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I rapporti tra concorso eventuale nel reato associativo e favoreggiamento

Nel documento Il "concorso esterno" nei reati associativi (pagine 146-150)

La lunga elaborazione che ha visto al suo centro la figura del concorso eventuale nel reato associativo ha avuto come costante termine di confronto il delitto di favoreggiamento personale di cui all’art. 378 c.p., richiamato anche

dei metodi e dei fini della stessa (a prescindere dalla condivisione, avversione, disinteresse o indifferenza per siffatti metodi e fini, che lo muovono nel foro interno) e si renda compiutamente conto dell’efficacia causale della sua attività di sostegno, vantaggiosa per la conservazione o il rafforzamento dell’associazione ». Si pone pertanto l’accento sul momento rappresentativo del dolo dell’extraneus, richiedendo in capo a questi tanto la consapevolezza dell’efficacia causale del suo contributo quanto la consapevolezza degli scopi e dei metodi propri del sodalizio criminale, senza però richiedere la condivisione degli scopi e metodi, ben potendo nel proprio foro interno provare avversione o indifferenza rispetto al programma criminoso.

271 Contra, più di recente, Cass. pen., Sez. II, 13 aprile 2016, n. 18132, in Dejure, secondo

cui: « Ai fini della sussistenza del dolo diretto del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa occorre che l’agente, pur sprovvisto dell’affectio societatis e cioè della volontà di fare parte dell’associazione, sia consapevole dei metodi e dei fini della stessa, rendendosi conto dell’efficacia causale della sua attività di sostegno per la conservazione o il rafforzamento della struttura organizzativa, all’interno della quale i membri effettivi devono poter contare sull’apporto vantaggioso del concorrente esterno. A tal fine è sufficiente che l’agente abbia previsto, accettato e perseguito il suddetto risultato non solo come possibile o probabile, bensì certo o comunque altamente probabile della propria condotta. Nella valutazione degli indizi della sussistenza del dolo, si deve tener conto anche delle massime d’esperienza desumibili, ad esempio: a) dai rapporti che, in concreto, l’indagato abbia intrattenuto con i membri del sodalizio criminoso a fini elettorali; b) dalla conoscenza che egli aveva del ruolo che i suddetti membri ricoprivano nell’ambito della cosca; c) della natura (sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo) della sua attività ove, in concreto, abbia favorito i singoli sodali o la cosca ».

insieme ad altre fattispecie, tra cui il reato di assistenza agli associati, quali forme di “contiguità” tipizzate dal legislatore e idonee nel loro insieme a dimostrare la volontà del legislatore di non punire altre forme di sostegno alle associazioni criminali al di fuori di quelle espressamente previste dalla legge. La disposizione assume un ruolo fondamentale nella materia anche in un’altra prospettiva, giacché aiuta a comprendere quali siano i requisiti che deve possere una determinata condotta per poterla ritenere punibile a titolo di concorso nel reato associativo.

L’art. 378 c.p. ha come specifica ratio quella di evitare ostacoli o intralci all’attività diretta all’accertamento e alla repressione dei reati, punendo tutte quelle condotte riconducibili a una forma di “aiuto” ad eludere le investigazioni e a sottrarsi alle ricerche, prevedendo al secondo comma una circostanza aggravante quando il delitto commesso sia quello previsto dall’art. 416bis c.p..

Poiché la disposizione non specifica in che forma debba presentarsi il sostegno fornito dall’agente, l’art. 378 c.p. viene solitamente considerato un reato a forma libera, dove ciò che rileva è che la condotta sia idonea a intralciare il normale corso della giustizia. L’assenza di una condotta ben delineata dalla fattispecie incriminatrice ha pertanto determinato un’espansione quasi incontrollata dell’incriminazione per favoreggiamento al fine di garantire una maggiore tutela dell’attività giudiziaria, specie per reprimere il terrorismo politico e la criminalità organizzata, con un’opera ermeneutica che richiama da lontano quanto è avvenuto per il concorso nel reato associativo.

Emblematica al riguardo è la pronuncia delle Sezioni Unite272 che ha definitivamente ammesso la configurabilità di un favoreggiamento in forma omissiva, quasi obliterando la circostanza che, dovendosi passare per la clausola generale dell’art. 40, comma 2, c.p., non solo risulti problematico individuare nella fattispecie in questione un evento in senso naturalistico, ma occorra pur

272 Cass. pen., Sez. Un., 22 febbraio 2007, n. 21832, in C.E.D. Cass., n. 236371, ha statuito

che il reato di favoreggiamento personale può essere realizzato con ogni condotta, anche omissiva, come il silenzio, la reticenza, o il rifiuto di fornire notizie all’autorità giudiziaria, che si traduca consapevolmente in un aiuto al terzo per sottrarsi agli accertamenti degli inquirenti.

sempre individuare un obbligo di garanzia avente a oggetto l’impedimento dell’intralcio delle indagini273.

