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INTERNAZIONALE ’ REGIONALE

COOPERAZIONE INTERREGIONALE PER LA CREAZIONE DI UN NETWORK REGIONALE

INTERNAZIONALE ’ REGIONALE

Il forte attivismo regionale nella proiezione e progressiva creazione di uno spazio estero ha seguito un percorso dalle dinamiche ‘spontanee’ ovvero al di fuori di un contesto istituzionalizzato e ‘centralizzato’ quale poteva essere quello statale, influenzato dall’intensificarsi tanto del fenomeno globale che di quello integrativo-europeo. Due processi che, come più volte evidenziato nel corso dell’analisi, rappresentano il ‘retroterra’ del dinamismo internazionale delle Regioni sviluppatosi, soprattutto, sul ‘terreno’ d’azione rappresentato dallo ‘spazio giuridico’ europeo. Da ciò deriva la scelta di concentrare la riflessione

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sulla declinazione ‘europea’ del nuovo ‘treaty-making power’ regionale, ovvero la nuova dimensione estera delle Regioni promossa e favorita da azioni comunitarie, di cui si è inteso analizzarne modalità e impatto soprattutto sul piano interno. È innegabile, infatti, il quantum e il quomodo esercitato dai processi di europeizzazione, in termini di condizionamento, sulle modifiche relative alla ridistribuzione interna del potere e, di conseguenza, all’assetto organizzativo dello Stato che rimane pur sempre sovrano ‘in casa propria’. Le recenti riforme costituzionali relative all’organizzazione territoriale e finalizzate al rafforzamento dell’autonomia regionale vanno lette, quindi, nell’ottica di una scelta ‘obbligata’ del legislatore costituzionale che, nella sua opera di costante adeguamento della ‘Costituzione formale’ a quella ‘materiale’ – per usare i termini di Mortati –, si è limitato, per molti aspetti, a registrare una situazione di fatto esistente.

Il prolungamento euro-internazionale dell’azione di governo regionale ha ‘aperto’ il varco e, per molti versi, anticipato e precorso i tempi di un percorso integrativo che, in riferimento alle mere realtà statuali, stenta ancora a decollare. Connettere gli interessi territoriali, per loro natura differenziati e molteplici, ai circuiti internazionali in assenza della ‘certezza del diritto’ interno, ha rappresentato per il regionalismo italiano una delle più grandi ‘scommesse’. All’interno di una mappa internazionale variegata, il gioco tra le pedine si è orientato senza la ‘mano’ statale alla ricerca di relazioni orizzontali in ciò facilitate dalla predisposizione di una ‘scacchiera’ europea fortemente vantaggiosa e incrementativa di un ‘metodo’ concertativo. La peculiare configurazione, composita e plurilivello, del sistema governativo europeo sviluppando un modello di governance multilevel che va sempre più consolidandosi, ha contribuito fortemente alla creazione di sistemi ‘a rete’, caratterizzati dalla mancanza di un unico centro di potere esercitato, piuttosto, da una molteplicità di soggetti secondo moduli d’azione di tipo cooperativo. È questa la logica sottesa al fenomeno della cooperazione orizzontale interregionale sviluppatasi nell’ambito europeo nata al fine di coniugare esigenze tanto comunitarie che regionali. Da un lato la democratizzazione e la legittimazione delle istituzioni europee insieme alla necessità di gestire una realtà fortemente differenziata, quale quella europea, e, dall’altro, apertura di nuovi spazi per il rafforzamento della propria autonomia424. Se pur il quadro normativo, tanto interno che comunitario, risulta frammentato,

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Con specifico riferimento alla dimensione europea, la creazione di un “networking transnazionale” delle autonomie territoriali costituisce “uno dei modi attraverso i quali coniugare efficienza e allargamento del consenso del processo decisionale, soprattutto nell’ottica di un’Unione allargata”. Così G.CAGGIANO, op. cit., p. 150.

