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Il tempus commissi delicti del concorso eventuale nel reato associativo

Nel documento Il "concorso esterno" nei reati associativi (pagine 136-142)

5. Altre pronunce sulle condotte dei professionisti appartenenti alla c.d borghesia

1.5. Il tempus commissi delicti del concorso eventuale nel reato associativo

In alcune recenti pronunce della Suprema Corte248, una delle quali ha suscitato maggiore interesse per la particolare esposizione pubblica dell’imputato coinvolto, si intravede il tentativo di introdurre un ulteriore requisito di struttura del concorso eventuale nel reato associativo. Il principio affermato è il seguente: il concorso esterno in associazione per delinquere oppure in quella specificamente mafiosa si atteggia, al pari della partecipazione, di regola, come reato permanente.

Le caratteristiche del reato permanente si ravvisano, a parere della Corte, nella condotta di chi favorisca un accordo, avente a oggetto la promessa dell’aiuto elettorale da parte del capo di una consorteria mafiosa e la corrispondente promessa da parte del candidato di sdebitarsi assumendo specifiche iniziative legislative o amministrative di sua competenza, accordo che assurge esso stesso a momento consumativo del reato se dotato di tutti i requisiti per risultare capace di ingenerare negli appartenenti al sodalizio gli effetti di conservazione e rafforzamento del sodalizio criminoso.

« […] l’accordo serio e affidabile relativo alla protezione da attentati, assicurata a chi è costretto da necessità effettive a pagare cifre assai rilevanti per tale servizio, da parte di Cosa Nostra, costituisce, esso stesso – per chi se ne fa promotore, da un lato, anche, del sodalizio profittatore – un evento capace di contribuire all’avvio della compressione del bene tutelato dalla norma contestata, ossia l’ordine pubblico, che è vulnerato per il solo fatto che un’associazione mafiosa sia posta in condizioni di estendere ed estenda la propria area di illeciti affari sul territorio, anche sostituendosi ai poteri istituzionali, nella garanzia della difesa dei beni fondamentali di taluni cittadini

248 Cass. pen., Sez. VI, 10 maggio 2007, n. 542, Contrada, in C.E.D. Cass., n. 238241-3;

Cass. pen., Sez. V, 11 dicembre 2009, n. 4123, in Guida dir., 2010, 10, 94; Cass. pen., Sez. V, 9 marzo 2012, n. 15727, Dell’Utri, in Foro it., 2012, II, 333, con nota di G.SILVESTRI, Punti fermi in tema di concorso esterno in associazione di stampo mafioso; Cass. pen., Sez. V, 5 giugno 2013, n. 35100, in C.E.D. Cass., n. 255769, nella quale si precisa che il concorrente può far cessare la permanenza desistendo dal continuare a prestare il proprio apporto alla vita dell’associazione.

»249. Fintantochè il concorrente esterno protragga volontariamente la esecuzione dell’accordo che egli ha propiziato, di cui si fa garante, si manifesta il carattere permanente del reato. La condotta si esaurisce con il compimento delle attività concrete, sicché se il reato può dirsi iniziato con la realizzazione dell’accordo tra mafia e imprenditore, è destinato a cessare solo quando siano cessati i comportamenti tenuti dall’agente in esecuzione dell’accordo stesso.

Sembra quasi che la Corte di legittimità voglia estendere la natura permanente della fattispecie incriminatrice sui cui si innesta l’art. 110 c.p. al concorso eventuale, come se il reato associativo propagasse la sua natura giuridica al fenomeno concorsuale, segnando una sorta di inversione di rotta rispetto a tutta quella elaborazione giurisprudenziale che ha ricostruito i termini del “concorso esterno” contrapponendolo costantemente alla condotta partecipativa.

Non potrebbe d’altronde sicuramente dubitarsi che il fenomeno della criminalità organizzata si connoti per le sue caratteristiche di durata, per cui l’unione di più persone si protrae in maniera stabile per un periodo di tempo durevole ed indefinito. L’ampiezza del programma criminoso, al pari della saldezza della struttura operativa, rendono ben difficile stabilire dettagliatamente quando si consuma il reato associativo, e ancor più ardua si rivela l’individuazione del momento in cui possa dirsi cessata l’appartenenza dell’associato al sodalizio criminoso.