Per quanto interessa in questa sede, è opportuno premettere che la questione dei rapporti tra favoreggiamento personale e concorso eventuale si sia posta in ragione del largo utilizzo che la giurisprudenza ha fatto dell’incriminazione ex art. 378 c.p. nel campo della politica criminale per fronteggiare nel modo più efficace possibile il fenomeno della criminalità organizzata. Numerosi sono, ad esempio, i procedimenti penali a carico difensori di esponenti di gruppi criminali per il delitto di favoreggiamento personale dei loro assistiti274. Come si è visto, l’avvocato è una figura professionale che spesso rientra in quella categoria di difficile inquadramento della “borghesia mafiosa” che intrattiene rapporti con le associazioni di stampo mafioso, potendo dunque la sua condotta rilevare finanche come partecipazione all’associazione275.

Si comprende a questo punto per quale motivo sia importante aver chiari i rapporti tra reati associativi, concorso di persone, e fattispecie di favoreggiamento per stabilire a quale ipotesi astratta di reato possa ricondursi una condotta di “vicinanza” al fenomeno associativo.

Premessa indispensabile è l’inciso “fuori dei casi di concorso” presente nel primo comma dell’art. 378 c.p., chiaro nello stabilire che il favoreggiatore non debba essere in alcun modo coinvolto nella realizzazione del reato, risultando altrimenti concorrente nel delitto chiunque appresti un qualsiasi contributo alla realizzazione di un fatto collettivo.

Dall’art. 378 c.p. emerge poi che la condotta penalmente rilevante debba essere proiettata a fornire un ausilio a un persona bene determinata, sicché la

273 In tal senso, G.F

IANDACA –E.MUSCO, Diritto penale, Parte speciale, Vol. I, cit., p. 404.

274 La questione del discrimen tra difesa tecnica legittimamente esercitata e

favoreggiamento si rivela particolarmente difficoltosa per il contenuto tipicamente intellettuale della professione svolta dal difensore nel fornire consigli che facilmente potrebbero sfociare in informazioni delle quali il cliente dovrebbe rimanere all’oscuro. Sui rapporti tra difesa tecnica e favoreggiamento, vedi ampiamente P.CORSO, Difesa tecnica e favoreggiamento, in Ind. pen., 1982, 21. Per la giurisprudenza vedi Cass. pen., Sez. VI, 29 marzo 2000, n. 7913, in Cass. pen., 2001, 1791; Cass. pen., Sez. VI, 5 aprile 2007, in C.E.D. Cass., n. 238034; Cass. pen., Sez. VI, 18 maggio 2010, in C.E.D. Cass., n. 247349.

distinzione tra concorso eventuale e favoreggiamento non può che essere fondata sul diverso termine della relazione causale.

Nel primo caso, l’aiuto sarà fornito all’associazione nel suo complesso, tanto da determinarne una conservazione o un rafforzamento; nel secondo caso, l’aiuto è prestato al singolo associato, poiché il favoreggiamento è un delitto caratterizzato nella sua tipicità dalla consapevolezza a volontà di aiutare taluno a eludere le investigazioni dell’autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa, ovvero ad assicurarsi il prodotto o il profitto del reato, senza che il soggetto agente contribuisca con il suo comportamento all’esistenza dell’associazione criminosa nel suo complesso276.

Insomma il favoreggiatore non solo si disinteressa completamente della struttura criminosa, ma ancor prima con il suo apporto non va minimamente a influirvi in termini causali. Non può pertanto considerarsi mero favoreggiatore il soggetto che, estraneo all’associazione, faccia da “corriere” tra un latitante e altri membri del sodalizio criminoso, mediante la consegna di messaggi inerenti alle attività delittuose del gruppo, potendosi piuttosto ricondurre la sua condotta nella fattispecie di concorso nel reato associativo per l’efficacia causale che ne deriva in termini di conservazione o rafforzamento dell’associazione277.

Da quanto esposto si può ricavare in conclusione che qualora il contributo sia diretto nei confronti del singolo associato, esso realizzerà l’ipotesi del favoreggiamento. Quando invece sia causalmente diretto a determinare una conservazione o un rafforzamento dell’organizzazione criminosa darà vita a un concorso eventuale nel reato associativo, se non a una vera e propria partecipazione all’associazione criminosa nel caso in cui il soggetto sia stabilmente inserito nella struttura organizzativa con la consapevolezza e volontà di perseguirne il programma criminoso.

276 Cass. pen., Sez. I, 13 giugno 1987, n. 3492, in Cass. pen., 1988, 1812; Cass. pen., Sez. II,

17 settembre 2003, n. 40375, in Cass. pen., 2005, 1233; Cass. pen., Sez. V, 6 maggio 2008, n. 34597, in C.E.D. Cass., n. 241929.

4. Confutazione delle teorie elaborate dalla dottrina per individuare i

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