caratterizzato da ‘salti’ e ‘retrocessioni’ in merito ad una precisa configurazione giuridica del fenomeno cooperativo in esame – d’altra parte vale quanto lucidamente affermato in dottrina in merito al potere estero regionale come “ambito intrinsecamente refrattario a rigide normativizzazioni”425 – la prassi della cooperazione orizzontale tra regioni appartenenti a Stati europei differenti è divenuta una delle ‘best practices’ che più ha contribuito alla ‘presa di coscienza’, tanto nelle istituzioni comunitarie che in quelle statali, dell’esistenza di un “third

level politics”426. L’intercettazione dei programmi di cooperazione europea ha consentito alla Regioni di accumulare un notevole capitale in termini di competenze strategiche e manageriali metabolizzato e ‘messo a frutto’ nel rafforzamento della leadership politica sul piano interno sì da contribuire ad uno sviluppo efficace e qualitativo dei propri sistemi di governo. Proiettarsi all’esterno del sicuro ‘recinto’ statale comporta certamente dei rischi considerevoli a partire dal diretto confronto con realtà territoriali competitive e dinamiche (non poche nel contesto europeo), per questo la modalità di relazione cooperativa promossa dai programmi comunitari rappresenta il modus procedendi ‘vincente’ in quanto in grado di favorire il superamento di ‘diffidenze’ e ‘concorrenzialità esasperata’ e orientato all’individuazione di elementi comuni o azioni funzionali condivise.

Esperienza d’eccellenza, in tal senso, quella costituita dalla cooperazione interregionale denominata “Quattro motori per l’Europa”427 con la quale si è istituito un circuito relazionale tra le regioni di Baden-Württemberg, Catalogna, Lombardia e Rhône-Alpes, caratterizzate dalla condivisone di un alto grado di dinamismo e sviluppo economico e da una peculiare collocazione geografica che le vede lontane dalla capitale del rispettivo Stato di appartenenza428. Finalità specifica è l’identificazione del background economico, sociale e culturale delle rispettive aree territoriali e il rafforzamento del grado di ‘influenza’ delle regioni nel processo decisionale europeo. Tale iniziativa attesta la crescente necessità avvertita dagli attori regionali di estendere i confini della propria politica governativa creando delle connessioni dirette con la sfera europea, ovvero di

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Così, F.PALERMO, “Il potere estero delle regioni”, cit., p. 175. 426

Come rilevato da U.BULLMANN, “The politics of the third level”, in C.JEFFERY (a cura di), The regional dimension in the European Union. Towards a third level in Europe?, Londra, 1997, pp. 3-20.

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L’iniziativa “Quattro motori per l’Europa”, nasce sulla base di un memorandum firmato a Stoccarda il settembre del 1988 dai Presidenti delle quattro regioni coinvolte per attestare l’impegno successivo in qualità di ‘motori’ del processo di costruzione europea. Si struttura nel 1994 dotandosi di una organizzazione associativa e due anni dopo elabora una serie di progetti pilota’ che danno l’avvio alla omonima strategia europea.

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inserirsi nei più ampi processi di internazionalizzazione per il tramite della cooperazione europea. Se lo spettro di un nuovo centralismo si ‘agita nell’aria’ proprio in conseguenza alla progressiva cooptazione europea di ambiti materiali propriamente regionali, risulta agevole comprendere l’orientamento ‘europeista’ della ‘politica estera’ regionale. La funzione di ‘motore’ che tali regioni si propongono di ‘esercitare’ nello sviluppo del processo di integrazione europea e nell’attivazione di un modello di ‘best practices’ per le altre realtà regionali, deriva, innegabilmente, dalle peculiari caratteristiche dei sistemi regionali interessati. Si tratta, infatti, di regioni che già sul piano interno costituiscono ‘casi esemplari’ di ‘buon governo’ se pur il contesto nazionale di appartenenza risulta differenziato, per quanto ormai, come rileva in maniera lungimirante una parte della dottrina, non è più possibile ragionare per “prototipi” o “modelli monolitici quali Stato federale, Stato unitario accentrato o Stato regionale”429. Un’esperienza di cooperazione siffatta comporta innumerevoli vantaggi in termini di sviluppo economico e simbolico, dimensione da non sottovalutare soprattutto in questo caso dove la modalità d’azione competitiva viene presentata come ‘modello’ da emulare, il che rafforza inevitabilmente alcune Regioni e ne indebolisce altre430. Da qui scaturiscono alcune ‘perplessità’ in merito alla promozione di sistemi di

