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LINGUA DEI SEGNI E DISABILITÀ COMUNICATIVE

3.8 Lingua dei segni e sindrome di Landau-Kleffner

3.8.2 Interventi riabilitativi linguistici nei casi di LKS

Per quanto riguarda il deficit linguistico, le possibilità di recupero delle capacità sono scarse. Risultano quindi necessari interventi di riabilitazione linguistica. Data l’età tipica di insorgenza della sindrome (fra i 3;0 e i 7;0 anni) la regressione inizia proprio in un momento cruciale dello sviluppo linguistico e l’entità del danno è variabile e duratura. Infatti anche se le crisi epilettiche riescono ad essere controllate, i deficit che ne derivano persistono nel tempo (Deonna, 1991).

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William, Wright, e Partridge (1999).

69 Per approfondimenti sugli aspetti caratteristici della sindrome v. Stefanatos, G. (2011), Changing

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Considerando quindi la natura del deficit, per aggirare le difficoltà di elaborazione uditiva nei soggetti con LKS, la letteratura (Deonna 1991, Rapin, 1996; Woll e Sieratzki, 1996; Baynes et al. 1998) da tempo raccomanda l’uso di forme linguistiche

che viaggino attraverso il canale visivo; includendo e sostenendo soprattutto l’uso della lingua dei segni (Perez, Davidoff et al., 2001).

L’insegnamento dei segni ha infatti registrato numerosi casi di successo e per molti soggetti questa lingua è diventata la modalità di comunicazione primaria (Mikati & Shamseddine, 2005; Sieratzki, Calvert, Brammer, David e Woll, 2001).

Alcuni adulti entrano anche a far parte della comunità sorda della lingua dei segni di appartenenza (Deonna, Prelaz-Girod, Mayor-Dubois, & Roulet-Perez, 2009) acquisendo una competenza paragonabile a quella raggiunta dai soggetti affetti da sordità congenita neurosensoriale (Perez & Davidoff, 2001). L’ipotesi è che la competenza linguistica acquisita tramite la modalità visivo-gestuale dipenda da una forma di afasia “non tradizionale”, che permette di preservare nei soggetti con LKS i processi di rappresentazione linguistica più elevati (Stefanatos, 2011).

Perez, Davidoff et al. (2001)

Questo studio svizzero si occupò, per primo, di analizzare il livello linguistico raggiunto in lingua dei segni da un ragazzo affetto da AEA. Gli autori si domandavano innanzitutto se un soggetto con disfunzioni cerebrali causate dall’AEA fosse in grado di grado di acquisire una lingua durante il periodo critico dello sviluppo; e se la competenza raggiunta in lingua dei segni fosse pari a quella di un soggetto affetto da sordità congenita neurosensoriale.

La seconda domanda riguardava la capacità di acquisizione delle regole grammaticali della lingua: le specifiche regole morfo-sintattiche della lingua dei segni sono in grado di essere acquisite oppure si assiste alla comparsa di errori causati dal deficit linguistico, che si riflettono quindi anche sulla produzione in lingua segnata? (Corina, 2000).

Infine gli autori si sono chiesti se la lingua dei segni fosse in grado di sviluppare e migliorare anche la competenza nella lingua orale.

Venne analizzato un ragazzo affetto da AEA, che aveva gradualmente perso le sue capacità linguistiche, sia in comprensione che in produzione, tra i 3;6 e i 7;0 anni. All’età di 6;0 anni era stato introdotto all’apprendimento della lingua dei segni franco-

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svizzera (la lingua dei segni della comunità linguistica di appartenenza). L’apprendimento della lingua dei segni (LS) procedeva in modo abbastanza rapido. Per quanto riguarda invece la lingua orale (LO; nel suo caso il francese) i primi sviluppi iniziarono solamente tra gli 8;0 e i 10;0 anni, progredendo lentamente rispetto alla LS. A prescindere però dalla velocità di acquisizione, la comparsa della lingua orale può ritenersi un’ulteriore prova a favore dei benefici apportati dall’inserimento dei segni, come visto nella letteratura precedente nei casi di autismo e sindrome di Down (v. paragrafi 3.6 e 3.7).

Il livello raggiunto dal ragazzo AEA venne valutato sia per quanto riguarda la LS che la LO, all’età di 13;6 anni. La sua performance in LS venne inoltre paragonata a quella realizzata da un ragazzo sordo con la medesima età anagrafica.

Per quanto riguarda AEA vennero anche messe a confronto le abilità da lui raggiunte in lingua dei segni e in modalità orale. Bisogna considerare anche che al tempo della valutazione linguistica AEA aveva alle spalle 7;0 anni di apprendimento della lingua dei segni; dai 9;0 anni inoltre il suo EEG70 si era stabilizzato e dai 12;0 anni aveva anche smesso di assumere i farmaci per le crisi epilettiche. Come detto precedentemente inoltre, una forma (anche se poco intelligibile) di produzione orale aveva iniziato a comparire tra gli 8;0 e i 10;0 anni. Data la necessità di valutare la lingua in due diverse modalità (sia in forma uditivo-verbale che visivo-gestuale) e considerando l’inesistenza di test specifici da poter utilizzare per la lingua segnata in questione, venne tradotta in lingua dei segni franco-svizzera la “Batterie d’évaluation du Langage oral de l’enfant aphasique” (ELOLA; De Agostini et al., 199871

).

