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LINGUA DEI SEGNI E DISABILITÀ COMUNICATIVE

3.7 Lingua dei segni e sindrome di Down

3.7.2 LIS e sindrome di Down

Per quanto riguarda il contesto italiano le esperienze recuperate dalla letteratura risalgono circa agli anni Novanta del Novecento. Del 1995 è infatti lo studio di Bellini, Monari e Scarso, mentre il lavoro di Caselli, Vicari, Longobardi, Lami, Pizzoli & Stella risale al 1998. Di seguito verranno illustrati due casi riportati nel volume La lingua dei

segni nelle disabilità educative66, riguardanti esperienze italiane di utilizzo della LIS con bambini con sindrome di Down.

Il caso di Michela

Il primo caso è quello descritto dalle due educatrici L. Scursatone e R. Capellino, che dal 1999 si occupano di disabilità sensoriali dedicando particolare interesse all’utilizzo della LIS nelle situazioni di bisogni educativi complessi al di fuori della sordità.

Michela è una bambina di 9;0 anni, affetta da sindrome di Down, sordità bilaterale profonda e deficit cognitivo di entità grave. All’inizio dell’intervento in lingua dei

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segni, che venne richiesto con forza dai genitori, la bambina non possedeva nessuna forma di comunicazione nemmeno grossolanamente codificata. Non agganciava lo sguardo, sembrava non essere in grado di entrare in relazione con nessuno ed era altamente distruttiva con gli oggetti. Le sue reazioni erano inadeguate, e oltre al pianto tendeva a buttarsi a terra, a sputare e a strappare i capelli.

Inizialmente sembrava sarebbe stato impossibile farle acquisire i concetti indispensabili alle sue ruotine quotidiane e ad un’interazione adeguata con il mondo esterno. Una volta però agganciato il suo contatto oculare grazie alla tecnica del cibo di fronte al viso, le educatrici iniziarono ad utilizzare la LIS ed atteso quasi tre mesi prima che Michela riuscisse a produrre il primo segno autonomamente (MANGIARE). I progressi col tempo arrivarono e l’acquisizione aumentava gradualmente, arrivando ad un vocabolario composto da 60 segni.

Il percorso fatto con Michela è tuttora in fase di proseguimento e gli obiettivi sono molteplici (Scursatore e Capellino, 2016:82-83).

La LIS è stata scelta immediatamente in quanto nella bambina non vi era un’acquisizione precedente di strutture morfo-sintattiche dell’italiano. I segni vennero introdotti secondo la struttura della LIS cercando comunque di semplificarli in modo da renderli il più possibile facilmente comprensibili. Le produzioni inoltre non potevano essere troppo lunghe, in quanto il tempo in cui Michela riusciva a mantenere il contatto oculare era limitato e una semplificazione risultava indispensabile.

Uno degli obiettivi prevedeva anche che Michela fosse finalmente inserita all’interno della sua classe, e a questo proposito la LIS diventò una materia curricolare a tutti gli effetti. È vero quindi che la LIS non è uno strumento condiviso da tutti (argomento che spesso viene utilizzato ad obiezione dell’uso dei segni come forma di CAA; v. cap. 3, paragrafo 3.3) ma è compito dell’educatore fare in modo che questo mezzo di comunicazione venga insegnato e condiviso.

Gli obiettivi raggiunti in queseto caso sono numerosi, e questo dimostra come l’uso del canale segnico sia in grado di comportare effetti positivi anche nei casi in cui i problemi causati dal deficit sembrino insormontabili.

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Il caso di E.

Il caso clinico presentato da Raccanello (2016:107) è quello di E., una bambina con sindrome di Down di 9;0 anni affetta da un mutismo senza cause ben definite che spinse i genitori a tentare un percorso comunicativo in lingua dei segni. Data la rara forma di mutismo della bambina, i percorsi riabilitativi precedenti erano stati numerosi: dagli interventi logopedici supportati da test psico-cognitivi e linguistici ai massaggi osteopatici. Nessuno riuscì però ad avere successo e la bambina era in grado di articolare solo tre vocali: [a], [e] e [i].

Oltre ai precedenti fallimenti, le motivazioni che spinsero quindi la neuropsichiatra e la terapista riabilitativa ad optare per un percorso in lingua dei segni furono dettate dall’osservazione dell’utilizzo da parte di E. di una forma rudimentale di comunicazione gestuale. Questo progetto era iniziato già nel 2012 quando la bambina aveva solo 6;0 anni e venne intrapreso dalla sua insegnante di sostegno della scuola materna. L’insegnamento dei primi segni comportò risultati incoraggianti ma E. non era in grado di produrli in autonomia e ai fini di una comunicazione funzionale. Da ottobre 2014, anno in cui la famiglia decise di contattare l’Università Ca’ Foscari Venezia, il caso venne invece affidato a Jessica Raccanello.

