Uno dei personaggi più notevoli del Calvino fantascientifico, il capo del signor Müller nel racconto La memoria del mondo, manifesta una nevrosi e una monomania per la conservazione della memoria di grado enormemente superiore a quelle del Montesanto leviano.
Il titolo scelto per questa cosmicomica deve essere stato particolarmente caro a Calvino se l’ha impiegato sia per la sua pubblicazione del ’68, La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche, sia nella raccolta successiva, Cosmicomiche vecchie e nuove (1984), utilizzandolo come sottotitolo della prima sezione, “La memoria dei mondi”. In effetti l’espressione va analizzata con attenzione: essa può essere interpretata sia in senso soggettivo (il mondo ricorda) sia in senso oggettivo (qualcuno ricorda il mondo). Ma quasi sempre, in Calvino, le dicotomie giungono ad una sintesi passando per la semplice giustapposizione e dunque si può dire che il mondo ricorda se stesso attraverso l’uomo, così come guarda se stesso attraverso il signor Palomar118.
117 SN, p. 408.
118 Il mondo guarda il mondo, RR, II, p. 969. La visione dell’uomo come strumento attraverso il quale il reale acquisisce coscienza di se stesso prende corpo anche e soprattutto in seguito alla nascita e allo sviluppo delle tecnologie informazionali, grazie alle quali – come sottolinea Giuseppe O. Longo – “si comincia a capire che la metafora (inadeguata) del cervello come elaboratore d’informazione dev’essere allargata a dismisura: è il corpo (anzi il corpo immerso nel suo più ampio contesto, anzi è l’universo
Come si vedrà nel capitolo terzo, questo racconto è uno di quelli che presenta più tratti fantascientifici: il signor Müller ha ottenuto il suo posto di lavoro “vincendo il concorso d’ammissione col progetto «Tutto il British Museum in una castagna»”119 e la fondazione per cui egli opera, e di cui il personaggio monologante è uno dei dirigenti, si occupa di raccogliere
una storia generale di tutto contemporaneamente, o meglio un catalogo di tutto momento per momento […] Tutte le immagini esistenti e possibili vengono archiviate in minuscole bobine di microfilm, e microscopici rocchetti di filo magnetico racchiudono tutti i suoni registrati e registrabili120.
Il lavoro è compiuto “in vista d’una prossima fine della vita sulla Terra [...], per trasmettere tutto quello che sappiamo ad altri che non sappiamo chi sono né cosa sanno”121. La catastrofe non sarà tra quattro o cinque miliardi di anni, ma avverrà in tempi ravvicinati, e prima che questo accada la fondazione vuole tramandare attraverso mezzi ottici o acustici le memorie dell’umanità, oppure conservarle sotto la crosta terrestre perché
stesso) ad essere un elaboratore d’informazione. Non solo, ma è anche produttore di
senso, un senso primordiale, radicato nelle particelle e negli atomi della fisica, nelle pietre,
nei pianeti, nelle molecole e negli organi della biologia; un senso che precedette di molto la coscienza, un senso che attendeva fin dall’inizio dei tempi di essere riconosciuto e salutato dall’intelligenza del mondo quando fosse diventata consapevole, attraverso l’evoluzione, nell’uomo”. Giuseppe O. Longo, Il nuovo Golem, Laterza, Roma-Bari 1998, p. 98.
119 La memoria del mondo, RR, II, p. 1249.
120 RR, II, pp. 1248- 1249.
“il relitto del nostro pianeta vagante per lo spazio potrebbe un giorno essere raggiunto ed esplorato da archeologi extragalattici”122.
Ne La memoria del mondo, si parla con distacco della fine dell’umanità biologica ma con gravità della missione di preservarne la conoscenza storica e l’eredità culturale. Questo atteggiamento sancisce la superiorità del meme sul gene nel definire cosa sia l’essere umano e quindi in che cosa consista la sua sopravvivenza123: l’Homo sapiens, la cui evoluzione fisica è giunta a un punto morto, si trasfigura nella sua componente informazionale, che semplicemente cambia il proprio veicolo di sopravvivenza. Si potrebbe dire che la risoluzione conclusiva del capo di Müller – “È per questo che ora estraggo la pistola, la punto contro di lei, Müller, schiaccio il grilletto, l’uccido”124 – sia volta anche a chiudere la parentesi biologica dell’impiegato per poterlo trasformare in ricordo, in informazione conclusa e catalogabile.