governance a rete con riferimento ai possibili rischi di ‘esclusione’ o

‘emarginazione’ dei soggetti che non fanno parte della ‘rete’; di ‘opacità’ delle procedure decisionali interne; di individuazione dei soggetti titolari dell’’accountability’ (chi è il responsabile nella rete?). A destare le maggiori preoccupazioni è, soprattutto, il possibile incremento della asimmetria sul piano interno dal momento che la gestione e il buon esito degli stessi programmi di cooperazione ‘mettono in gioco’ la capacità istituzionale degli enti territoriali, fortemente differenziata nel panorama regionale. Se da un lato ciò rappresenta per le Regioni un input all’adozione di modelli governativi efficienti in grado di fare ‘sistema’, convogliando le sinergie provenienti dai diversi livelli del circuito, dall’altro, la mancanza della “capacità di mobilitare le risorse endogene ed esogene per lo sviluppo all’interno dei propri territori” e di “coordinare e collaborare con altri attori”431 non farà altro che aumentare il gap territoriale. Lo sviluppo differenziato tra le Regioni in merito ad un esercizio attivo del ‘potere estero’ è sempre ‘dietro l’angolo’ e dipende non solo dall’esistenza di un interesse

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Così P. BILANCIA, “Stato federale, unitario, regionale…”, cit., p. 10. Sul tema si veda la brillante analisi condotta da B.CARAVITA, “Federalismo, federalismi, Stato federale”, cit.

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In merito a tale aspetto si veda, D. ALLEN, “Cohesion and structural adjustment”, in H. WALLACE e W. WALLACE, Policy-making in the European Union, Oxford, 2001, pp. 210-233. 431

che funga come input per proiettarsi sulla scena internazionale ma anche dai rapporti con lo Stato. L’incremento della componente asimmetrica nell’ampliamento della forbice tra il rafforzamento della dimensione ‘esterna’ delle Regioni già forti sul piano internazionale e l’intensificarsi della ‘chiusura’ per le Regioni strutturalmente ed ‘endemicamente’ deboli non è una ipotesi di scuola priva di senso, e, in merito alle conseguenze il dato comparatistico ci fornisce utili considerazioni – per tutti Spagna docet – .

I dubbi espressi, però, non devono far dimenticare che ci troviamo pur sempre all’interno di dinamiche di interdipendenza tra i sistemi, nel ‘metagioco della politica planetaria’432, che non lasciano molte vie di scelta, per cui sarebbe, forse più corretto parlare non del “se” ma del “come”, ovvero delle modalità attraverso cui è possibile pensare il livello regionale all’interno di processi irreversibili.

In tale ottica il riconoscimento di un reale ‘treaty-making power’ regionale non rappresenta (rectius avrebbe rappresentato) un elemento di ‘rottura’ dell’unità nazionale perché è il concetto stesso di sovranità che cambia. “Nella logica multi- livello, infatti, è postulata la frazionabilità, la scomponibilità della sovranità e la sua possibile articolazione su una pluralità di livelli ‘costituzionali’ a scale diverse”433. Non si pensa certamente ad una ‘sovranità regionale’ ma ad una reale e cosciente partecipazione delle Regioni alla sovranità statale. Questo quadro relazionale rappresenta l’humus politico, giuridico e culturale entro cui va sviluppandosi il regionalismo europeo che si proietta quasi esclusivamente in una dimensione di governance, termine che utilizziamo per sottolineare la dimensione della “cooperazione condotta in una rete di relazioni orizzontali”434. Lo sviluppo di queste pratiche di cooperazione che trascendono i confini statali mette in luce la consapevolezza che la cooperazione costituisce la via ‘obbligata’ in quella ricerca di equilibrio che da sempre conducono gli ordinamenti plurali al fine di valorizzare le potenzialità territoriali all’interno della trama unitaria dei valori costituzionali. L’analisi del ‘potere estero’ regionale dimostra, quindi, che l’‘essenza’ di tale dimensione risiede nel ‘principio collaborativo’, per cui, dal momento che “tutto o quasi è possibile alle Regioni in ambito estero con il consenso dello Stato” e, al contempo, “nulla o quasi in mancanza di tale