In linea di principio, per quanto attiene alla struttura organizzativa, la permanenza si considera protratta fino allo scioglimento dell’associazione o fino alla riduzione degli associati in un numero inferiore rispetto a quello richiesto per integrare la fattispecie incriminatrice. La condotta del partecipe si esaurisce invece con la rescissione definitiva dal vincolo associativo.

La situazione diviene più complessa a fronte di associazioni di stampo mafioso che si presentano con strutture articolare e ramificate in più famiglie, con forme di affiliazione rituale dagli effetti permanenti in cui sembra che la qualifica di “uomo d’onore” perduri per tutto l’arco della vita dell’associato. Perché la condotta possa considerarsi cessata, non sarà sufficiente che siano

sospese o esaurite le attività offerte al gruppo criminoso in un determinato momento storico, residuando l’eventualità che il soggetto si riattivi a favore dell’associazione in qualunque momento dovesse essere richiamato dagli altri affiliati.

La peculiarità delle associazioni di tipo mafioso ha persino indotto la giurisprudenza a escludere l’interruzione della permanenza anche nel caso di arresto del partecipe 250 , postulando una permanenza tendenzialmente inestinguibile della condotta dell’associato. L’unica eccezione si avrebbe quando sia effettivamente accertata la dissociazione volontaria del partecipe attraverso la decisione di collaborare con la giustizia.

Come è stato opportunamente osservato, simile conclusione non si pone in contrasto con una supposta violazione del principio del ne bis in idem, laddove successivamente alla condanna l’affiliato continui ad apportare contributi all’associazione criminosa, poiché quanto avviene in un momento successivo non potrà considerarsi il medesimo fatto oggetto del processo, ma sarà un fatto diverso suscettibile di altro accertamento.

A tal proposito si parla di “un’interruzione giudiziaria della permanenza” che consente, con una fictio iuris, di scomporre l’unitarietà del reato permanente e quindi di conoscere e perseguire eventuali condotte successive e distinte dello stesso soggetto, pur se riconducibili entro la stessa fattispecie incriminatrice251.

La ricomposizione di quel “divario” creato dalla sentenza di condanna trova poi nel reato continuato la soluzione più adeguata a recuperare l’unitarietà del fenomeno criminoso, quando le condotte di partecipazione siano state tenute

250 Cass. pen., Sez. I, 23 novembre 2000, n. 12907, in Cass. pen., 2002, 1391, nega

l’idoneità dell’arresto a interrompere la permanenza, « […] atteso che in determinati contesti delinquenziali i periodi di detenzione sono accettati dai sodali come prevedibili eventualità le quali, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo ed alla programmazione delle sue attività e dall’altro, non fanno cessare la disponibilità a riassumere un ruolo attivo non appena venga meno il forzato impedimento ».

251 Anche la sentenza di assoluzione per una condotta di partecipazione ad associazione

mafiosa in relazione a un periodo di tempo già trascorso potrebbe offrire argomenti per l’accertamento di fatti storici che costituiscano gli antecedenti di una condotta diversa e successiva dello stesso genere. Senza intaccare il giudicato, la condotta potrà essere oggetto di un successivo accertamento solo per verificare un antecedente fattuale e stabilire se vi siano i presupposti per dichiarare la penale responsabilità rispetto all’eventuale protrarsi della condotta associativa.

in diversi periodi temporali, specie se vicini tra loro252. Se il consapevole ingresso del soggetto nell’associazione comporta un impegno che si protrae fino alla morte, non può escludersi che ogni segmento della sua condotta, seppure delimitato da una sentenza di condanna, rientri nell’originario programma crimininoso concepito nel momento in cui è entrato a far parte del sodalizio253.

Sulla base di queste premesse, l’attribuzione di una natura permanente anche al concorso eventuale nel reato associativo richiede brevi cenni ai requisiti caratterizzanti del reato permanente per poi vagliarne la compatibilità con la figura in questione. Dove ciò che occorre tenere presente è che la qualifica di reato permanente deve avere come punto di riferimento la sola fattispecie astratta di reato e non il concreto manifestarsi del fatto storico. Altrimenti, di innumerevoli fattispecie potrebbe affermarsi la natura di reato permanente.

