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Cap II: Gli sviluppi della storiografia coloniale in Italia

II.2. Dal periodo liberale agli anni Trenta: la storiografia militare e propagandistica

II.2.2. Storiografia e propaganda

Il lavoro degli storici coloniali degli anni Venti e Trenta fu interamente sottoposto al controllo del regime: la mancanza di criticità, lo scarso utilizzo, nella maggior parte dei casi, di un’adeguata quantità di materiale documentario, e l’utilizzo di formule retoriche rendono questi volumi di scarso interesse storico. Tuttavia, queste opere sono utili per una ricostruzione della storiografia coloniale, perché fissavano delle linee di pensiero che si radicarono nell’interpretazione del colonialismo, a tal punto da divenire difficili da scardinare per i successivi decenni. Durante i primi anni del regime, Mussolini si apprestava a consolidare il potere e a gettare le basi dello Stato totalitario e della sua politica di espansione. La sua volontà era di creare consenso intorno al progetto di espansione, per creare intorno alle colonie un nuovo nucleo di italianità. Fondamentale in questo senso doveva essere la formazione di una coscienza coloniale: le masse dovevano essere educate con la retorica coloniale e si premeva affinché l’Africa entrasse nelle vite delle persone. A questo proposito vennero istituite delle giornate coloniali, durante le quali si celebrava l’operato italiano nei territori africani. Anche la cultura fu investita da tale retorica: vennero pubblicate delle riviste che informavano sulla situazione economica, sociale e lavorativa delle colonie, trasmessi film che trattavano di avventure eroiche, nel contesto di un’Africa misteriosa, per incitare l’interesse e l’emigrazione degli italiani nei territori d’Oltremare. Il regime puntò inoltre sul turismo: vennero organizzate gite61, rivolte sia a

operai e contadini, sia a studenti, per conoscere le terre africane, in vista appunto di un futuro trasferimento. Con queste operazioni si cercava di educare gli italiani, per creare consenso alla futura campagna di conquista dell’Etiopia62.

61 Cfr. B. Spadaro, Una colonia italiana. Incontri, memorie e rappresentazioni tra Italia e Libia, Mondadori education,

Milano, 2013.

52 A questo proposito, il Duce volle riunire una compagine di “storici di regime” che tramandassero una verità unica e ufficiale, non lasciando ovviamente spazio per pensieri critici e versioni che si distaccassero da questa ufficiale, per giustificare la necessità dell’impresa di Etiopia e creare consenso nei confronti dell’impresa.

Nella seconda metà degli anni Venti, la storiografia coloniale divenne in tutto e per tutto propagandistica e l’argomento principale del dibattito fu la “prima guerra d’Africa”, cioè la battaglia di Adua, mentre le opere generali sul primo colonialismo erano ancora poche: il primo colonialismo veniva ridotto alla Prima guerra d’Africa. Gli storici coloniali si trovarono a quel punto davanti al difficile compito di riaprire una ferita mai chiusa definitivamente: in pratica si doveva parlare di Adua senza che definirla una sconfitta e del periodo liberale senza elogiarlo. Gli storici quindi adottarono due tipi di espedienti per ovviare al difficile compito: quello di riabilitare la figura di Crispi e di parlare dei cosiddetti “precursori”. Il programma africano di Crispi venne letto come l’anticipazione della futura espansione fascista: la sconfitta era la conseguenza non di questa politica, ma di chi l’aveva ostacolata. Una parte della responsabilità doveva essere imputata anche all’impreparazione dell’Italia. Per quanto riguarda i cosiddetti “pionieri”, si cercò di rileggere le avventure dei primi esploratori in chiave nazionalistica e patriottica, elogiando una serie di personaggi che poco avevano a che fare con le conquiste che sarebbero seguite. In realtà, come dirò più avanti, Rochat ha dimostrato che quelli che vennero considerati dei pionieri erano in realtà dei personaggi eterogenei che agivano a livello individuale e non avevano assunto l’incarico di esplorazione da parte dello Stato.

Dopo il 1936, la pubblicistica coloniale diventò vuota propaganda. I temi ricorrenti della retorica fascista ruotarono attorno alla celebrazione del ritorno dell’Italia in Africa per vendicare le sconfitte subite durante il periodo liberale e per ristabilirvi il ruolo che le spettava e che si era costruita nei secoli. Dagli albori della storia con le conquiste dell’impero romano, passando per le dominazioni economiche di Genova e Venezia, le conquiste in africa dovevano essere celebrate con la solennità dovutagli dai (presunti) secoli di storia di dominazione italiana in Africa. Inoltre, gli argomenti rimanevano il primo colonialismo, letto come un periodo preparatorio alla costituzione dell’impero fascista: venne esaltata la figura di Crispi e quelle dei “precursori” e si parlò di Adua come di una “giornata sfortunata”.

