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Introduzione Il caso Contrada

Nel documento Il "concorso esterno" nei reati associativi (pagine 167-170)

6. Il “concorso esterno” nell’associazione di tipo mafioso innanzi alla Corte

6.1. Introduzione Il caso Contrada

La pronuncia resa dalla Corte Edu sul caso Contrada313 ha riportato recentemente l’attenzione sulla tanto discussa figura del “concorso esterno” nel reato associativo e merita un particolare approfondimento volto a individuare gli eventuali effetti sull’ordinamento interno, soprattutto per risolvere l’interrogativo finale sull’eventualità che la figura in esame, in quanto priva di un espresso fondamento normativo, si ponga in constasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, se non con la stessa Costituzione italiana.

Prima di procedere alla disamina del contenuto della pronuncia, è importante ricordare che probabilmente, trattandosi di una decisione isolata ed emessa da una sezione semplice, essa non avrebbe comunque una dignità tale da vincolare i giudici nazionali a un’interpretazione conforme secondo i canoni fissati dalla sentenza n. 49 del 2015 della Corte Costituzionale314.

312 V.M

AIELLO, Luci ed ombre nella cultura giudiziaria del concorso esterno, in Il concorso esterno tra indeterminatezza legislativa e tipizzazione giurisprudenziale, cit., p. 160.

313 Corte EDU, Sez. IV, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia, n. ric. 66655/13, cit..

314 Si riportano al riguardo i tratti salienti della sentenza della Corte Costituzionale del 14

gennaio 2015, n. 49, in www.cortecostituzionale.it: « Non sempre è di immediata evidenza se una certa interpretazione delle disposizioni della CEDU abbia maturato a Strasburgo un adeguato consolidamento, specie a fronte di pronunce destinate a risolvere casi del tutto

Il caso portato innanzi alla Corte europea vedeva l’imputato Bruno Contrada condannato con sentenza passata in giudicato per aver realizzato, in qualità dapprima di funzionario di polizia e quindi di capo di gabinetto dell’alto commissario per la lotta contro la mafia e direttore aggiunto dei servizi segreti civili, specifiche condotte di favoreggiamento a vantaggio di soggetti mafiosi, di agevolazione della latitanza di mafiosi e di comunicazione di informazioni confidenziali su programmate indagini di polizia giudiziaria a carico di appartenenti a Cosa Nostra315.

La questione su cui ha ritenuto di doversi soffermare la Corte di Strasburgo richiedeva di stabilire se all’epoca dei fatti ascritti al ricorrente (tra il 1979 e il

peculiari, e comunque formatesi con riguardo all’impatto prodotto dalla CEDU su ordinamenti giuridici differenti da quello italiano. Nonostante ciò, vi sono senza dubbio indici idonei ad orientare il giudice nazionale nel suo percorso di discernimento: la creatività del principio affermato, rispetto al solco tradizionale della giurisprudenza europea; gli eventuali punti di distinguo, o persino di contrasto, nei confronti di altre pronunce della Corte di Strasburgo; la ricorrenza di opinioni dissenzienti, specie se alimentate da robuste deduzioni; la circostanza che quanto deciso promana da una sezione semplice, e non ha ricevuto l’avallo della Grande Camera; il dubbio che, nel caso di specie, il giudice europeo non sia stato posto in condizione di apprezzare i tratti peculiari dell’ordinamento giuridico nazionale, estendendovi criteri di giudizio elaborati nei confronti di altri Stati aderenti che, alla luce di quei tratti, si mostrano invece poco confacenti al caso italiano.

Quando tutti, o alcuni di questi indizi si manifestano, secondo un giudizio che non può prescindere dalle peculiarità di ogni singola vicenda, non vi è alcuna ragione che obblighi il giudice comune a condividere la linea interpretativa adottata dalla Corte EDU per decidere una peculiare controversia, sempre che non si tratti di una “sentenza pilota” in senso stretto.

Solo nel caso in cui si trovi in presenza di un “diritto consolidato” o di una “sentenza pilota”, il giudice italiano sarà vincolato a recepire la norma individuata a Strasburgo, adeguando ad essa il suo criterio di giudizio per superare eventuali contrasti rispetto ad una legge interna, anzitutto per mezzo di «ogni strumento ermeneutico a sua disposizione», ovvero, se ciò non fosse possibile, ricorrendo all’incidente di legittimità costituzionale (sentenza n. 80 del 2011). Quest’ultimo assumerà di conseguenza, e in linea di massima, quale norma interposta il risultato oramai stabilizzatosi della giurisprudenza europea, dalla quale questa Corte ha infatti ripetutamente affermato di non poter «prescindere» (ex plurimis, sentenza n. 303 del 2011), salva l’eventualità eccezionale di una verifica negativa circa la conformità di essa, e dunque della legge di adattamento, alla Costituzione (ex plurimis, sentenza n. 264 del 2012), di stretta competenza di questa Corte.

