Nel corso dei precedenti paragrafi si è più volte fatto riferimento al concetto di motivazione e coinvolgimento (engagement). La gamification, del resto, è il larga misura connessa proprio a questo concetti piuttosto che a quelli di gioco in senso stretto e di divertimento (Carter, 2012; Mohl, 2014).
Nel paragrafo 1.1 in particolare sono state riportate e spiegate alcune delle diverse definizioni del termine gamification presenti in letteratura e quello che risulta essere comune a tutte sono proprio concetti come quello di motivazione, di engagemente e di flusso (Riley, 2015). Nonostante infatti la gamification, come visto nel paragrafo 1.3, si concretizzi con l’uso di elementi di gioco e game design, essa non va vista banalmente come la trasformazione di qualcosa in un gioco ma piuttosto come la possibilità di rendere qualcosa simile ad un gioco e cioè di applicare il meglio dei giochi, ed in particolare il modo in cui questi riescono a far sentire e a motivare le persone, a situazioni e per scopi diversi dal gioco stesso (Carter, 2012).
35 Come sostenuto da Zichermann i giochi in particolare sono dei potenti motivatori in quanto sono l’unica forza capace di convincere le persone a compiere azioni che non sempre sanno di voler compiere, senza l’uso della forza e in modo prevedibile (Zichermann e Cunningham, 2011; Graham, 2012). Alcune ricerche neuroscientifiche infatti hanno dimostrato che i giochi riescono ad impattare su alcuni istinti umani come il bisogno di auto espressione, la volontà di porsi nuove sfide e di superarle, e proprio per questo sono in grado di creare coinvolgimento, motivazione e fedeltà (Petruzzi, 2015). Quello che perciò si cerca di fare attraverso la gamification è proprio sfruttare questo potere dei giochi per scopi diversi dal semplice divertimento ed intrattenimento, ed è proprio in tal senso che essa quindi rappresenta uno strumento con cui è possibile catturare l’attenzione delle persone, coinvolgerle in una determinata attività e influenzare il loro comportamento (Kim, 2015).
Partendo dalla considerazione che la gamification ha come destinatari delle persone, che in tale situazione possono essere definiti giocatori, e che in ogni sistema è la motivazione del giocatore a guidare e determinare il risultato, è evidente che comprendere il giocatore e le sue motivazioni è un aspetto fondamentale della gamification (Zichermann e Cunningham, 2011).
Il termine motivazione può essere definito come la spinta a fare qualcosa e quindi come la spinta che permette alle persone di uscire da uno stato di inerzia ed agire (Werbach e Hunter, 2012). Due sono in particolare i tipi di motivazione segnalati in letteratura:
motivazione intrinseca: è la motivazione che la persona trova in se stessa in quanto coinvolta dall’attività che sta svolgendo e che vuole svolgere; in questo caso perciò la persona fa una determinata cosa senza aspettarsi un beneficio dall’esterno ma per la propria soddisfazione (ad es.: sfida o divertimento) (Zichermann e Cunningham, 2011; Werbach e Hunter, 2012; Bittner e Schipper, 2014);
motivazione estrinseca: è la motivazione che deriva dal mondo circostante. In questo caso la persona fa una determinata cosa non perché vuole farla ma perché sente di doverla fare ed spinto da un risultato atteso (come ottenere un riconoscimento o evitare una punizione) che arriva dall’esterno e non riguarda il proprio divertimento o coinvolgimento con l’attività (Zichermann e Cunningham, 2011; Kapp, 2012; Werbach e Hunter, 2012; Bittner e Schipper, 2014).
A questi due tipi in realtà si può poi aggiungere un terzo caso detto amotivazione (amotivation) che si ha ogni qualvolta la persona non si sta adoperando per adottare un certo comportamento (Bittner e Schipper, 2014).
In realtà va precisato che, salvo alcune eccezioni, un’attività non rientra di per sé in una categoria o nell’altra ma a fare la differenza a livello di motivazione è il particolare tipo di interazione che si viene a creare tra un persona e un determinato task (Werbach e Hunter, 2012). Nonostante questo però riuscire a capire se un’attività si basa sulla motivazione intrinseca od estrinseca è di fondamentale
36 importanza in quanto è proprio la comprensione di questa differenza che permette di capire quale tipo di meccanismo sarà in grado di motivare i propri utenti (Werbach e Hunter, 2012).
