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D AL GENUS ALLA SPECIES : RELAZIONI E RAPPORTI COLLABORATIVI TRA R EGIONI ITALIANE ED ENTI TERRITORIALI ANALOGHI NELL ’ AREA

COOPERAZIONE INTERREGIONALE PER LA CREAZIONE DI UN NETWORK REGIONALE

REGIONALE : UN ’ ANALISI DELL ’ ART 117, C 9, C OST

4.3. D AL GENUS ALLA SPECIES : RELAZIONI E RAPPORTI COLLABORATIVI TRA R EGIONI ITALIANE ED ENTI TERRITORIALI ANALOGHI NELL ’ AREA

COMUNITARIA

Dopo aver esaminato le principiali novità normative in merito alla proiezione estera delle Regioni, l’analisi si rivolge allo studio del ‘piano concreto’, ovvero all’interno del genus ‘potere estero’ regionale alla species relativa alla cooperazione interregionale europea.

Una annotazione preliminare. Lo sviluppo ed il consolidamento dell’“arena comunitaria”, originariamente ricompresa nell’ambito della politica estera in senso stretto, ‘spingono’ verso il riconoscimento del “carattere «domestico» dei processi comunitari”397, per cui la sussunzione del fenomeno di cooperazione orizzontale tra le regioni in ambito europeo all’interno della generale categoria ‘potere estero’ regionale (con tutti i limiti evidenziati nell’utilizzo di tale concetto) non vuole venir meno all’assunto rilevato. Il carattere di ‘species’ vuole, sic et simpliciter, indicare il forte ascendente delle iniziative comunitarie di cooperazione internazionale sui processi di internazionalizzazione delle Regioni398 e, di conseguenza, il forte ruolo ‘giocato’ nella emersione di un autonomo ‘potere’ estero regionale.

responsabilità internazionale dello Stato”. A maggior sostegno di questa tesi l’A. rileva che per gli accordi di cui al 9° coma dell’art. 117 non si prevede un potere sostitutivo dello Stato a differenza di quanto avviene in materia di attuazione ed esecuzione di atti normativi comunitari e di accordi internazionali di cui all’art. 117, 5° c., Cost. Tale “silenzio” non sarebbe affatto “«casuale», né è frutto di una mera «svista»”, indicherebbe, invece, una differenza sostanziale tra gli “accordi internazionali Stato italiano-Stato estero” e gli “accordi Regione italiana- Stato estero”, implicando solo i primi la “responsabilità internazionale dell’Italia”. Cfr. P. BILANCIA, “Ancora sulle competenze regionali…”, cit.

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Secondo Violini, la previsione di una siffatta procedura determinerebbe, quasi, una trasformazione del ‘potere’ di concludere in una mera richiesta, al potere centrale, di “autorizzazione a concludere accordi”. Cfr. L. VIOLINI, “Il potere estero delle Regioni e delle Province autonome. Commento all’articolo 1, comma 1, e agli articolo 5 e 6”, in G.FALCON (a cura di), Stato, Regioni ed Enti locali, nella legge 5 giugno 2003, n. 131, Bologna, 2003, p. 142. 397

Espressioni utilizzate da A.ALFIERI, “I rapporti con le istituzioni dell’Unione europea”, in A. ALFIERI (a cura di), La politica estera delle Regioni, cit., p. 123.

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Le “spinte «dall’alto» alla cooperazione internazionale” insieme ad altri fattori quali, ad esempio, “la crescente rilevanza delle politiche comunitarie” o, ancora, “l’apertura dei sistemi locali, della società civile e in particolare dell’economia nell’era della globalizzazione”