Per quanto riguarda le abilità lessicali in lingua dei segni, oltre che nell’uso di marcatori morfo-sintattici e delle strutture spaziali sintattiche, vennero analizzate a livello qualitativo le produzioni dei due soggetti. Il compito assegnato loro era quello di narrare una storia (tratta dal libro a fumetti “Frog, where are you?”; Mayer, 1986).

Considerato inoltre che la difficoltà di discriminazione dei suoni è uno dei principali deficit nei casi di AEA (e si presentava danneggiata anche in AEA) uno degli obiettivi era quello di osservare se anche le componenti “fonologiche” in lingua dei segni fossero danneggiate e recepite da lui in forma corretta o meno. A questo scopo venne adattato

70 Sigla per “elettroencefalografia”; registrazione dell’attività elettrica del cervello.

71 Si tratta di una batteria di test europea, creata appositamente per valutare le abilità espressive e ricettive

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un test di “Decomposizione Sublessicale” (Sublessical Decomposition Test) creato per l’American Sign Language (Poizner et al., 1987).

Risultati

Per quanto riguarda le capacità di produzione, i risultati di AEA e del ragazzo sordo messi a confronto mostrano livelli molto simili, dimostrando dunque la possibilità di un buon apprendimento della lingua dei segni. Il primo quesito posto dagli autori viene quindi soddisfatto, anche se chiaramente non è scontato che risultati identici possano essere ottenuti in tutti i casi di AEA. Le caratteristiche del deficit linguistico che li contraddistingue sono variabili e associate a diversi livelli di difficoltà cognitive e comportamentali (Roulet et al., 1991). Da un punto di vista qualitativo la realizzazione segnica di AEA si era dimostrata molto più inquieta e irregolare di quella del ragazzo

sordo (invece più veloce e regolare) ma queste differenze furono ritenute dagli autori

associabili alle diverse personalità dei due soggetti.

Da un punto di vista qualitativo invece AEA era in grado di produrre più segni (138) rispetto al ragazzo sordo (103), dimostrando spesso un uso più preciso del vocabolario. L’uso degli specifici marcatori grammaticali (come quelli di persona, numero, ecc.) si dimostravano ad un livello equivalente tra i due soggetti. Bisogna comunque tenere in considerazione che AEA venne esposto alla lingua dei segni solo all’età di 6 anni, e la sua velocità di apprendimento si era dimostrata quindi molto rapida.

Dai dati raccolti dalla produzione orale si può osservare come anche in questo caso venga smentita la convinzione erronea (già riscontrata precedentemente in altri casi di disabilità comunicativa) secondo la quale un’esposizione alla lingua dei segni possa inibire lo sviluppo della lingua orale. Le capacità orali di AEA infatti migliorarono gradualmente, parallelamente ad un costante progresso in lingua dei segni.

La sua performance era comunque migliore in lingua dei segni. Nonostante le sue difficoltà fonologiche sia in comprensione che in produzione nella LO, presentava abilità nella norma per quanto riguarda l’analisi e la produzione delle componenti sub- lessicali della lingua dei segni. Anche il suo uso dei marcatori morfologici e della sintassi spaziale si mostravano qualitativamente simili a quelli del suo compagno sordo.

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Gli autori ritengono che l’acquisizione della lingua dei segni in questo caso (ragazzo AEA) siano possibili grazie all’attivazione di processi che hanno luogo nelle aree linguistiche preservate (le quali prima dell’insorgenza della sindrome erano state esposte anche alla LO).

Se questa ipotesi è corretta allora si può considerare la lingua dei segni come il mezzo più efficace per lo sviluppo linguistico di questi soggetti. Essa è in grado di utilizzare le aree linguistiche preservate tramite vie linguistiche che sfruttano il canale visivo. Come si può evincere dai risultati raccolti è inoltre possibile che l’apprendimento della LS sia in grado di promuovere lo sviluppo della LO. La LS quindi favorirebbe il recupero di queste capacità orali mantenendo attivo il funzionamento linguistico durante il periodo critico dello sviluppo e preparando alla ricezione dell’input linguistico (nel momento in cui la sua elaborazione uditiva diventa possibile grazie alla diminuzione delle crisi epilettiche).

3.8.3 LIS e LKS: Il caso di D.

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Per quanto riguarda il contesto italiano, in Rinaldi, De Grandis, et al. (2016) viene descritto il caso di D., un ragazzo con sindrome di Landau-Kleffner che ha imparato ad utilizzare la lingua dei segni italiana (LIS) alla quale è stato esposto dopo gli insuccessi ottenuti dalla terapia logopedica.