Mentre, nel caso in cui sia il giudice comune ad interrogarsi sulla compatibilità della norma convenzionale con la Costituzione, va da sé che questo solo dubbio, in assenza di un “diritto consolidato”, è sufficiente per escludere quella stessa norma dai potenziali contenuti assegnabili in via ermeneutica alla disposizione della CEDU, così prevenendo, con interpretazione costituzionalmente orientata, la proposizione della questione di legittimità costituzionale. ».

315 Cass. pen., Sez. VI, 10 maggio 2007, n. 54208, in C.E.D. Cass., n. 2382413. I giudici di

merito avevano individuato in particolare nove episodi, dall’agevolazione dell’allontanamento dall’Italia del mafioso John Gambino nell’ottobre del 1979 all’intimidazione della singora Ziino nel febbraio 1988.

1988) la legge applicabile definisse precisamente il reato di “concorso esterno” in associazione di tipo mafioso.

Sin da subito emerge dunque che la pronuncia non abbia in alcun modo messo in discussione l’istituto del concorso esterno nel reato associativo, ponendosi piuttosto la questione della conformità ai principi convenzionali di una condanna per fatti svoltisi in un’epoca in cui ancora non erano ancora stati delineati dalle Sezioni Unite i tratti essenziali della figura.

È la Corte stessa che ha modo di sottolineare come non sia oggetto di contestazione l’origine giurisprudenziale del concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Del resto, nel sistema fatto proprio dalla Corte di Strasburgo non vige il principio iura novit curia, e si rimette al principio dispositivo la ricostruzione del quadro normativo e dei relativi orientamenti giurisprudenziali rilevanti.

Dopo aver ribadito il ruolo fondamentale dell’art. 7 Cedu nel sistema di protezione imposto dalla Convenzione, la Corte europea ricorda che il principio di legalità dei diritti e delle pene, oltre a vietare l’applicazione analogica in malam partem, vieta di estendere il campo di applicazione dei reati esistenti a fatti che in precedenza non costituivano reato. La legge deve definire chiaramente i reati e le pene, e simile requisito può ritenersi soddisfatto solamente se la persona sottoposta a giudizio sia posta in condizione di conoscere previamente gli atti e le omissioni da cui derivi una sua penale responsabilità nonché la pena comminata a fronte della commissione dii un fatto penalmente rilevante316.

Alla Corte spetta dunque verificare se, nel momento in cui l’imputato ha commesso il fatto, esistesse una disposizione di legge che rendeva l’atto punibile, e quindi se vi sia una base legale per infliggere la pena.

Da un’analisi della giurisprudenza fornita dalle parti risultava che il reato di “concorso esterno” in associazione di tipo mafioso avvesse fatto la sua prima comparsa verso la fine degli anni ottanta, ma è solo con la sentenza Demitry che si è finalmente ammessa in maniera esplicita l’esistenza del reato di concorso

316 Sulla nozione europea di legalità, vedi per tutti V. Z

AGREBELSKY, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il principio di legalità in materia penale, in A.AV.V., La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento penale italiano, a cura di V.MANES –V.ZAGREBELSKY, Giuffré, 2011, pp. 69 e ss..

esterno in associazione mafiosa, con una compiuta ricostruzione degli elementi strutturali del reato317.

All’epoca dei fatti ascritti il reato non era invece sufficientemente chiaro e prevedibile da parte del ricorrente, che non era posto in condizione di conoscere le conseguenze penali derivanti dalla sua condotta. La Corte ha pertanto concluso per la violazione dell’art. 7 Cedu, rilevando che la fattispecie di concorso esterno in associazione mafiosa non era sufficientemente chiara e prevedibile dal ricorrente negli anni in cui erano stati commessi i fatti a lui addebitati.

Le statuizioni apparentemente dirompenti della sentenza Contrada non hanno tardato a farsi sentire nell’ordinamento interno, ove si sono prestate alle più disparate letture anche nelle decisioni giurisprudenziali alternatesi nel periodo immediatamente successivo. Un’analisi di quelle pronunce che hanno tentato di fornire un’intepretazione del principio affermato dalla Corte europea contribuisce a fornire un’idea del dibattito sul quale si torna oggi a discutere318.

6.2. Due interpretazioni antitetiche fornite dalla giurisprudenza in

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