La ‘fenomenologia’ relazionale di tipo ‘orizzontale’, d’altra parte, costituisce ormai una categoria di rapporti autonoma sia sul piano interno che su quello comunitario, ovvero sia rispetto alle tradizionali attività estere delle regioni sia in rapporto alla cooperazione transfrontaliera – che rappresenta, pur sempre, il suo quadro ‘genetico’ – anche se tanto la normativa interna quanto quella comunitaria stentano a riconoscerne un proprio status. Lo sviluppo di stabili raccordi transnazionali tra le Regioni nel quadro dell’integrazione europea trae origine dall’idea di condividere problemi e soluzioni appartenenti a realtà territoriali ‘legate’ non solo da rapporti di contiguità fisico-geografica ma da caratteristiche politiche, economiche, geografiche, o ‘funzionali’, creando una sorta di ‘policy-making concertativo’ che valorizzasse un modulo decisionale ‘reciproco’ tra i soggetti coinvolti. Accanto ad un ‘modello trasfontaliero’ di cooperazione finalizzato alla interconnessione tra le aree transfrontaliere esistono, infatti, ulteriori tipologie cooperative che si riferiscono a basi differenti. Il circuito cooperativo può essere creato tanto in presenza di similitudini e caratteristiche comuni tra le regioni che derivano principalmente dalla collocazione in una determinata area geografica (generalmente periferica), quanto in merito alla identificazione di una questione funzionale alla cui realizzazione la cooperazione è finalizzata399. Diverse formule di interconnessione, dunque, accomunate dalla determinazione di un “valore aggiunto”, ovvero la produzione di “effetti indiretti più ampi”400 tanto a livello interno – maggiore ‘vicinanza’ e visibilità delle regioni a livello europeo con il conseguente consolidamento della loro forza ‘lobbystica’ – che esterno – ampliamento del consenso e della legittimazione delle istituzioni europee implementando il processo di integrazione politico e giuridico –. Il fenomeno cooperativo, quindi, se pur caratterizzato da una natura ‘top down’, nel senso che è ‘intercalato’ e predisposto dall’alto a livello di regolamentazione e sostegno finanziario, è in grado di attivare e stimolare dinamiche regionali di tipo ‘bottom up’ innescati da una gestione diretta delle politiche di cooperazione e dalla creazione di un proficuo ‘capitale relazionale’401.

rappresentano, secondo A. ALFIERI, la chiave interpretativa del “dinamismo internazionale dei «nuovi attori». Cfr. A.ALFIERI,op. ult. cit., p. 115.

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Sul tema si veda lo studio sugli accordi interregionali effettuato da BORRÁS ALOMAR, in S. BORRÁS ALOMAR., T.CHRISTIANSEN,A.RODRIGUEZ-POSE,“Towards a ‘Europe of the Regions’? Visions and reality from a critical perspective”,in Regional Policy and Politics, vol. 4, n. 2, 1994. 400

Così F. M. LAZZARO, “La cooperazione fra Regioni comunitarie alla luce della riforma costituzionale italiana”, in Le Istituzioni del federalismo, n. 2/2003, p. 323.

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Come ben evidenziato in dottrina, “la cooperazione interregionale contribuisce in maniera significativa allo sviluppo delle relazioni politiche, economiche e culturali”. Cfr. G.CAGGIANO, “Il

Configurare il quadro normativo che regola questa peculiare forma di proiezione estera delle Regioni risulta un’operazione complessa, un vero e proprio ‘rompicapo’, che dipende tanto dalle origini informali e non istituzionalizzate – per questo definita “associazionismo informale”402 – quanto dall’integrazione di due piani normativi – nazionale e comunitario – non sempre in ‘armonico’ accordo, a differenza del parallelo processo riguardante i rapporti tra Regioni ed istituzioni comunitarie.

Il processo di costruzione comunitaria costituisce senza dubbio l’input iniziale del fenomeno cooperativo la cui nascita si può far risalire alla creazione del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR)403, finalizzato ad un’azione di riequilibrio tra le diverse aree regionali comunitarie e all’avvio della politica di coesione economica e sociale. In questa prima fase l’Europa si presenta agli ‘occhi’ delle regioni, sebbene non ancora strutturate e organizzate come le conosciamo noi oggi soprattutto negli Stati con un basso grado di regionalizzazione, come un nuovo e più facile terreno da ‘colonizzare’, un “canale di finanziamento alternativo a quello nazionale”404 attraverso cui realizzare un rafforzamento della loro autonomia anche sul piano interno. Non si avvertiva, quindi, la necessità di organizzare e istituzionalizzare i processi di connessione con le altre aree essendo bastevoli semplici strutture idonee a canalizzare i fondi comunitari. D’altra parte il riconoscimento e la valorizzazione del livello governativo infrastatale sul piano europeo rappresenta un processo tutt’altro che lineare405 il cui sviluppo è stato certamente e positivamente influenzato anche da

networking e i gemellaggi delle Regioni”, in A. ALFIERI (a cura di), La politica estera delle regioni, cit., p. 151.

