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Cap II: Gli sviluppi della storiografia coloniale in Italia

II.1. L’Italia liberale e i primi storic

L’inizio della produzione storiografica sul colonialismo italiano si può collocare negli ultimi anni del 1800, in pieno periodo crispino. Tuttavia, la produzione di questo periodo, ai fini di una ricostruzione degli eventi, non è utile perché ammantata di retorica e patriottismo: l’obiettivo dei narratori era, infatti, tentare di alleviare la sofferenza causata dalla sconfitta di Adua. Le opere di questo periodo sono però importanti perché illustrano quale fosse il pensiero generale e su cosa si basasse la ricostruzione storica.

La battaglia avvenuta in un villaggio nei pressi di Adua fu una disfatta totale per l’esercito italiano e viene ricordata oggi come la peggiore sconfitta di un esercito europeo in tutto lo scramble for Africa. La battaglia generò lo sconforto sia nella politica che nella società: i sogni grandiosi di conquista del governo Crispi furono interrotti: da allora fino alla campagna di conquista della Libia del 1911, si evitò di parlare delle colonie e si decise per il momento di fermare l’avanzata e di mantenere la propria sovranità sull’Eritrea53. La narrazione del periodo mitizzava l’evento, trasformando quella

che era stata una sconfitta totale in un’eroica resistenza portata avanti da soldati coraggiosi che combattevano in condizioni deprecabili in un contesto paesaggio ostile. Certamente le condizioni di partenza erano pessime, perché si sapeva già che l’esercito del negus era numericamente nettamente superiore a quello italiano e non si possedevano conoscenze approfondite sul paesaggio, lo stato delle truppe non era dei migliori54.

La produzione storiografica e i commenti sull’accaduto furono caratterizzati da toni giustificatori: la storiografia tramandava che l’esercito nemico aveva attaccato gli italiani quando l’esercito regio era ancora diviso e ne aveva impedito il ricompattamento. Secondo gli storiografi, era questo uno dei motivi della disfatta55, quando invece le sue cause si riducevano ad una strategia errata e ad un

53Labanca, Oltremare, cit. p.83.

54Il generale Oreste Baratieri imputava la colpa della disfatta ai soldati, accusandoli di vigliaccheria. A. Del Boca, Italiani

in Africa Orientale. Dall’Unità alla marcia su Roma, vol.I, Mondadori, Milano, 2015, pp.696-697.

55N.Labanca, Riabilitare, o vendicare, Adua? Storici militari nella preparazione della campagna d’Etiopia, in Le guerre

48 attacco condotto contro un esercito largamente sottovalutato. La discussione che si sviluppò dopo la sconfitta di Adua mancava delle caratteristiche utili per ricostruire una storia organica del primo colonialismo: la linea giustificatoria della discussione portò gli scrittori a interessarsi solamente di alcuni aspetti specifici dell’espansione e di Adua in particolare e non si impegnarono a fornire una visione di insieme sull’accaduto, per deresponsabilizzare la classe dirigente dalla decisione colpa di aver condotto la politica espansionista alla rovina totale. La discussione, alla ricerca di un capro espiatorio per la terribile disfatta, trovò infine l’unico colpevole nella persona di Crispi: la discussione riuscì così a scagionare gran parte delle personalità coinvolte nella tragedia.

In realtà, la ricerca di un “colpevole” fu più complicata del previsto, perché nessuna delle personalità coinvolte riuscì ad ammettere le proprie colpe: i soggetti si scaricarono le responsabilità addosso vicendevolmente. Stabba di Rudinì, successore di Crispi, addossò tutta la colpa a quest’ultimo, sostenendo che per il futuro la sua politica si sarebbe basata sulla “dignitosa prudenza”, a differenza di quanto aveva fatto il suo predecessore, cosa che aveva portato al colossale errore di Adua. Allo stesso tempo, Crispi accusava i militari, mentre il generale Baratieri accusava i politici e le truppe, ritenute troppo timorose per condurre all’attacco; anche tra i militari, alcuni si lasciarono andare a polemiche personalistiche. Infine, a scapito di Crispi, il Ministero della guerra, dopo i processi a Baratieri, si schierò a favore dell’esercito56.

Tuttavia, la discussione tra i militari su chi riversare le colpe di Adua si protrassero per molti anni, andando a minare la memoria e l’interpretazione dei fatti.

La produzione documentaria del periodo scarseggia di veri e propri manuali organici utili per la ricostruzione di un resoconto oggettivo dei fatti. L’unica opera da prendere in considerazione per capire in quale direzione andasse la storiografia coeva è Le colonie degli italiani, di Attilio Brunialti57,

pubblicato nel 1897.

Il volume riveste una discreta importanza nella storiografia coloniale perché è contraddistinto da una rimarchevole autonomia interpretativa. Attilio Brunialti era un giurista, insegnante universitario e deputato per il partito costituzionale. Durante la sua carriera politica si interessò sempre al problema coloniale, al quale dedicò gran parte dei suoi scritti. Era vicino a Crispi, ma criticò la sua incertezza sulla linea politica da seguire (quella scioana o tigrina), denunciando comunque anche gli errori dei nemici dello stesso Crispi, che avevano ostacolato la sua politica. Come ricorda Labanca,

56 N.Labanca, In marcia verso Adua, Einaudi, Torino, 1993, pp. 30-31. 57Ibid., pp.32-33.

49 il volume era comunque «perfettamente rappresentativo della pubblicistica uscita tra Adua e la Grande Guerra58»: l’espansione italiana era una missione di pace e civiltà, la colpa di Crispi era stata

quella di aver puntato sull’Africa Orientale e di aver tralasciato la ben più importante Tripolitania, colonia utile come presidio del Mediterraneo. Alla fine, la storia del colonialismo italiano come la intendeva Brunialti era un insieme di idee per intraprendere una discussione politica, in vista di una nuova espansione59.