A tal proposito, in letteratura sono presenti diversi modelli, teorie e scuole di pensiero riguardanti il potere ed il funzionamento di motivatori estrinseci ed intrinseci che tentano di far chiarezza e di aiutare così nella costruzione di un’esperienza che riesca ad avere un impatto positivo sulla motivazione degli utenti.
In passato (seconda metà del XX secolo), per esempio, le teoria dominante riguardante il concetto di motivazione era quella del behaviorismo o comportamentismo che, esaminando l’effetto di premi e punizioni, tentava di spiegare il comportamento individuando come idea di base che esseri umani e animali rispondo agli stimoli esterni in modo prevedibile (Werbach e Hunter, 2012). Secondo questa teoria infatti la motivazione estrinseca e l’uso sistematico di ricompense e punizioni era la chiave per incoraggiare le persone a compiere certe azioni e questo si rifletteva di fatto nei metodi di motivazione aziendale standard di quel periodo basati appunto sull’uso di stipendio e bonus come ricompense e di retrocessione e licenziamento come punizione (Werbach e Hunter, 2012).
In contrasto a questo approccio esistono poi una serie di teorie di stampo cognitivista tra le quali spicca la Teoria dell’autodeterminazione (Self-determination theory, spesso indicata con l’acronomi SDT) di Edward Deci e Richard Ryan. Con questa teoria Deci e Ryan (2000) riconoscono l’esistenza di diversi tipi di motivazione, distinguibili in base alle diverse ragioni e obiettivi per cui viene compiuta una certa azione, e indicano poi come distinzione di base proprio quella tra motivazione intrinseca ed estrinseca. Essi sostengono che l’essere umano è intrinsecamente proattivo in quanto ha dentro di sé un forte desiderio di crescita ma sostengono anche che l’ambiente esterno deve supportare questa forza interna altrimenti questa rischia di essere vanificata (Werbach e Hunter, 2012). La SDT in particolare individua tre elementi che alimentano questa forza interna e quindi fanno si che un compito che ne presenta uno o più risulti intrinsecamente motivante (Ryan e Deci, 2000; Kapp, 2012; Werbach e Hunter, 2012; Saran, 2013; Kapp, Blair e Mesch, 2014):
Competenze (competence) o padronanza (mastery): si riferisce al fatto che la probabilità che le persone accettino e interiorizzino un obiettivo aumentano se esse lo capiscono e hanno le competenze per riuscire a raggiungerlo, ossia se si sentono efficaci rispetto all’obiettivo stesso. Con riferimento al concetto di gioco e di gamification, l’uso di meccanismi come i punti e i livelli risulta essere connesso proprio a questo bisogno;
Relazioni (relatedness): riguarda le connessioni sociali e il desiderio universale di interagire e essere parte di un gruppo ma può manifestarsi anche come desiderio di raggiungere un fine superiore. Con riferimento al concetto di gioco e di gamification, l’utilizzo dei badges e il coinvolgimento dei social network sono proprio connessi a questo bisogno;
Autonomia (autonomy): è il bisogno innato di sentire di avere il controllo della propria vita, di poter determinare il risultato delle proprie azioni e di poter fare ciò che è significativo ed in
37 armonia con i propri valori. Con riferimento al concetto di gioco e di gamification, il fatto di dare all’utente la possibilità di scelta e di presentargli un vasto range di esperienze è connesso proprio a questo bisogno.
