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LINGUA DEI SEGNI E DISABILITÀ COMUNICATIVE

3.7 Lingua dei segni e sindrome di Down

3.7.1 I segni come forma di CAA

Iacono, Mirenda e Beukelman (1993) e Iacono e Duncum (1995) presentarono evidenze positive derivanti dall’uso dei segni, sia da soli che in combinazione con altre forme di CAA. La lingua dei segni viene inoltre indicata come forma primaria di CAA per i soggetti con sindrome di Down (Kumin, 2003). La facilitazione apportata dall’uso dei segni è da ricondurre non solo alla modalità visivo-gestuale ma anche alla loro abilità gestuale, più elevata rispetto alle loro capacità di comprensione e di produzione (Capone & McGregor, 2004). Anche in questi bambini quindi l’uso di una comunicazione alternativa che consenta loro di potersi esprimere, soprattutto se inserita tempestivamente nei programmi riabilitativi, risulta di fondamentale importanza. Inoltre le evidenze a favore dell’uso della lingua dei segni sono numerose e smentiscono la tradizionale erronea convinzione che la lingua dei segni inibisca lo sviluppo della lingua orale (Foreman & Crews, 1998).

Evidenze a supporto dell’uso dei segni giungono inizialmente da un piccolo gruppo di studiosi ma più recentemente il numero è andato via via aumentando, comprendendo non più l’osservazione di casi singoli ma anche gruppi sperimentali.

Tra i primi ritroviamo Le Provost (1983) e Kouri (1989) i quali presentarono dei casi di studio sottolineando il potenziale derivante dall’insegnamento dei segni a bambini piccoli con sindrome di Down. Remington & Clarke (1996) invece sostenevano come i

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segni fossero in grado non solo di sostituire (sia in modo temporaneo che permanente) la lingua orale, ma aiutassero anche alla riduzione dei comportamenti problematici e della frustrazione derivanti dai deficit comunicativi.

Numerosi studi furono condotti anche da Miller (1992) e Launonen (1996). Entrambi raccolsero dati a favore della lingua dei segni, sostenendo come essa avesse consentito generali effetti positivi sia sul linguaggio che su altri aspetti dello sviluppo.

Miller (1992) osservò 44 bambini con sindrome di Down (sottoposti a interventi riabilitativi che prevedevano l’uso dei segni) e 46 bambini a sviluppo normotipico, con un’età mentale compresa tra gli 11 e i 27 mesi. Per quanto riguarda la fascia dagli 11 ai 17 mesi, osservò come il gruppo con sindrome di Down possedesse un vocabolario maggiore (segnico e vocale) rispetto a quello del secondo gruppo normotipico (solo vocale). Dai 17 mesi invece il vocabolario dei bambini con sindrome di Down arrivava a contenere un numero decisamente maggiore di segni, ma giunti poi ai 26 mesi si verificava una rapida accelerazione nel vocabolario parlato, e il numero di segni diminuiva gradualmente.

Dall’analisi di questi risultati Miller considera quindi i segni in grado di consentire vantaggi significativi per questi soggetti, soprattutto nelle prime fasi di sviluppo linguistico in quanto si erano rivelati un mezzo di comunicazione molto importante in grado di favorire lo sviluppo della lingua orale.

Gli stessi Kouri (1989) e Remington & Clarke (1996) osservarono effetti positivi per quanto riguarda il miglioramento nella comprensibilità dell’eloquio e lo sviluppo della lingua orale; sostenendo anch’essi come l’uso dei segni potesse essere abbandonato gradualmente e sostituito dalla modalità vocale grazie ai risultati ottenuti (allo stesso modo di Abrahamson, Cavallo & McCluer, 1985; Weller & Mahoney, 1983).

Gli stessi risultati vennero raccolti in un altro lavoro realizzato da Caselli, Vicari, Longobardi, Lami, Pizzoli e Stella (1998), nel quale vennero analizzate le produzioni di bambini con sindrome di Down, sottoposti ad un’esposizione simultanea (segni e vocale). Le osservazioni riscontrarono la presenza di tre diverse tipologie di stadi di acquisizione e sviluppo linguistico: nel primo periodo i bambini utilizzavano maggiormente i segni rispetto alle parole; mentre nel secondo il numero di parole e segni prodotti coincideva. Nel terzo e ultimo stadio invece il numero di parole aumentava significativamente rispetto alla quantità di segni in produzione, i quali gradualmente venivano sostituiti dalla lingua orale.

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Un’esposizione precoce all’uso dei segni in bambini con sindrome di Down presenta dunque numerosi vantaggi apportando progressi allo loro abilità comunicative (Clibbens et al., 2002). Ulteriori dati a proposito, vengono riscontrati nello studio di Launonen (1996). La ricercatrice finlandese prese in osservazione due gruppi, dai 6 mesi ai 3;0 anni di età.

Il primo era un gruppo sperimentale composto da 12 bambini con sindrome di Down, sottoposto a un intervento riabilitativo comprendente l’uso di segni e gesti convenzionali, mentre il secondo (il gruppo di controllo) era composto sempre da 12 soggetti con sindrome di Down ma non inseriti nello stesso programma di intervento linguistico (Non-intervention group). Giunti alla fine del trattamento i risulti raccolti erano in media decisamente a favore per il gruppo sperimentale (Intervention group): il vocabolario acquisito rispetto al gruppo di controllo era più ampio e lo stesso venne riscontrato in analisi successive, effettuate ai 5;0 anni di età (anagrafica). Il gruppo sperimentale infatti anche in questo caso dimostrava abilità maggiori su più fronti; non solo quindi dal punto di vista linguistico ma anche per quanto riguarda le capacità di interazione sociale, di autonomia personale, oltre a quelle cognitive e motorie.