Anche in Palomar Calvino parla del ricordo del genere umano e anche in questo caso la morte individuale è vista come realizzazione simbolica della morte della specie:
Palomar pensando alla propria morte pensa già a quella degli ultimi sopravvissuti della specie umana o dei suoi derivati o eredi: sul globo terrestre devastato e deserto sbarcano gli esploratori d’un altro pianeta, decifrano le tracce registrate nei geroglifici delle piramidi e nelle schede perforate dei calcolatori elettronici; la memoria del genere
122 RR, II, p. 1250.
123 Vale la pena di specificare che non si tratta dell’immortalità individuale che già gli antichi miravano a conseguire tramandando le proprie opere e gesta alle generazioni successive. Come si conviene al genere fantascientifico, il ruolo dell’individuo è assunto dalla specie, che è individuo in una prospettiva in cui sia la vita ad essere specie.
umano rinasce dalle sue ceneri e si dissemina per le zone abitate dell’universo”125.
Nel Pianeta irritabile di Volponi, romanzo fantascientifico e picaresco del 1978, è presente un’organizzazione simile a quella per cui lavora il personaggio calviniano e che opera
in un grandioso centro elettronico, chiamato Parnasonic, dove erano conservati in cassette, nastri, microfilms, tutti i reperti storici e culturali del passato: monumenti, città, grandi industrie, biblioteche e gallerie, canti di ogni epoca, proverbi, usanze e dialetti. Era la più vasta raccolta dell’universo e aspirava ancora a essere ben sistemata, anche se aveva dovuto sopportare gli attacchi della grande crisi e perdere via via molti dati e settori126.
Il giovane impiegato protagonista di questi capitoli centrali del Pianeta, sequenze dalla vicenda filologico-redazionale più tarda rispetto al resto del romanzo127, fa parte del personale civile in una struttura ormai in mano ai militari. Dovrebbe limitarsi a custodire le sezioni dedicate alle scienze umane, ma nei suoi giri di ricognizione scopre, riesce ad ascoltare di nascosto e si invaghisce del canto degli uccelli, cercando di conservarne il ricordo, coll’esercizio nella loro imitazione. Le varie specie di volatili e le loro esibizioni canore si contendono la mente del tecnico, costituendo ciascuno un meme che lotta per la propria replicazione e che trova la sua sopravvivenza nell’ibridazione:
125 RR, II, p. 979.
126 RP, II, p. 315.
Per tutta la notte la testa del giovane tecnico fu piena di uccelli. Che i pensieri e gli uccelli fossero simili per varietà, stranezza, impeto era sempre stato riconosciuto sia nelle convulsioni dell’immagine che nella spiegazione dei segni, dalla cultura del passato. / Tutti gli uccelli dei quali sapeva il canto si agitavano dentro la testa del giovane per esporsi, ciascuno in prima riga, sempre all’attenzione, in modo che non andasse perduta e nemmeno tralasciata una sola delle proprie note. / Gli uccelli sfrullavano urtandosi tutti, cantando contemporaneamente e in continuazione con voce sempre più forte, per acquistare spazio sullo stecco di quell’altalena veloce dentro la gabbia che era ormai la mente del giovane128.
Era scrupolosamente fedele, seppure qualche volta azzardasse delle variazioni. Arrivò addirittura a pensare che uno degli uccelli si congiungesse con un altro dando vita a una nuova specie e quindi a un canto nuovo, che lui componeva fondendo tutti i motivi della coppia e ottenendo effetti nuovi e bellissimi129.
Nel contesto di ibridazione genetica e memetica col mondo animale che caratterizza l’opera di Volponi e in particolare questo romanzo130, nei capitoletti dedicati alla storia del tecnico, avviene per gli uccelli ciò che avviene per l’uomo ne La memoria del mondo: già scomparse o destinate all’estinzione, le loro specie non vengono identificate nella sopravvivenza
128 RP, II, p. 329.
129 RP, II, p. 331.
genomica ma coll’unico meme che possiedono, il canto, e di questo si ha una trasmissione interspecifica.
