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Dalla sofferta risoluzione n 289 al 1°aprile 1950: la nascita dell’Afis

Cap 3: “Sui tetti di Mogadiscio gli italiani piangevano”: i periodici italiani e il passaggio di poteri nella capitale somala

III.1. Dalla sofferta risoluzione n 289 al 1°aprile 1950: la nascita dell’Afis

Condizione necessaria e sufficiente affinché venisse istituito il mandato fiduciario era che lo Stato per il quale veniva presa questa misura venisse giudicato politicamente “immaturo”, impreparato all’autogoverno e all’autonomia: il concetto, si può bene vedere, portava con sé una certa dose di paternalismo e di pregiudizi coloniali. Il mandato non era altro che una riproposizione sotto nuovi termini del dominio coloniale, sebbene certamente più blanda.

Per quanto riguarda il caso specifico dell’Italia, potenza sconfitta, nuovamente democratica dopo venti anni di regime totalitario e non ancora parte del gruppo delle Nazioni Unite, per il suo mandato sussistevano alcune peculiarità: venne inserito un allegato all’Accordo di tutela che conteneva una serie di principi che appartenevano alla tradizione democratica occidentale, tali da fornire delle linee guida per l’amministrazione fiduciaria. Inoltre, fu predisposto un ulteriore corpo di controllo di stanza a Mogadiscio, la United Nations Advisory Council of Somalia (Unacs), che aveva funzioni di monitoraggio nei confronti dell’amministrazione italiana.

Portata a termine la discussione in seno all’Assemblea generale, non rimaneva che organizzare il ritorno da parte di Roma: la data di inizio dell’Amministrazione, in via provvisoria, venne fissata per il 1° aprile 1950, data in cui ebbe luogo il trapasso di poteri a Mogadiscio.

In realtà, progetti italiani per un ritorno in Somalia erano già stati elaborati a partire dal 1947 e per tutto il 1948: venne infine stipulato un patto italo-inglese il 13 maggio 1949, la cosiddetta Operation

Caesar, che prevedeva la formazione di un esercito da inviare in Somalia per l’inizio

dell’amministrazione, tale da consentire il trapasso di poteri in modo pacifico, senza che si verificassero proteste da parte dei nazionalisti della Syl. L’operazione prevedeva l’invio di un esercito di circa 5.000 uomini, con annesse ingenti spese per l’allestimento e il mantenimento: come affermò De Gasperi in una riunione al Mai poco dopo l’approvazione della risoluzione dell’Onu, si doveva ridurre la consistenza dell’esercito da inviare in Somalia e ridurne le spese che ne derivavano. Il trapasso poteva essere più pacifico, perché era cambiato il contesto in cui si verificava: non era più

85 un’imposizione dall’alto, ma una decisione presa in seno all’Onu e poteva risultare più accettabile da parte delle popolazioni. Alla visione di de Gasperi si oppose quella dello Sme, che seppe imporsi: alla fine fu inviato il Corpo di Sicurezza della Somalia, che era composto da più uomini di quanti ne fossero stati previsti dal progetto inglese126. L’esercito era troppo grande e le motivazioni di questo

numero non erano tali da giustificare una presenza consistente di militari, che comunque costituì un intralcio alla politica di amministrazione e fu anche un centro di irradiamento delle tensioni che si svilupparono in Somalia, tra l’Amministrazione italiana e i nazionalisti somali127.

Il personale impiegato nell’Amministrazione venne riciclato dal Mai in scioglimento: si preferì infatti impiegare il personale che aveva già prestato servizio in Africa, anche se colluso con il regime, rispetto a funzionari che non avevano mai prestato servizio per il fascismo, ma che non avevano mai lavorato in Africa Orientale. Così come accadde in tutta l’amministrazione italiana, la continuità prevalse sulla discontinuità128. Nella designazione del personale per l’Amministrazione ebbe un

grande peso l’opinione dello Sme, che insistette per creare la figura del Commissario generale al

trapasso, che avrebbe governato l’Afis dal 1° aprile 1950 fino al 30 luglio dello stesso anno, gesto

che rinviava alla prassi coloniale di militarizzare l’amministrazione del territorio.

La carica di commissario venne inizialmente affidata al generale Guglielmo Nasi, a cui viene proposto l’incarico il 23 dicembre 1949: il generale aveva partecipato alla campagna di Libia, alla conquista della Tripolitania e dell’Etiopia. Ricoprì inoltre ruoli di alto livello nelle colonie: fu reggente del governo della Cirenaica (1934-1935), governatore dell’Harar (1936-1939), vice governatore generale dell’Aoi e governatore dello Scioa (1939-1941). Una personalità quindi strettamente legata al regime, la cui nomina venne immediatamente seguita dal rifiuto espresso dall’Etiopia, la quale si oppose alla nomina di un criminale di guerra. A seguito anche delle proteste esplose in parlamento, il generale Nasi venne sostituito con un diplomatico non compromesso con il regime: Giovanni Fornari. Di fatto però, se ai vertici dell’Amministrazione furono collocate delle personalità non compromesse, così non fu per il resto dei funzionari: nonostante le promesse e le proteste della Syl, venne stabilita una continuità tra la politica amministrativa fascista e quella repubblicana.

Nonostante le direttive impartite da Roma e la promessa di non presentare un atteggiamento che si presentasse come espressamente colonialista, molte furono le denunce sia da parte dei somali,

126 Il Corpo di Sicurezza della Somalia era composto da 6000 nazionali più 500 uomini del Gruppo territoriale

Carabinieri della Somalia, in Morone, L’ultima colonia, cit. p.54 e Del Boca, Nostalgia delle colonie, cit. p. 208-213.

127 Morone, L’ultima colonia, cit. p.55. 128 Ibid. p.128.

86 sia da parte dei funzionari dell’Unacs di comportamenti ambigui, se non di vero e proprio disprezzo, tenuti dai funzionari italiani e dai civili. Le direttive stesse provenienti da Roma contenevano in sé degli aspetti equivoci: l’ordine di sorvegliare quelle personalità che si sospettava fossero colluse con la parte più radicale della Syl, si accompagnava all’invito a trattare, però, tutti i somali con rispetto. In sostanza, «il corpo amministrativo dell’Afis si differenziò così tra una parte di funzionari che interpretarono le direttive alla luce dei nuovi obiettivi fiduciari e altri (…), che passarono facilmente quel confine perché “nutrivano (…) un astio preconcetto verso le organizzazioni, come la Syl, che ci sono state nemiche e si dimostrano ostili”»129. Come ho già sostenuto nel primo capitolo,

l’inserimento del personale colluso con il regime non favorì un vero e proprio cambiamento nella politica perseguita dall’Italia, allo stesso modo in cui anche nella battaglia per il mantenimento delle colonie non ci fu una presa di coscienza del passato. La politica anacronistica dell’Italia, come sappiamo, incise infatti profondamente sulla memoria coloniale degli italiani, determinandone la mancata presa di coscienza.

Le operazioni per il trapasso iniziarono il 20 febbraio e si conclusero il 5 aprile 1950130. Nei successivi

paragrafi, ho scelto di prendere in esame proprio il modo in cui la stampa italiana ha letto e narrato il 1° aprile 1950, il giorno del trapasso dei poteri, simbolo del ritorno ufficiale dell’Italia nella ex colonia.