53 In conclusione, la storiografia dagli anni Venti agli anni Quaranta venne pilotata dal regime e i fatti e i documenti non vennero letti con obbiettività, ma interpretati nell’ottica di un riadattamento secondo le esigenze del regime.

Dalla massa degli scrittori apologetici si distacca, per alcune caratteristiche, il volume di Carlo Conti Rossini, intitolato Italia ed Etiopia dal trattato di Uccialli alla battaglia di Adua, pubblicato nel 1935. Conti Rossinifu un orientalista e funzionario dello stato. I suoi scritti furono dedicati in gran parte agli studi sulle popolazioni dell’Africa orientale e alle lingue che vi si parlavano.

Il volume tratta, appunto, della prima guerra d’Africa e si distingue dalle altre produzioni per la grande quantità di documentazione utilizzata proveniente dagli archivi diplomatici e militari e per l’utilizzo di documenti di parte africana: Conti Rossini sostiene infatti di utilizzare: «altri importanti materiali si sono aggiunti in questi anni (…) e i ricordi del dottor Traversi sulle missioni dello Scioa. Moltissimo mi fu dato da leggere ed esaminare in archivi d’Eritrea e di Roma; non poco raccolsi da antichi colleghi d’Africa che spesso vi avevano partecipato (…). oltre che le fonti di parte nostra, misi speciale cura nell’utilizzare le fonti dell’altra parte»63.

L’introduzione del libro è dedicata alla questione se sia necessario parlare o meno di Adua, data la ferita profonda che ha significato per gli italiani e il nuovo interesse suscitato da questo argomento nelle masse. Conti Rossini sostiene che è necessario che si studi nuovamente questo periodo perché solo in questo modo si riuscirebbe a scardinare una versione impietosa che aveva preso piede fin da quella sconfitta: «la leggenda di Adua, come pagina men decorosa per l’Italia, va cessando, deve del tutto sparire64»; i combattenti di Adua, inoltre, devono essere celebrati come degli eroi: «uomini di

Adua furono coloro che in Adua fecero getto della loro vita fiorente65».Nel suo resoconto evita di

soffermarsi troppo a lungo sui “precursori” e addebita la sconfitta dell’Italia all’impreparazione della nazione:

Nel 1895-6, l’Italia troppo era immatura per grandi imprese, e troppo bruscamente le si parò dinanzi un’impresa grandissima. La lunga pace, pericolose ideologie, gl’insuccessi guerreschi di trent’anni innanzi, la mancanza di forti tradizioni militari in molta parte del Regno l’avevano fatta imbelle: l’assoluto difetto di precedenti coloniali, l’assoluta credenza in immediati o almeno rapidi benefici da trarsi da terre occupate oltremare, dissensi interni, la rendevano

63 C. Conti Rossini, Italia ed Etiopia dal Trattato di Uccialli alla battaglia di Adua, Istituto per l’oriente, Roma, 1953, VII-

VIII.

64 Ibid., p.VI. 65 Ibid, p. VII.

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incapace dello sforzo necessario per affrontare adeguatamente una situazione che avrebbe fatto riflettere Stati, ben altrimenti attrezzati, anche moralmente66

L’impreparazione morale dell’Italia viene vista anche nelle reazioni alla sconfitta: l’opinione pubblica non seppe reagire in maniera adeguata ad una sconfitta che in fin dei conti non si era nemmeno verificata su suolo italiano67. La causa della disfatta di Adua venne ricondotta anche

all’impreparazione militare: secondo lo storico, il riarmo venne gestito in maniera inadeguata e molte decisioni importanti vennero ritardate eccessivamente. Il volume presenta comunque alcune caratteristiche che lo fanno rientrare appieno all’interno della compagine degli storici di regime: le popolazioni africane sono trattate con pregiudizi razzisti ed è ricorrente l’accusa di essere dei traditori e dei bugiardi, sono molte ed evidenti le critiche rivolte ai governi liberali, come all’impreparazione dell’Italia, quest’ultimo, come abbiamo già ricordato, un argomento spesso sfruttato.