Di una sorta di trasmissione interspecifica di patrimonio memetico si può parlare riguardo alla vicenda principale della Macchina mondiale, romanzo volponiano del 1965 che racconta la vita, il pensiero e la morte di Anteo Crocioni, contadino-filosofo-scienziato dalle idee visionarie, che in una delle prime pagine del romanzo guarda ai suoi piedi e li scopre “fabbricati”, riconoscendoli come opera di
una moltitudine di autori; cioè di una popolazione primaria, assente, che stesse a guardare da lontano tutta con gli occhi celesti, o che non guardasse nemmeno, tenendo appena rivolta verso di noi la più piccola, ed anche la meno sensibile, delle sue antenne e quasi disinnescata, per un controllo appena prudenziale, come capita al contadino che non si preoccupa certo di guardare a febbraio se il grano è già spigato e se è minacciato dalle averle131.
Questi autori-automi, spiega Crocioni, potrebbero essersi estinti, “trasferendo magari qualcosa di loro nelle macchine stesse”132, ovvero nella specie umana, e forse in lui in particolare, tanto che si domanda se sia un “prediletto e segnato”, cioè se la scienza e la verità che è convinto di possedere sia “concessa e rivelata, in qualche momento iniziale della [sua] vita, da un automa-autore che sia intervenuto presso di [lui]”133. Poco dopo approfondisce il discorso sulla possibilità di ricevere messaggi e sull’eventualità di replicarli ad altri, diffondendo ai deboli il meme
131 RP, I, p. 237.
132 RP, I, p. 239.
fondamentale da cui si sente abitato, l’idea che la vita sia una catena ininterrotta di macchine che costruiscono altre macchine:
Pensavo che la mia mente essendo stata fabbricata da questi automi-autori dovesse da loro essere ben conosciuta, almeno in tutte le sue parti se non in tutte le sue possibilità, ma che, comunque, doveva avere di sicuro un punto adatto a ricevere da loro, automi-autori, uno stimolo se non il comando di una operazione perfetta. Mi ponevo allora il problema se oltre a ricevere, la mia mente avrebbe potuto trasmettere e mettersi a contatto con gli automi-autori, ottenendo operazioni che se anche non nuove, almeno come risultato perché non avrebbero fatto altro che stabilire un rapporto condizionati ai limiti delle due entità, avrebbero comunque stabilito una base per le mie verità, riconoscibile anche per tutti i deboli che non potevano capire e poi seguire il senso delle mie invenzioni134.
La viralità di una di trasmissione interspecifica si ritrova in Volponi anche ne Il sipario ducale, romanzo del 1975 dove, a prendere il posto delle
134 RP, I, p. 296. Anche in questo caso vi è una trasposizione dell’evoluzione dal piano genetico e biologico a quello memetico (meme pratico: macchine che costruiscono altre macchine) a conferma della maggiore rilevanza del primo rispetto al secondo. E ancora, scrive Anteo nel suo trattato: “«Se un automa-autore di altri mondi venisse sulla terra e
senza sapere nulla della nostra tecnica cercasse di capire come i vari modelli delle macchine, che si sono susseguiti nelle nostre produzioni meccaniche si sono perfezionati, ed infine attribuisse tutto ciò invece che a problemi e a soluzioni artificiali, a processi naturali, sbaglierebbe di grosso. Così sbagliamo anche noi se crediamo la stessa cosa sulla evoluzione dei corpi organici; inoltre che questi abbiano la stessa composizione della materia inorganica ci dice solo, e per questo chiaramente, che essi, corpi organici, vennero composti con una materia prima inorganica»” (RP, I, p. 262).
ambigue intelligenze degli automi-autori è il più comune ma non meno inquietante apparecchio televisivo, capace di mettere in secondo piano secoli di cultura materiale accumulati nel palazzo dalla nobile dinastia urbinate protagonista della vicenda. Al televisore è dedicato l’incipit del romanzo, solo in apparenza incentrato sull’intellettuale Subissoni. L’apparecchio televisivo definisce gli spazi dove si svolgerà l’azione e i rapporti tra i personaggi principali.