La differenza tra reati istantanei e reati permanenti risiede in ciò, che nel primo caso la realizzazione del fatto tipico integra ed esaurisce l’offesa ed è impossibile che la lesione si protragga nel tempo, mentre nel secondo caso l’offesa perdura oltre il momento del perfezionamento della fattispecie astratta. Nei reati permanenti l’agente ha il potere non solo di instaurare la situazione lesiva e di mantenerla volontariamente, ma anche di rimuoverla determinando la riespansione dell’interesse giuridico tutelato254.

Applicato il modello in esame alla figura del concorso eventuale nel reato associativo, come correttamente ricostruita dalla Corte di legittimità riunita, viene meno ogni elemento a favore della natura permanente nel reato. Nel momento in cui il contributo, per potersi qualificare come penalmente rilevante, deve costituire secondo un criterio di accertamento ex post una condizione

252 L’applicabilità dell’art. 81 c.p. ai reati associativi ha sempre suscitato diversi aspetti

problematici. Per il contrasto in dottrina e in giurisprudenza sull’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 81 c.p. ai reati associativi, vedi M.GAMBARDELLA, In tema di continuazione tra reati associativi e delitti commessi in attuazione del programma, in Cass. pen., 1993, 2008. Per una recente analisi sui rapporti tra continuazione di reati ed elementi psichici di natura finalistica, si veda L. BRIZI, La coniugabilità della continuazione di reati e in particolare del “medesimo disegno criminoso” con lo “stato di tossicodipendenza”, in Cass. pen., 2015, 3594.

253 Contra, Cass. pen., 20 dicembre 1996, n. 10930, in C.E.D. Cass., n. 206539.

254 La dottrina dominante respinge la c.d. concezione bifasica del reato permanente,

secondo cui l’instaurazione della permanenza dovrebbe realizzarsi solo con un’azione, e la fase del mantenimento con un’omissione. Per un approfondimento sulla questione, si rinvia a F. COPPI, voce Reato permanente, in Dig. disc. pen., XI, 1996, 318.

necessaria della conservazione o del rafforzamento dell’associazione, tale da influire immediatamente ed effettivamente sulle capacità operative dell’ente, cade ogni motivo per escludere la natura istantanea del contributo.

Del resto, oltre a quell’assunto ormai pacifico secondo cui il concorrente esterno può esaurire la sua condotta criminosa con il compimento di un’unica prestazione occasionale, non vi è alcun appiglio normativo nella disciplina del concorso di persone nel reato che possa far discendere dalla natura del reato permanente su cui innesta l’art. 110 c.p., la natura anch’essa permanente del contributo atipico punibile alla stregua della nuova fattispecie plurisoggettiva eventuale che si viene a creare.

Non è un caso che le pronunce citate non si siano soffermate a valutare apertamente le diverse opzioni dogmatiche che potrebbero porsi alla base di una supposta natura necessariamente permanente del concorso eventuale nel reato associativo, preoccupandosi piuttosto di specifiche ipotesi di concorso nelle quali il contributo non si esaurisce in una sola condotta a carattere occasionale, ma comprende più operazioni svoltesi in un lungo arco temporale.

Siffatto modo di procedere evoca quel recente orientamento pretorio e dottrinale che anche in altri settori si avvale di un concetto di reato eventualmente permanente a fronte di situazioni in cui l’offesa sembra protrarsi per una certa durata senza che la permanenza sia requisito della fattispecie incriminatrice, e che nasce evidentemente dall’esigenza pratica di evitare gli effetti estintivi della disciplina della prescrizione255.