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Definizione che ne dà G.CAGGIANO soprattutto considerando come ‘parametro’ gli schemi tipici del diritto nazionale rispetto ai quali la cooperazione interregionale risulta ‘atipica’. Cfr. G. CAGGIANO,op. ult. cit., p. 151.

403

Il regolamento del Fondo europeo di sviluppo regionale adottato il 18 marzo 1975 fa da ‘apristrada’ ad una politica europea orientata al riequilibrio di aree depresse che in questa prima fase di ‘top down regionalism’ non preveda il coinvolgimento e la partecipazione diretta delle regioni interessate.

404

Così E.LETTA, “Le Regioni nuovi attori di politica estera”, in A. ALFIERI (a cura di), La politica estera delle regioni, cit., p. 236.

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Nonostante i numerosi ‘passi in avanti’ compiuti rispetto all’iniziale ‘cecità regionale’ dell’Unione europea, gli enti intermedi interni agli Stati membri non godono a tutt’oggi di un pieno riconoscimento giuridico conseguente ad un regime di garanzia giurisdizionale, sicché è giustificato parlare di un ‘work in progress’ senza dubbio orientato ad un progressivo consolidamento soprattutto in virtù dello sviluppo, anche nei Paesi di nuova adesione, delle dinamiche di federalizing process . In tale ottica vanno letti i processi di regionalizzazione che hanno interessato la Polonia sviluppatisi in parallelo all’avvio delle procedure di negoziazione per l’ingresso nell’Unione europea. Per un’analisi dettagliata si veda W. PUZYNA, “Il processo di decentramento in Polonia di fronte alle prospettive di integrazione nell’Unione Europea”, in B. CARAVITA (a cura di), Le Regioni in Europa…, cit..

modalità di governo tipiche della Comunità europea orientate ad un coinvolgimento diretto di tutte le amministrazioni degli Stati membri406. Pur nell’iniziale ‘silenzio’ dei Trattati istitutivi della Comunità europea, il progressivo avanzare del ruolo regionale e lo sviluppo di un ‘sistema’ cooperativo si attesta,

de facto, soprattutto in seguito all’istituzione dei Programmi integrati mediterranei

(PIM)407, che danno luogo ad un sistema ‘trilaterale’ di cooperazione tra istituzioni comunitarie, Stato e Regioni408, e alle modalità di gestione dei Fondi strutturali409 che istituiscono il partenariato410 come modus specifico nella realizzazione delle politiche regionali europee. Si avvia, così, il processo verso il riconoscimento di una soggettività comunitaria delle Regioni valorizzata proprio dall’adozione di programmi comunitari diretti alla cooperazione tra enti territoriali omologhi appartenenti a Stati membri differenti in relazione ad attività strumentali alla realizzazione di politiche comunitarie determinate. All’interno di queste iniziative comunitarie il programma INTERREG, ormai alla terza edizione, costituisce un utilissimo esempio di quanto si propone detta analisi poiché rappresenta l’espressione più chiara di come e quanto il fenomeno cooperativo europeo abbia contribuito, da un lato, a valorizzare il ruolo delle regioni nella sfera europea e non solo, e, dall’altro ad accrescere l’internazionalizzazione delle

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Si fa riferimento, in particolare, alle modalità di esecuzione indiretta delle politiche comunitarie. Sul tema si veda M. P. CHITI, “Regione ed Unione europea dopo la Riforma del Titolo V della Costituzione: l’influenza della giurisprudenza costituzionale”, in C.BOTTARI (a cura di), La riforma del Titolo V , parte II, della Costituzione, Santarcangelo di Romagna, 2003, pp. 231 e ss.

