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Da una nozione allargata a una nozione di condotta associativa

3. Il lungo cammino del “concorso esterno” nel dibattito giurisprudenziale

3.3. Da una nozione allargata a una nozione di condotta associativa

reato.

Non sorprende, sulla base delle considerazioni precedenti, che l’istituto del “concorso esterno” nel reato associativo sia tornato al centro dei dibattiti in corrispondenza con il mutamento di prospettiva adottato dall’interpretazione ermeneutica, quando si è affacciata la consapevolezza dell’eccessivo allargamento delle maglie della nozione di associazione e, conseguentemente, della condotta partecipativa.

reato, in Riv it. dir. proc. pen., 1983, 1123. Per la giurisprudenza, vedi per tutti, Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2003, n. 45276, in C.E.D. Cass., n. 226101.

88 Anzi, potrebbe ipotizzarsi addirittura un trattamento più grave per il concorrente

esterno, poiché l’aggravante del numero delle persone di cui all’art. 112, n. 1, c.p. risulterebbe applicabile solamente all’ipotesi di concorso di persone (A.MANNA,L’ammissibilità di un c.d. concorso “esterno”, cit., p. 1195).

Il tentativo di ricondurre a una maggiore determinatezza i contorni dei reati associativi ha, infatti, permesso di allontanare gradualmente la stretta correlazione tra condotta associativa e condotta di sostegno esterna al sodalizio criminoso, per consentire un’autonoma ricostruzione dei requisiti strutturali dell’istituto del “concorso esterno”.

Il primo passo in tale direzione è stato quello di fissare quale punto fermo l’insufficienza di una mera adesione psicologica al sodalizio criminoso per ritenere integrata la condotta di partecipazione. Altrimenti, il rischio sarebbe di incriminare un mero atteggiamento psicologico e sconfinare in una responsabilità per fatto altrui, con palese violazione dell’art. 27 Cost.90.

Occorre un quid pluris, che si sostanzia nella realizzazione di attività materiali finalizzate alla sopravvivenza dell’associazione o al perseguimento dei suoi scopi, con aggressioni reiterate all’interesse giuridicamente tutelato e di durata potenzialmente indeterminata91.

Emblematica del mutamento di prospettiva che ha investito la nozione di partecipazione è l’opera ricostruttiva seguita dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza Graci del 199492, che non a caso ha preceduto di poco il primo e importante intervento delle Sezioni Unite sul concorso eventuale nei reati associativi.

La pronuncia in questione si segnala per l’apprezzabile tentativo della Corte di Cassazione di individuare con maggiore precisione la condotta del partecipe dell’associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416bis c.p.. Far parte dell’associazione significa essere inseriti nell’apparato organizzativo della societas sceleris e assolvere a specifici e ben definiti compiti, assumendo obblighi di

90 G.INSOLERA,I delitti contro l’ordine pubblico, cit., p. 207 e ss.. Vedi anche le osservazioni

di G.FIANDACA –E.MUSCO, Diritto penale, Parte speciale, Vol. I, cit., p. 37.

91 In relazione alla fattispecie delineata dall’art. 416bis c.p. taluno ha osservato come

all’elemento del contributo causale dovrebbe aggiungersi il compimento di atti intimidatori, poiché la fattispecie associativa richiede il requisito ulteriore del compimento di atti di intimidazione. Tale interpretazione condurrebbe però a risultati paradossali, giacché, ad esempio, il capo dell’associazione potrebbe considerarsi tale solo se compisse direttamente atti intimidatori, e lo stesso potrebbe valere anche per gli organizzatori. È quindi più corretto affermare che l’associazione è di stampo mafioso quando realizza atti di intimidazione per mano di persone che ne fanno parte, ma non necessariamente di tutti gli associati (A.CAVALIERE,Il concorso eventuale nel reato associativo, cit., p. 144).

soggezione gerarchica nonché il potere di impartire ordini93. Il fulcro della condotta partecipativa risiederebbe pertanto nell’organico inserimento all’interno della struttura organizzativa del sodalizio.

Simile impostazione è stata criticata da chi ha paventato il rischio che una ricostruzione eccessivamente “statica” della condotta associativa potesse sfociare in una sorta di diritto penale d’autore o di responsabilità da posizione. E il timore probabilmente aveva una sua ragione, come dimostrano quelle pronunce che, aggrappandosi a semplificazioni probatorie, fondavano la condanna di determinati soggetti sulla base della mera indicazione fornita da collaboratori di giustizia che indicavano in costoro persone a disposizione della cosca94.

Ma una volta acquisita la consapevolezza dell’errore metodologico seguito da quelle condanne che davano tanta importanza alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, è più semplice poter affermare che il criterio dell’inserimento nella struttura organizzativa dell’associazione fornisca piuttosto un argine all’eccessiva dilatazione delle incriminazioni. Dall’unione del paradigma causale con il criterio organizzatorio si perviene a una soluzione rispettosa del principio di offensività del reato, quando si afferma che senza la prova di un concreto svolgimento di funzioni all’interno dell’associazione non vi dovrebbe essere una partecipazione punibile.

La Suprema Corte segna dunque una tappa fondamentale per i reati associativi, quando tenta di riportare la condotta di partecipazione nell’alveo del principio di legalità, attraverso un’opera di tassativizzazione degli elementi costitutivi del delitto di partecipazione mafiosa. Allo stesso tempo, pone le basi della successiva riflessione volta alla ricerca di un fondamento normativo per la punibilità delle condotte esterne di sostegno all’associazione criminosa.

93 V.P

ATALANO, Nuove strategie per la lotta al crimine organizzato transnazionale, Giappichelli, 2003, pp. 269 e ss.., evidenzia come la descrizione formulata dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in commento sia ritagliata specificamente per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso. In relazione agli altri reati di natura associativa, che presentano profili strutturali diversi, è chiaramente da escludere che il partecipe debba aderire a regole di obbedienza gerarchica e possa avvalersi della forza intimidatrice del vincolo associativo.

94 Caso emblematico della elusione di ogni criterio di razionalità nella valutazione della

prova è il processo a carico del presentatore televisivo Enzo Tortora (vedi sul punto la ricostruzione di M.V.FOSCHINI –S.MONTONE,in Il processo tortora, in Storia d’Italia. Annali 12 – La criminalità, a cura di L. Violante,Einaudi, 1997, pp. 685 e ss.).

3.4. La svolta operata dalle Sezioni Unite Demitry e il definitivo

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