255 Più specificamente la questione si intreccia con quella dei reati a doppio schema,

categoria elaborata originariamente in relazione ai reati di corruzione e di usura, talvolta indicati anche come “reati eventulamente permanenti”: questi ultimi, tuttavia, si differenziano dai reati “a consumazione prolungata” e dai “reati progressivi”, in quanto nei primi la condotta tipica resta la medesima e si caratterizza per la possibilità di essere continuativametne prolungata nell’arco del tempo, mentre nei secondi le condotte tipiche sono distinte ed alternativamente descritte. La categoria dei c.d. reati a consumazione prolungata è stata invece utilizzata dalla giurisprudenza in particolar modo per evitare gli effetti della prescrizione nei processi sul caso Tangentopoli in relazione al reato di corruzione e per il reato di usura, che ha visto però un intervento del legislatore diretto a disciplinare espressamente gli effetti della prescrizione, per farla decorrere dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale. È chiaro che lo schema del reato a consumazione prolungata contrasta con la definizione normativa per cui la consumazione si ha quando è perfetto lo schema legale. Sulla questione vedi la pronuncia di Cass. pen., Sez. Un., 25 febbraio 2010, n. 15208, Mills, in C.E.D. Cass., n. 246581.

Lo schema del reato permanente è stato infine oggetto di un nuovo intervento della Corte di Cassazione nel caso Eternit, in relazione alla fattispecie di disastro ambientale. Si è in

Tralasciando questioni che travalicherebbero i confini del presente contributo, basti una considerazione che da sola dovrebbe portare a riflettere: se davvero il concorso nel reato associativo dovesse avere una natura permanente, verrebbe meno ogni ragione per distinguere tra soggetti che apportano un contributo all’associazione criminosa dall’esterno e soggetti che assumono la qualifica di veri e propri partecipi256.

Giova infine riportare l’opinione di chi ricostruisce la natura di reato permanente del concorso nel reato associativo sulla base di motivazioni diverse rispetto a quelle sottese alle pronunce predette257. La permanenza in questa prospettiva non deriva dalla reiterazione dei singoli contributi forniti all’associazione criminosa, ma costituisce lo sviluppo del patto collaborativo stipulato con quest’ultima, nell’ambito del quale il soggetto si impegna a porsi a sua disposizione per soddisfarne le richieste strumentali al perseguimento delle finalità perseguite.

A prescindere dalle perplessità nascenti da una ricostruzione del concorso criminoso in chiave strumentale e non causale, il richiamo alla messa a disposizione a favore del sodalizio non solo connota più propriamente la condotta di partecipazione al sodalizio, ma neanche costituisce un elemento di fattispecie, rilevando al contrario quale risultato dell’accertamento probatorio in ordine all’inserimento del soggetto nella struttura organizzativa dell’associazione258.

Individuare nella messa a disposizione il requisito caratterizzante del concorso nel reato associativo si porrebbe dunque in contrasto con il tentativo di

particolare esclusa la natura permanente del reato, rilevando che sono solo gli effetti ad essere permanenti: in un reato istantaneo, quale il disastro c.d. innominato, può aversi una scissione tra perfezione e consumazione del reato, la quale ultima non può considerarsi protratta oltre il momento in cui ebbero fine le immissioni delle polveri e dei residui della lavorazione dell’amianto prodotti dagli stabilimenti. È in definitiva dalla chiusura degli stabilimenti, con la cessazione della emissione di polveri, che inizia a decorrere il termine di prescrizione del reato. Vedi sul punto Cass. pen., Sez. I, 19 novembre 2014, n. 7941, in www.penalecontemporaneo.it, 24 febbraio 2015, con nota di S. ZIRULIA, Eternit, il disastro è prescritto. Le motivazioni della Cassazione.

256 G.F

IANDACA, Questioni ancora aperte in tema di concorso esterno, cit., 528.

257 G.DE FRANCESCO, Il concorso esterno nell’associazione mafiosa torna alla ribalta del sindacato

di legittimità, in Cass. pen., 2012, 2552.

258 V.M

AIELLO, Sul preteso carattere permanente del “concorso esterno”, in Il concorso esterno tra indeterminatezza legislativa e tipizzazione giurisprudenziale, cit., pp. 181-182.

ricostruire una disciplina che faccia salvi i principi di determinatezza e offensività del reato.

2. Il dolo del concorrente eventuale, tra consapevolezza e volontà di

Nel documento Il "concorso esterno" nei reati associativi (pagine 136-142)

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