolare, quindi, muore assieme all’ambiente antropico e culturale che l‘aveva generata e che essa stessa, arcaica, conservatrice, contribuiva a far durare.
Quale letteratura è emersa dal contesto contemporaneo e dall’attuale crisi ambientale? I suoi contenuti e le sue forme sono volte a contrastare tale contesto o a perpetuarlo?
Nel prossimo capitolo, senza abbandonare la prospettiva memetica, si parlerà di ecologia e letteratura, a partire proprio da Italo Calvino.
155 SS, II, p. 1628.
C
APITOLOII.
Il mondo guarda il mondo
Four Trees – upon a solitary Acre – Without Design Or Order, or Apparent Action – Maintain – What Deed is Theirs unto the General Nature – What Plan They severally – retard – or further – Unknown – Emily Dickinson
2.1. Palomar, Mohole e gli uccelli
Di fronte all’imponente ed eterogenea produzione narrativa e saggistica di Italo Calvino non è raro incorrere in quell’impasse che lo stesso signor Palomar sperimenta quando presta gli occhiali agli uccelli in volo sopra il suo terrazzo tra i tetti di Roma. Di lassù, la “progenie degenerata e sozza e infetta”1 dei piccioni, ma anche le squadriglie di migratori e i rumorosi gabbiani, vedono un suolo fatto di tetti, solcato da fratture, crepacci, pozzi e crateri che i volatili raramente scendono a esplorare, bastando quella prospettiva aerea ad appagare la loro curiosità:
Così ragionano gli uccelli, o almeno così ragiona, immaginandosi uccello, il signor Palomar. «Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose, – conclude –, ci si può
1 RR, II, p. 917.
spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile».2
Così anche nell’opera di Calvino: i temi, le immagini, le forme sono molteplici e hanno piena visibilità. Una volta definiti con esattezza, possono venir rapidamente accantonati, per ricomparire con leggerezza, come nuovi, nell’opera successiva. Vale certo la pena di affrontare lo studio dell’eclettico autore tenendo presenti le parole chiave delle Lezioni americane, che sono poi le qualità dello sguardo di Palomar, osservatore e osservatorio: è così possibile restituire un mondo letterario che, quasi passasse solo per un paio d’occhiali, sia il più possibile coincidente con se stesso. D’altra parte, è noto che, come le parole chiave delle Lezioni, molte prese di posizione di Calvino contengono in nuce le loro antitesi, non già risolte in altrettante sintesi, anzi, ostinatamente presenti in forma di possibili che si contendono l’attualità con la loro controparte e, memeticamente, lo spazio sulla pagina, l’attenzione dell’autore e del lettore. Per questo motivo, accanto al consueto alter ego di Calvino che si libra in volo con gli uccelli, non pare fuori luogo intravedere un signor Mohole – progettato come interlocutore di Palomar e poi in esso conglobato3 – mentre si addentra nelle profondità geologiche di quella sorta di mondo infero cittadino.
2 RR, II. p. 920.
3 “La prima idea era stata di fare due personaggi: il signor Palomar e il signor Mohole. Il nome del primo viene da Mount Palomar, il famoso osservatorio astronomico californiano. Il nome del secondo è quello d'un progetto di trivellazione della crosta terrestre che se venisse realizzato porterebbe a profondità mai raggiunte nel le viscere della terra. I due personaggi avrebbero dovuto tendere, Palomar verso l'alto, il fuori, i multiformi aspetti dell'universo, Mohole verso il basso, l'oscuro, gli abissi interiori. [...] Nei vari progetti di libro che ogni tanto abbozzavo per dare un seguito alla serie Palomar, prevedevo sempre una sezione “Dialoghi col signor Mohole”, di cui non avevo che il titolo. Mi sono portato dietro questi progetti per anni, seguitando a credere che il culmine del
Adoperare sia gli occhiali di Palomar sia il mai esplicitato correlativo oggettivo di Mohole per esaminare il pensiero ecologico di Calvino significa darne conto tanto nel ricorrere di immagini e istanze nelle diverse opere quanto nel suo sviluppo diacronico, filogenetico.