Anche in un follow-up successivo, registrato all’età di 8;0 anni (quindi a distanza di 5 anni dalla fine dell’intervento) la differenza di risultati ottenuti dai due gruppi fu significativamente differente sia per quanto riguarda le competenze linguistiche che sociali (Launonen, 1998). La maggior parte dei soggetti appartenenti al gruppo sperimentale infatti possedeva abilità maggiori sia dal punto di vista linguistico (in comprensione, lettura e scrittura) ma anche per quanto riguarda le competenze sociali. Otto soggetti del gruppo sperimentale e cinque del gruppo di controllo erano in grado di utilizzare la lingua orale come mezzo principale di comunicazione; 2 bambini del gruppo sperimentale utilizzavano invece solamente i segni e uno comunicava tramite una combinazione di segni e modalità vocale. Del gruppo di controllo inoltre 5 soggetti dimostrarono di non aver sviluppato capacità espressive, mentre per quanto riguarda l’Intervention group questo si verificò solamente in un caso.

I risultati anche in questo caso dimostrano quindi prove a favore dei benefici che la lingua dei segni è in grado di offrire allo sviluppo linguistico, se inserita precocemente nei programmi riabilitativi. Alcune osservazioni di Launonen (1996) indicano inoltre come l’uso della lingua dei segni continui a dare benefici non solo ai bambini (che

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spesso li sostituiscono con la modalità vocale) ma anche agli adulti affetti da questa sindrome.

Inoltre, anche nel caso della sindrome di Down, come visto precedentemente per la sindrome dello Spettro Autistico, risultati migliori vengono riscontrati da un uso simultaneo di segni e modalità vocale (Kouri, 1989)

Risultati di questo tipo vengono riportati anche dallo studio di Kay-Raining Bird et al. (2000) nel quale gli autori osservarono come bambini con sindrome di Down imitassero le parole più frequentemente nel caso in cui fossero accompagnate dal segno corrispondente; similmente a quanto riscontrato in studi precedenti (tra cui anche Foreman & Crews, 1998). Altri studi hanno dimostrato come in questi casi l’inserimento dei segni nella riabilitazione linguistica sia anche in grado di migliorare le abilità di attenzione congiunta. Essa è importante, in quanto rappresenta uno degli aspetti fondamentali dello sviluppo del linguaggio, ma risulta spesso deficitaria in questi soggetti (Clibbens, Powell & Atkinson, 2002).

Gli autori, presero spunto da un lavoro precedente (Harris, Clibbens, Chasin & Tibbitts, 1989) il quale analizzò le strategie messe in atto dalla mamme sorde per aiutare i bambini a convogliare la loro attenzione simultaneamente sia su segno realizzato che sul suo referente (ad esempio un gioco o un’attività). Le strategie includevano varie modalità, come ad esempio dislocare il segno nel campo visivo del bambino; o nel caso in cui per la realizzazione del segno fosse previsto il contatto corporeo del segnante, producendolo direttamente sul viso o sul corpo del bambino.

Indipendentemente dalla forma l’uso dei segni si rivelò efficace e contribuì ad incrementare lo sviluppo linguistico.

Le evidenze a favore degli effetti positivi che la lingua dei segni è in grado di favorire sullo sviluppo linguistico e comunicativo delle persone con Sindrome di Down risulta quindi sostanzioso ed in crescita (Clibbens, 2001).

Per quanto riguarda questa popolazione alcuni sostengono che l’utilizzo di un sistema di CAA grafico (e non segnico) potrebbe rivelarsi più appropriato, in quanto il livello cognitivo richiesto per la produzione dei segni risulta più elevato. Questo si verifica poiché produrre dei segni prevede l’uso di quella che viene definita recall memory. Quest’ultima infatti, a differenza della recognition memory (necessaria all’utilizzo di un sistema di simboli grafici) prevede che le informazioni vengano recuperate da eventi passati, a differenza della seconda, nella quale è necessario “semplicemente”

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riconoscere eventi, persone o oggetti (come in questo caso) viste precedentemente. (Clibbens, 2001).

Anche per quanto riguarda la sindrome di Down però le ragioni portate da Clibbens, Powell & Grove (1997) sono uguali a quelle che si possono riscontrare nel paragrafo precedente in riferimento all’uso della lingua dei segni nei casi di disabilità comunicative (v paragrafo 3.5). Secondo gli autori infatti i segni non necessitano di ulteriori ausili eccetto loro stessi; la comunicazione può avvenire in modo diretto inglobando al suo interno i normali modelli di contatto oculare e turni conversazionali presenti in una comunicazione; e la lingua dei segni deriva da un sistema linguistico naturale con regole grammaticali e una struttura sintattica che non sono limitate e che possono essere estese ed apprese a seconda delle caratteristiche individuali di ogni soggetto preso in carico.

Ciò non toglie che i segni possano essere usati (come spesso avviene) anche in combinazione con forme grafiche o altre modalità di CAA (Clibbens, 2001).