Verso fine anno il progetto venne quindi concordato con la neuropsichiatra di riferimento e la speranza era quella che E. riuscisse finalmente a possedere una lingua per comunicare i suoi bisogni e i suoi desideri. All’inizio del periodo di intervento la bambina ricordava ancora qualche segno appreso nei due anni precedenti ma i suoi tentativi di comunicazione autonoma si limitavano al segno per CARAMELLA e ai segni riferiti alla sua sfera famigliare (PAPÀ, MAMMA e FRATELLO).

Nonostante i pochi residui mnemonici la piccola E. si era comunque dimostrata da subito predisposta alla LIS e interessata all’apprendimento segnico, che appariva aver compreso come utile ai fini della comunicazione. Per insegnare i segni alla bambina la produzione manuale veniva sempre accompagnata da quella vocale, con l’obiettivo di guidare E. ad un’associazione parola-segno. Col tempo i segni appresi furono molteplici. Alcuni, grazie alla loro componente fortemente iconica (come ad esempio CHIAVE, SCIARPA, COLLANA) venner appresi e memorizzati rapidamente.

Altre richieste che aveva imparato a produrre autonomamente erano i segni per MANGIARE e BERE; oltre ad ACQUA, CARAMELLA, SCUOLA, CASA,

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LAVORO; il verbo USCIRE quando voleva essere accompagnata in bagno o SEDERE QUI quando voleva che la sua educatrice si sedesse vicino a lei.

L’unica associazione sostantivo-aggettivo che la bambina era in grado di realizzare in modo indipendente era QUADERNO ROSSO, per riferirsi al suo quaderno con la copertina rossa che utilizzava per le sue attività didattiche quotidiane, come la coloritura o la scrittura. Durante gli esercizi di coloritura inoltre era anche in grado di produrre i segni dei colori che intendeva utilizzare, prima di prenderli.

Risultati importanti derivanti dall’uso della LIS erano stati osservati anche per quanto riguarda le sue abilità di interazione sociale. In autonomia o sotto invito verbale infatti chiedeva SCUSA se per caso si comportava male con i suoi compagni, e quando invece prendeva in prestito qualcosa aveva imparato a ringraziare sempre. L’insegnamento dei segni al resto della classe fu altrettanto utile a E. per sviluppare in lei l’idea che l’acquisizione della LIS potesse servirle per comunicare efficacemente con gli altri, attraverso una lingua vera e comprensibile.

Effetti positivi vennero riscontrati anche nel miglioramento delle sue capacità cognitive: la bambina infatti aveva acquisito i segni per la dattilologia e i numeri da 0 a 10, imparando ad interiorizzare maggiormente il concetto di quantità. La bambina non mostrava però ancora di aver sviluppato abilità sintattiche, e il suo segnato si limitava alla produzione di frasi dotate di due elementi al massimo; la tendenza era però quella di produrre singoli segni in isolamento.

I segni vennero semplificati nella loro esecuzione, a causa delle difficoltà motorie di E. soprattutto nella realizzazione del parametro della configurazione. Per quanto riguarda luogo, orientamento e movimento, invece, le sue produzioni erano quasi sempre compatibili con la forma citazionale. Per rendere comprensibile a tutti la LIS di E. venne quindi realizzato anche un dizionario personalizzato, costituito da quattro colonne per ogni segno appreso dalla bambina: una dedicata alla parola in italiano, la seconda all’immagine della parola, la terza al segno in LIS e l’ultima con l’immagine della produzione di E. del segno67.

Questo caso rappresenta quindi un esempio a favore dell’insegnamento della LIS a bambini come E., per i quali molto spesso risulta difficile o quasi impossibile comunicare bisogni e desideri in modo efficace nella lingua orale/vocale. I progressi di

67 Per approfondimenti riguardanti i segni appresi v. La lingua dei segni nelle disabilità comunicative

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E. consentono quindi di fornire tesi a sostegno dell’importanza di offrire modalità di comunicazione alternative. In questo caso i segni si sono dimostrati in grado di apportare dei vantaggi, anche grazie alle buone capacità di memoria visiva che E. sembrava dimostrare; apprendendo e riproducendo una discreta quantità di segni, nonostante le difficoltà motorie causate dalla sua patologia.