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SINDROME DELLO SPETTRO AUTISTICO

2.5 Applied Behavior Analysis (ABA)

2.5.5 Verbal Behavior (Skinner, 1957)

Si tratta di un’analisi concettuale del linguaggio nella quale Skinner osserva il linguaggio da un punto di vista funzionale più che strutturale, definendolo quindi sulla base della sua funzione. Comunicare diventa dunque un comportamento verbale che ha un effetto sull’ambiente circostante. L’individuo secondo Skinner possiede un repertorio verbale e nel suo comportamento (verbale) possono apparire varie risposte (risposta intesa come comportamento operante).

Quando si lavora con un bambino con sindrome dello spettro autistico uno degli obiettivi principali è quello di favorire la comunicazione, manipolando gli stimoli e l’ambiente circostante. Ogni “operante verbale” ha possibilità di essere emesso sulla base di specifiche condizioni antecedenti (variabili dipendenti). Queste condizioni vanno manipolate al fine di aumentare la possibilità che una data parola o segno (sulla base del percorso comunicativo terapeutico intrapreso), rinforzando l’eventuale emissione. Questo procedimento ha lo scopo di dimostrare al soggetto che il suo comportamento verbale (sia vocale che segnico) ha la capacità di produrre degli effetti (ad. es il proseguo di un’attività gradita, o l’ottenimento del cibo preferito, ecc.).

2.5.5.1 Gli operanti verbali

Una stessa parola o segno consente di ottenere effetti diversi sull’ambiente, a seconda della motivazione per la quale viene utilizzata. Possono dunque essere classificate 4 tipologie di operanti verbali.

Il Mand

Si tratta di un tipo di operante verbale tramite il quale il parlante richiede ciò che desidera o ciò di cui ha bisogno. Sono il primo operante verbale acquisito dai bambini e generalmente i soggetti con deficit di sviluppo tendono a produrre mands di tipo maladattivo, come urla, pianti, aggressività, ecc. Insegnare quindi forme alternative di comportamenti richiestivi (tramite immagini, segni, vocalmente, ecc.) spesso ha come effetto la riduzione dei comportamenti problematici. Poniamo ad esempio (v. Vicari et

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al., 2009:201) che un bambino con autismo non verbale improvvisamente inizi ad urlare, e che il genitore corra da lui chiedendogli qual è il problema, consegnandoli il biberon e “indovinando” qual era la causa scatenante del comportamento. In questa situazione il bambino avrà associato la produzione di urla all’arrivo dell’adulto, e tale associazione (ripetutasi probabilmente più volte) aumenterà le probabilità che il bambino in futuro ricorra a un comportamento problematico per ottenere quella stessa risposta.

Se invece l’adulto insegna al bambino come comunicare ad es. “latte” e consegna il biberon dando attenzione al bambino solo quando viene detta, o segnata tale richiesta, allora i comportamenti non adeguati inizieranno progressivamente a sparire.

Il primo mand ad essere insegnato è quello dell’indicazione. Successivamente, una volta generalizzata questa abilità, il compito dell’educatore è quello di stilare una lista delle cose altamente motivanti per il bambino. Questi fattori motivanti saranno quindi manipolati, ad esempio accendendo la musica e battendo le mani (v. Vicari et al., 2009: 202). Una volta catturato l’interesse del bambino l’educatore dovrà fornire un aiuto totale o parziale (vocale e segnico, o solamente vocale/segnico, ecc.) mettendo in pausa la musica e creando nel bambino il desiderio di poterla riavere e quindi richiederla in modo adeguato.