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U.BECK, Gegengifte. Die organisierte Unverantwortlichkeit, Suhrkamp, Frankfurt/M.,1988. 433

Cfr. P.BILANCIA, “Europa: una cultura delle differenze?”, in P. BILANCIA, F.G. PIZZETTI, Aspetti e problemi del costituzionalismo multilivello, cit., p. 40.

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Così M.CACIAGLI, Regioni d’Europa…, cit., p.111. In relazione al tema della ‘governance’ si veda per tutti R.MAYNTZ, “La teoria della «governance»: sfide e prospettive”, in Rivista italiana di Scienza Politica, n. 1/1999, pp. 3-21.

consenso”435, gli ‘sforzi’ maggiori del legislatore futuro, sia esso ordinario o costituzionale, dovranno concentrarsi sulle modalità e sulla strutturazione della collaborazione. Un percorso che non è nuovo se solo allunghiamo lo sguardo oltre l’orizzonte di confini statali. Le esperienze degli ordinamenti federo-regionali ci insegnano, infatti, che “la chiave del potere estero delle Regioni e degli Stati membri delle federazioni non sta nell’attribuzione del treaty-making power” ma nella previsione di “sedi istituzionali di raccordo a livello centrale capaci di dar voce alle autonomie anche in ordine ai rapporti internazionali”, altrimenti dovremo rassegnarci ai “conflitti” e agli “interventi delle giurisdizioni costituzionali chiamati volta per volta ad arbitrarli”436. Una prospettiva, quest’ultima, che richiama alla mente gli scenari di un passato da cui si è partiti ma verso cui non è più possibile ritornare se non violando lo ‘spirito’ del nuovo sistema costituzionale.

Il treaty-making power regionale è un processo ancora in fieri parallelo al cammino regionale verso la ‘cittadinanza comunitaria’, entrambi aggrovigliati “tra i rovi della sovranità e delle storie statali”437 . È ora che il ‘re nudo’ – lo Stato – prenda coscienza della sua condizione e si rivesta di un abito – sovranità – più ampio tale da contenere le sue plurime dimensioni.

435

Così F.PALERMO, “Titolo V e potere estero delle Regioni…”, cit., p. 731. 436

Cfr. C. PINELLI, “Regioni e rapporti internazionali secondo l’art. 117 Cost.”, sul sito

www.statutiregionali.it

437

Cfr. G. FALCON, “La «cittadinanza» europea delle regioni”, in L.VIOLINI (a cura di), Il futuro dell’autonomia regionale. Modello italiano e modelli europei in prospettiva, Milano, 2001, pp. 338-39.

“L a a u t o n o m í a n o s i r v e p a r a g o b e r n a r m e j o r , n i d e s d e l u e g o p a r a g o b e r n a r m á s b a r a t o . S i r v e p a r a o t r a s c o s a s t o d a v í a m á s i m p o r t a n t e s : p a r a r e c o n o c e r u n a d i f e r e n c i a y u n a i d e n t i d a d a l l í d o n d e e x i s t e ”

M.HERRERO DE MIÑON

“La posible diversidad de los modelos autonómicos en la transición, en la Constitución española de 1978

y en los Estatutos de Autonomía” 438

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M.HERRERO DE MIÑON, “La posible diversidad de los modelos autonómicos en la transición, en la Constitución española de 1978 y en los Estatutos de Autonomía”, in AA.VV., Uniformidad o diversidad de las Comunidades Autónomas, Barcellona 1995, p. 12 (corsivo nostro).

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