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Cap.IV: Il “dramma” dei profughi in fuga da Tripoli La cacciata della comunità italiana dalla Libia di Gheddaf

IV.2. La stampa italiana negli anni Settanta

Per questa sezione prenderò in esame parte dei quotidiani che ho già analizzato precedentemente, quali «La Stampa», «Il Corriere della Sera», «Il Popolo» e «La Nazione», con l’aggiunta inoltre di due riviste: «Espresso» e «Panorama». Per cominciare, è necessario collocare le notizie estrapolate dai quotidiani nelle circostanze e nelle vicissitudini che la stampa italiana stava attraversando in quel periodo.

La stampa italiana tra gli anni Sessanta e Settanta subì un cambiamento formale: la diffusione di tv e radio concorse a diminuire le vendite dei quotidiani, perché le prime risultavano più di impatto e di più facile ricezione: lo sviluppo della televisione concorse in particolare a diminuire l’importanza delle riviste illustrate, le cui vendite diminuirono vistosamente. Le testate italiane si adeguarono quindi al cambiamento dei tempi e si sforzarono di suscitare un interessamento maggiore da parte dei lettori, inserendovi molte inserzioni pubblicitarie.

Il giornalismo italiano era inoltre influenzato, come ovvio e come ci si poteva aspettare, dal cambiamento delle circostanze sociali e politiche a livello locale e mondiale: la contestazione giovanile, lo sviluppo di un vero e proprio movimento femminista, gli eventi internazionali come la guerra del Vietnam, ma anche le vicende interne, quali il terrorismo politico e le manifestazioni politiche e operaie, favorirono la nascita di un giornalismo nuovo che faceva della cosiddetta “controinformazione” il proprio cavallo di battaglia. Questa scelta stilistica consisteva nel giornalismo di inchiesta e di denuncia e si sviluppò nella stampa di ogni colore politico (non solo in quella di sinistra, per intenderci). Un autentico risultato di questo cambiamento della società fu la nascita dei fogli della sinistra extraparlamentare, quali il «Manifesto», che uscì nel 1971 e «Lotta continua», che fece invece il proprio esordio l’anno successivo. Il fenomeno fu una peculiarità tutta italiana, anche se la tiratura dei due fogli fu piuttosto limitata, tanto da non riuscire a dare una sicurezza alle testate formate da poco.

119 In questo periodo si svilupparono anche la formula portate avanti dalle due riviste «Espresso» e «Panorama», quella della newsmagazine, destinata ad un vero successo a partire dalla metà degli anni Settanta.

Negli anni Settanta inoltre nacquero dei comitati di lotta dei giornalisti, a seguito dell’atteggiamento ambiguo tenuto dalle stesse testate nei riguardi degli attentati di matrice terroristica neofascista e di fronte all’atteggiamento della polizia, ma soprattutto a seguito della manipolazione delle notizie da parte delle maggiori testate giornalistiche. I giornalisti si battevano contro questo fenomeno, che si verificava anche nelle maggiori testate e per una maggiore autonomia professionale, che facesse loro acquistare un certo grado di indipendenza dalla linea politica della testata di appartenenza. Il primo si costituì a Milano nel 1969 con il nome di “Comitato per la libertà di stampa e per la lotta contro la repressione” e si occupava di denunciare la costante manipolazione delle notizie da parte di alcune testate, ma anche l’opera di repressione attuata dal potere esecutivo e giudiziario contro i sindacati e le organizzazioni politiche. Altri comitati nacquero nel resto d’Italia: i due comitati principali, quello di Milano e di Roma, continuarono negli anni la loro opera di denuncia contro le repressioni e chiesero anche le dimissioni di Missiroli e Gonnella, presidenti rispettivamente della Federazione e dell’Ordine della stampa, auspicando un rinnovamento della prima e l’abolizione della seconda.

In questo periodo, inoltre, la contestazione giovanile si rivolse anche contro la stampa: alcuni gruppi studenteschi e operai infatti, presero di mira alcune testate giornalistiche giudicate “borghesi”: un gruppo di studenti milanesi infatti assalì la sede del «Corriere della Sera» di Milano nel 1968, giornale diventato «l’emblema della manipolazione capitalistica dell’informazione193». Il gesto,

tuttavia, non venne emulato. A seguito della lotta politica e delle continue manifestazioni della sinistra contro questo tipo di giornalismo detto “borghese”, alcuni quotidiani decisero di dare un segnale forte ai lettori, sostituendo il direttore della testata, anche per evitare che la contestazione all’autoritarismo sfociasse in aperta rivolta violenta. Il biennio 1968-1969, infatti, vide dei cambiamenti importanti: nel «Corriere della Sera», il direttore Alfio Russo fu sostituito da Giovanni Spadolini; nella «Stampa» invece, Alberto Ronchey sostituisce Giulio de Benedetti. Le due testate più vendute in Italia si trovarono ad essere dirette da due direttori molto giovani, rispettivamente di 43 e 42 anni.

120 Il subentro di Spadolini, giornalista e uomo politico di aerea repubblicana e futuro presidente del consiglio, marcò un ritorno alle idee conservatrici e tradizionali, che portarono nuovamente il giornale a sostenere un “centrismo cauto”, che non si traduceva nell’opposizione totale al nuovo centro-sinistra, ma che si dimostrò comunque critico verso il suo operato, tendendo a metterne in luce errori e contraddizioni. Il quotidiano sotto la nuova direzione si presentava poco attento ai desideri del lettore medio e, al contrario, pervaso da una sorta di accademicità nello stile. Dal canto suo, con la guida di Ronchey la Stampa venne “sprovincializzata”, con maggiore attenzione sulla politica estera. La modernizzazione che sembravano aver portato questi ricambi di direttori (avvenuti tra l’altro per le cinque maggiori testate italiane), portarono solamente un rinnovamento di facciata e non profondo, non intaccando il conformismo politico di questi giornali. Fu in sostanza questo cambiamento superficiale che non favorì un aumento delle vendite, ma solamente un aumento delle spese. Le novità e i cambiamenti all’interno del giornalismo italiano avvennero di riflesso ai cambiamenti politici e sociali.

In conclusione, i quotidiani divennero luogo di scontro politico, come io stessa ho potuto notare durante la mia ricerca: gli articoli erano dedicati in maggioranza allo scontro politico interno e anche la pagina internazionale finiva per essere piegata alle ragioni della politica interna. Ad esempio, «Il Popolo» metteva in luce come la notizia del decreto di Gheddafi fosse stata accolta dalla sinistra con favore, perché il governo rivoluzionario era stato riconosciuto per primo dall’Urss.