L’ Echoic

Si tratta di un operante verbale che compare quando viene ripetuto il comportamento di un altro parlante; in altre parole viene ripetuto quanto detto. Un repertorio ecoico è molto importante per insegnare il linguaggio ai bambini con deficit nell’area comunicativa e ha un ruolo fondamentale nel successivo insegnamento di abilità verbali più complesse (Sundberg e Partington, 1998). Imparare a imitare i fonemi è essenziale per l’identificazione e la denominazione di oggetti. Gli aiuti usati più comunemente sono ad esempio quelli di indicare la propria bocca per aiutare il bambino ad osservare il movimento, posizionare il proprio volto vicino a quello del bambino per farsi guardare o ad esempio portare i rinforzi all’altezza della propria bocca. Gli stimoli/rinforzi da utilizzare sono chiaramente quelli maggiormente graditi dal bambino, e questo consentirà una maggiore probabilità di successo nell’esecuzione del compito.

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Il Tact

Viene definito anche “denominazione” (o “etichettamento”) e tramite questo operante verbale il parlante denomina oggetti ed azioni. A livello evolutivo si presenta più complesso del mand, perché la motivazione che spinge alla denominazione è fortemente collegata alla motivazione alla comunicazione stessa. Come descritto prima le richieste risultano più facili in quanto permettono una soddisfazione immediata data dall’ottenimento di quanto chiesto; nel caso del tact invece l’obiettivo è quello di condividere l’attenzione su qualcosa, denominandolo. Quindi solo dopo che il bambino avrà costruito un ampio repertorio di richieste, sarà possibile procedere al tact.

L’Intraverbal

Questo tipo di operante verbale prevede che “il parlante dia una riposta diversa dal comportamento verbale dell’altro” (Cooper, Heron e Heward, 2007:531). Un esempio potrebbe essere la risposta “Una mela” fornita di conseguenza ad una domanda del tipo “Cos’hai mangiato stamattina?” e viene consolidato dal rifonzatore sociale del piacere dato dal conversasre con gli altri. Ciò che lo differenzia dal Mand è il riferimento a stimoli che non sono visibili, e ciò che lo distingue dall’Echoic è la differenza tra stimolo e risposta. Date le capacità di un soggetto con autismo con difficoltà comunicative di sostenere una conversazione l’insegnamento di questo operante verbale verrà affrontato solo dopo aver lavorato sugli elementi necessari (Vicari, Valeri e Fava, 2012:207).

Conclusioni

In questo capitolo sono stati presentati alcuni aspetti della sindrome dello Spettro Autistico, le classificazioni e i criteri diagnostici redatti dal DMS-V e dall’ICD-10, utilizzati a livello internazionale. La storia sulle ipotesi eziopatogenetiche della sindrome è complessa e ha inizio negli anni ’40 ad opera di Kanner.

Oggi la sindrome è riconosciuta come un disturbo neurocognitivo dello sviluppo, con insorgenza entro i 3 anni di età e un’eziologia multifattoriale in cui molteplici fattori di

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natura genetica interagiscono con fattori ambientali (Markram, Rinaldi e Markram, 2007; Moldin e Rubenstein, 2006).

Restano invece ancora da definire le relazioni che intercorrono tra i fattori emozionali/cognitivi e neurobiologici che caratterizzano la sindrome; i tre principali modelli teorici di riferimento sono attualmente la teoria del deficit nelle funzioni

esecutive, la teoria della debolezza di coerenza centrale e la teoria del deficit nella Teoria della Mente. Questo quadro sindromico è delineato da una serie di

caratteristiche, quali: un deficit nello sviluppo dell’intersoggettività sia primaria che secondaria; difficoltà in quelle che vengono definite “funzioni esecutive”; deficit nella “Teoria della Mente”; una comunicazione sia verbale che non verbale qualitativamente e quantitativamente danneggiata; difficoltà nel comprendere a livello “globale” gli stimoli; comportamenti ed interessi ripetitivi e stereotipati ed infine deficit nel cosiddetto “gioco simbolico”.

Uno degli obiettivi principali degli interventi terapeutici è promuovere lo sviluppo delle abilità comunicative e a tal proposito interviene quella che viene definita Comunicazione Aumentativa Alternativa, la quale può essere inserita all’interno di un vasto panorama di programmi terapeutici i quali si differenziano sulla base dei vari orientamenti teorici.

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CAPITOLO III