La famiglia di D., bilingue italiano-albanese, riportava stadi di sviluppo neurotipici fino all’età di 4;0 anni, età in cui iniziarono a notare progressivi deterioramenti sia in produzione che in comprensione. All’età di 6;0 anni venne sottoposto ad una serie di valutazioni cliniche, le quali permisero di diagnosticare la sindrome.

Per quanto riguarda invece la valutazione linguistica, non era stata possibile la somministrazione di test linguistici standardizzati a causa dell’iperattività elevata del bambino. La sua comprensione uditiva era praticamente nulla e le sue capacità di produzione si limitavano a suoni inarticolati, alla mimica e all’uso di gesti.

I tentativi di logopedia convenzionale con D. non portarono ad alcun risultato e anzi peggiorarono i suoi comportamenti problematici rendendolo ostile alla partecipazione alle sedute. All’età di 8;0 anni non era ancora stato possibile inserirlo nella scuola

72 La lingua dei segni nelle disabilità comunicative ; a cura di C. Branchini e A. Cardinaletti, (2016:90-

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elementare e venne nuovamente sottoposto ad un test linguistico (Test di Valutazione del Linguaggio; TVL; Cianchetti e Fancello, 1997). I risultati dimostrarono come la ripetizione e la comprensione verbali fossero praticamente assenti.

L’anno successivo invece il ripetuto tentativo di inserimento scolastico portò piccoli risultati positivi: D. infatti imparò a scrivere il suo nome e quello di alcuni cibi, migliorò nella produzione gestuale e diminuirono i suoi comportamenti problematici; nonostante continuasse ad essere assente la sua capacità di comunicazione vocale.

L’uso della lingua dei segni iniziò dopo l’incontro, avvenuto l’estate successiva, tra il bambino e una sua coetanea sorda. All’interno del centro estivo che entrambi frequentavano infatti la bambina era affiancata da un interprete LIS e D. si dimostrò molto interessato a questa nuova lingua; cercando di capire i segni e iniziando ad imitarne alcuni. Su queste basi fu quindi intrapreso anche con lui un programma logopedico incentrato sull’apprendimento della LIS (continuato poi fino all’inizio della scuola professionale).

Il suo Percorso Educativo Individualizzato, all’inizio della scuola secondaria di primo grado, prevedeva che D. fosse affiancato da un assistente alla comunicazione segnante e da un insegnante di sostegno. Le ore settimanali aumentarono da 10 a 18 e i segni furono insegnati anche ai compagni di classe e alle figure professionali di riferimento. La presenza della figura dell’assistente alla comunicazione proseguì anche con l’inizio della scuola professionale alla quale D. venne iscritto. In questo periodo inoltre il ragazzo cominciò a utilizzare con maggior frequenza la lingua vocale, come osservato per molti altri casi descritti in precedenza. Pronunciava singole parole, anche se foneticamente distorte, e aveva imparato a produrre sia in forma scritta che in LIS segni/parole e alcuni numeri.

Le valutazioni linguistiche che vennero fatte nel corso del percorso riabilitativo di D. (a 11;0, 14;0 e 17;0 anni) mostrarono risultati molto positivi. Le sue competenze comunicative in LIS erano infatti migliorate gradualmente.

Per quanto riguarda le sue abilità lessicali in comprensione e in produzione il punteggio ottenuto dal TVL (adattato per la somministrazione in lingua dei segni) evidenziava miglioramenti e prestazioni simili a quelle ottenute da bambini udenti di età superiore ai 6;0 anni. Anche il punteggio ottenuto nel BNT (Boston Naming Test; Kaplan Goodglass e Weintraub, 1983; Riva, Nichelli e Devoti, 2000) risultò paragonabile a quello ottenuto da bambini sordi esposti alla LIS in età prescolare. Per quanto concerne invece le abilità

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di comprensione non vennero registrati risultati così significativi. Come riscontrato da Rapin et al. (1977), infatti, spesso i deficit nelle capacità ricettive tendono a permanere. I punteggi ottenuti nel Token Test infatti si mostrano alla pari di quelli raggiunti da bambini udenti più piccoli (4;0-5;0 anni).

Anche un altro caso (C. S.) con sindrome di Landau-Kleffner aveva migliorato le sue competenze recuperando il linguaggio in forma scritta (Denes et al., 1986). Attraverso un processo di apprendimento scelto sulla base della predisposizione individuale dei due diversi soggetti, sono stati raggiunti importanti progressi linguistici. Dai risultati ottenuti emerge l’efficacia di interventi che prendano in considerazione l’uso del canale visivo e gestuale e questi successi indicano l’esistenza di percorsi alternativi in grado di raggiungere il sistema centrale del linguaggio. Comunicazioni alternative a quella vocale sono dunque in grado di superare il danno causato dalla deprivazione uditiva. È inoltre da sottolineare il fatto che D. non solo utilizzi la LIS come strumento di comunicazione preferito ma anche i risultati ottenuti nei test BNT in LIS: più alti rispetto a quelli in forma scritta.

Anche in questo caso quindi la lingua dei segni si è rivelata uno strumento comunicativo idoneo al superamento dei deficit linguistici.