La più grande e la più nuova delle televisioni cittadine troneggiava nella biblioteca degli Oddi-Semproni affermando la propria superiorità sui vecchi tavoli grifati, sulle vetrine a listarelle di piombo, sulle cornici pallide di mecca e anche sui dorsi di cuoio, di pergamena, di tela, di seta, di carta a mano, di paglia, di marocchino degli innumerevoli libri sepolti uno accanto all’altro, abbandonati al margine del buio: mura diroccate, seppure salde, di una costruzione da decenni muta e non frequentata135.
Il televisore grande e nuovo è un efficace replicatore del proprio progetto (ovvero del proprio meme pratico) perché sostituisce al contempo la funzione estetica dell’arredamento e quella informativa della carta stampata. La sommità del “treppiede occhialuto”136, scandisce la vita e le funzioni corporee di Oddino Oddi-Semproni e delle due zie, imponendosi sugli ormai desueti cerimoniali domestici e stabilendo quando mangiare, quando parlare e quando tacere.
Nel Sipario ducale l’apparecchio televisivo è spesso personificato e percepito come un organismo vivente, un occhio in un occhiale che può dilatarsi, uno “schermo vivo” dotato di un “testone” e di altre “membra”;
135 RP, II, p. 8.
un soggetto capace di intenzionalità, in grado di assumersi la responsabilità – esso, e non chi ci lavora e lo gestisce – di ciò che trasmette, esercitando così il suo dominio regale. 137
Di fronte a questo potere oracolare, anche il ruolo dell’intellettuale, precedente veicolo di trasmissione memetica, diventa obsoleto. L’anarchico Subissoni deve riconoscere la sua impotenza: il “brutto latte”138 della televisione, nutrendo il popolo con verità parziali e non sottoposte a critica, ha rotto il rapporto tra l’intellettuale, gli operai e la collettività. Da un lato l’unico, autodiretto, occhio televisivo “fa tutto da solo: inventa e commenta: e spaventa”139; l’unico occhio funzionante di Subissoni, invece, è stimolato dalla neve a parlare140, dai rametti di una pianta a cessare di “spandere” le sue tiritere141; è a sua volta guardato con sospetto da dietro le vetrine dei negozi e finisce per parlare “a tutti e a nessuno”142. Studioso di storia, che si guadagna da vivere scrivendo le tesi al posto degli studenti universitari, Subissoni non può nulla contro il dominio del televisore: i mobili – relegati ai margini, in casa Oddi-Semproni – sono, secondo Subissoni, “ben preparati in storia, e anche in sociologia
137 Cfr. RP, II, pp. 8, 36-37. “Ma Oddino taceva, attento al televisore come se a spettasse che lo schermo vivo potesse variare con altre notizie e visioni di quegli eventi, oppure emettere una conclusione che arrivasse a escludere il risentimento di tutti, anche il suo e quello delle zie. La televisione rimaneva accesa e quindi doveva pur dire qualcos’altro: non era mica finita, esplosa con le bombe e con quella notizia” e ancora “A quel punto guardarono davvero la Tv, tutto l’apparecchio, il lucido testone e le manopole sotto, le membra striate, appoggiate sul tavolo con la prepotenza di un sedere regale sul trono, i fili e i legami misteriosi che alimentavano e stringevano il regno”.
138 RP, II, p. 63.
139 RP, II, p. 28.
140 RP, II, p. 6.
141 RP, II, p. 32.
come adesso si vuole”143, mentre il televisore, di storia, sembra essere povero o privo.
I quattro esseri viventi del Pianeta irritabile lo ritroveranno, senza riconoscerlo, nelle loro peregrinazioni. Vagando per una città desolata, il nano Mamerte: “Ovunque trovava in posizione preminente il grande occhio di vetro in cima a tre o quattro gambe di metallo: anche quando non aveva il treppiede, era comunque sistemato in alto”144. Se Volponi rimarca la sovranità dell’apparecchio televisivo in una città distrutta è anche per suggerire un nesso di causalità: gerarchicamente inferiore solo al denaro – personificato dall’avversario ultimo del romanzo, il governatore Moneta – il televisore è tra i maggiori indiziati per la catastrofe che ha decimato la specie umana e avvelenato il globo terracqueo.