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I PIM sono degli interventi specifici istituiti con regolamento n. 2088/85/CE aventi come destinatari le regioni mediterranee di Francia, Grecia ed Italia e come obiettivo quello di riequilibrare gli scompensi economici verificatisi a seguito dell’ingresso di Spagna e Portogallo nella Comunità europea.

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I PIM rappresentano, infatti, un “primo importante segnale” che se da un lato attesta “la volontà di operare un coinvolgimento delle regioni a livello comunitario assai più qualificato e significativo” (G.SIRIANI, La partecipazione delle regioni alle scelte comunitarie. Il Comitato delle regioni: organizzazione, funzioni, attività, Milano, 1997, p. 11), dall’altro rappresenta un primo esempio di “stretta cooperazione tra Comunità, Stato e Regioni” che opera “tanto nell’elaborazione dei programmi e nel finanziamento, quanto nell’attuazione” (G. IURATO, Le Regioni italiane e il processo decisionale europeo. Un’analisi neo-istituzionalista della partecipazione, Milano, 2005, p. 84).

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I Fondi strutturali vengono disciplinati all’interno della Politica di Coesione Economia e Sociale, dagli arrt. 158 a 162 , Titolo XVII, del TCE (versione consolidata), disciplina riformata a seguito del regolamento CE n. 2052 del Consiglio e, di recente, del regolamento CE del Consiglio 21 giugno 1999, n. 1260.

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L’affermazione del principio del partenariato si deve alla riforma dei fondi strutturali del 1988, con la quale “la Commissione, in sostanza, auspicò, un più ampio coinvolgimento degli attori subnazionali nel pianificare, decidere e gestire i programmi finanziati”, M. MAZZOLENI, “Le Regioni nel decision making europeo secondo il progetto della Convenzione: continuità o cambiamento?”, in Le Istituzioni del federalismo, n. 1/2004, p. 152.

stesse. INTERREG III411 ricomprende le tre tipologie della cooperazione orizzontale, ovvero la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale412 ed ha come preciso obiettivo quello di “incentivare uno sviluppo armonioso, equilibrato e duraturo dell’insieme dello spazio comunitario”. La rilevanza di questo specifico programma consiste nella peculiare connessione che realizza tra i soggetti territoriali – destinatari attivi dell’iniziativa – gli attori istituzionali nazionali – con funzioni in merito alla distribuzione interna dei finanziamenti – ed il livello europeo – alla Commissione vengono presentate le iniziative da attivare –. Si tratta, quindi, di azioni che coinvolgono diverse autorità regionali o locali che agiscono adottando uno dei tre moduli di collaborazione finanziabili, ovvero secondo un ‘regional framework operation’413, ‘individual

project’, o, ancora, secondo ‘network’414, ma è soprattutto il primo ‘schema di lavoro’ la modalità più ‘interessante’ nella prospettiva del consolidamento della dimensione ‘esterna’ delle Regioni poiché queste ultime agiscono in veste di beneficiarie dirette a differenza degli altri due casi in cui l’attivazione regionale è ‘mediata’ dallo Stato.

Il ‘valore aggiunto’ della collaborazione orizzontale tra enti territoriali non è quindi ‘sfuggito’ alle istituzioni comunitarie, per quanto, non si sia ancora proceduto ad una disciplina univocamente rivolta a regolare le relazioni tra gli enti infrastatali in ambito europeo. È evidente, infatti, l’omologazione delle diverse

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INTERREG III rappresenta la terza edizione del programma comunitario destinato a coprire il periodo 2000-2006, dopo una prima iniziativa per il triennio 1990-1993 ed una seconda per il periodo 1994-1999.

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Queste tre tipologie costituiscono le tre sezioni (A, B, C) in cui si dettaglia il programma: A) “Cross-border co-operation”; B) “Transnational co-operation”; C) “Interregional co-operation”. 413

Come si legge nella Comunicazione della Commissione 7 maggio 2001, Cooperazione interregionale, doc. C(2001)1188, punto 26, in GUCE, 15 maggio 2001, C 141, le “operazioni quadro regionale”, finalizzate allo scambio di esperienze su metodologie ed attività, vengono predisposte da “un gruppo di autorità regionali o enti regionali equivalenti di un insieme di Regioni appartenenti ad almeno tre Paesi, di cui almeno due Stati membri”. Il progetto risulta dall’apporto di ciascun partner che predispone azioni relative a specifici aspetti del programma sotto la coordinazione di una Regione capofila che ha il compito di presentare all’autorità nazionale di gestione dei fondi la richiesta di finanziamento, ‘libera’ da ogni soggezione ad un eventuale previo assenso governativo o ad un controllo di opportunità.

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In questi due casi i soggetti ‘intestatari’ sono gli Stati che successivamente coinvolgono le Regioni interessate. La prima delle due modalità – ‘progetti individuali’ – prevede uno scambio ‘incisivo’ di esperienze relative alla metodologia e alle attività riguardanti un progetto, ovvero un vero e proprio trasferimento dei risultati del progetto da una Regione all’altra al fine di creare un valore aggiunto effettivo per i partner. La modalità di ‘network’ crea una connessione tra Regioni dell’Unione europea e di Paesi terzi riguardante lo sviluppo e le modalità di attuazione dei progetti. La procedura si snoda, in questi, casi nel raccordo tra autorità nazionali, regioni e Commissione tramite la previsione di un organismo pagatore e di un organismo con funzioni di controllo finanziario dei progetti dei partners che riveste il ruolo di connessione con le istituzioni europee per la gestione amministrativa e contabile (regolamento generale 1260/1999/CE).

forme di cooperazione profondamente differenziate non tanto in virtù dei soggetti, che rimangono pur sempre le Regioni, quanto per le finalità e le modalità d’azione.

Sul piano interno il relativo consolidarsi di un ‘potere estero’ delle Regioni, a seguito delle ‘aperture’ sia, e in primis, della giurisprudenza costituzionale che del legislatore ordinario, fino al riconoscimento di uno status ‘metacostituzionale’415 ha innegabilmente contribuito a far ‘prendere sul serio’ il fenomeno delle relazioni orizzontali tra i soggetti infrastatali al di fuori dei confini meramente nazionali. Se pur ricondotte all’interno delle generali ‘attività di mero rilievo internazionale’ o ‘di promozione all’estero’ le ‘attività’ cooperative in esame possiedono una propria ‘essenza ontologica’ derivante dal fatto che, coinvolgendo più e diversi ordinamenti, non possono essere ricondotte nel solo alveo del diritto nazionale essendo necessariamente ‘plurima’ e, soprattutto, comunitaria la loro fonte di legittimazione. D’altra parte la costituzionalizzazione del ‘potere estero’ regionale riveste di legittimità l’applicazione dei Protocolli aggiuntivi alla Convenzione quadro di Madrid sulla cooperazione transfrontaliera nei quali viene menzionata come categoria ‘autonoma’ la cooperazione interregionale416.

L’u.c. dell’art. 117 Cost. rappresenta un primo ed importante riconoscimento della facoltà di ‘relazione’ riconosciuta alle Regioni ma i limiti e le criticità di questa disposizione, soprattutto a seguito della legge di attuazione, sono manifesti come abbiamo avuto modo di esaminare in precedenza. Tuttavia il forte attivismo relazionale delle Regioni nella sfera comunitaria non può passare inosservato ma, al contrario, disponendo di una legittimazione costituzionale, esige una specifica disciplina legislativa tale da non ‘imbrigliare’ un sistema di per sé non confinabile entro uno ‘spazio giuridico’ esclusivamente statale.

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Espressione con cui si vuole sottolineare la ‘chiusura’ delle potenzialità presenti nelle norme costituzionali novellate relative alla dimensione estera delle Regioni, operata dalla legge di attuazione n. 131/2003.

416

In particolare il Protocollo aggiuntivo n. 2 del 1988 all’art. 1 definisce la cooperazione interregionale come “ogni azione concertata prevista per stabilire relazioni tra autorità o comunità territoriali di due o più parti contraenti, non confinanti, diversamente dalle relazioni di cooperazione transfrontaliera che intercorrono solo tra autorità confinanti”.

5. I

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NELLA DIMENSIONE STATUTARIA

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