Secondo questa teoria, perciò, ogni qualvolta un’attività coinvolge uno di questi bisogni, essa risulta essere interessante, divertente ed avvincente, indipendentemente dal contesto (Werbach e Hunter, 2012). Il gioco per esempio può essere considerato la perfetta rappresentazione di ciò che sostiene la STD in quanto si tratta di un’attività che il giocatore svolge di sua spontanea volontà senza essere obbligato da nessuno (Werbach e Hunter, 2012). Del resto, se si fa un’analisi per cercare di capire perché una persona gioca si possono individuare quatto motivi coerenti proprio con quanto affermato dalla SDT: acquisire padronanza (mastery), contrastare lo stress, divertirsi e socializzare (Zichermann e Cunningham, 2011). Continuando poi sulla scia di questo ragionamento, se da un lato il gioco è una dimostrazione di ciò che la SDT sostiene, dall’altro allora la gamification, che come più volte detto sfrutta il potere dei giochi in altri contesti, può essere considerata di fatto come il modo in cui questi tre motivatori intrinseci possono essere usati per generare risultati importanti in altri contesti (Werbach e Hunter, 2012).
Un’altra teoria poi è quella di Daniel H. Pink che nel suo libro “Drive: the surprising truth about what motivates us” (2011) esamina come motivatori estrinseci ed intrinseci impattano sul comportamento e arriva alla conclusione che le ricompense estrinseche non sono sufficienti per sostenere e mantenere la motivazione e l’engagement e che, talvolta, esse possono avere anche un impatto negativo (Burke, 2014). Il loro utilizzo infatti può risultare utile per dare una spinta iniziale che però durerà solo nel breve termine in quanto il loro effetto dopo un po’ svanisce e nei casi peggiori causa, nel lungo termine, una riduzione della motivazione intrinseca (Burke, 2014). Per questo motivo si ritiene che i motivatori estrinseci siano meno sostenibili e potenti rispetto a quelli intrinseci (Danforth, 2011). Così come Deci e Ryan, anche Pink (2011) poi individua tre elementi essenziali della motivazione intrinseca che confermano quanto affermato dalla SDT (Burke, 2014):
Autonomia (autonomy), ossia il desiderio di dirigere la propria vita;
Padronanza (mastery), ossia il bisogno i di fare progressi e migliorare in qualcosa che conta;
Scopo (purpose), ossia il desiderio che ciò che si sta facendo sia a servizio di qualcosa di più grande.
È proprio sulla base di queste considerazioni che Brian Burke nel libro “Gamify: how gamification motivates people to do extraordinary things” del (2014) dichiara che la gamification si basa soprattutto sull’utilizzo di ricompense intrinseche, piuttosto che estrinseche, ed indica questo come l’elemento che consente di creare quel coinvolgimento emotivo che distingue la gamification dai rewards program
38 (Figura 1.8). Nella gamification infatti possono essere individuati tutti e tre questi elementi (Leeson, 2013; Burke, 2014):
L’autonomia si concretizza non solo nel fatto che è l’utente a decidere di partecipare ma anche in tutte le scelte che compie mano a mano che affronta nuove sfide e cerca di raggiungere l’obiettivo. Talvolta addirittura il processo gamificato non prevede un unico percorso prestabilito per raggiungere la soluzione e si presenta perciò all’utente come uno spazio di gioco in cui vengono stabiliti obiettivi, regole e strumenti ma non i passi e la direzione da seguire.
Per quel che riguarda la padronanza va innanzitutto detto che di fatto essa va vista come un percorso in cui si possono fare continui progressi ma in cui manca un punto d’arrivo. In tal senso quindi essa non costituisce un obiettivo raggiungibile bensì un viaggio in cui la gamification fornisce il feedback che spinge le persone a iniziare e continuare questo percorso di miglioramento.
Per quel che riguarda lo scopo inteso come fine superiore, la gamification per definizione si distingue dai giochi in senso stretto anche per lo scopo che in genere con la gamification è riconducibile a tre tipologie: cambiare il comportamento, sviluppare capacità e guidare l’innovazione.
Naturalmente, quanto detto finora, non deve far pensare che il potere dei giochi, e di conseguenza della gamification, si basi solo ed esclusivamente sulla motivazione intrinseca in quanto essi in realtà fanno uso anche dei motivatori estrinseci (Werbach e Hunter, 2012). Se infatti da un lato si è notato che ricompense estrinseche, come i premi in denaro, non solo risultano poco efficaci come motivatori ma possono avere addirittura un impatto negativo, dall’altro sembra che alcuni tipi di ricompense estrinseche, come per esempio il riconoscimento di uno status, non presentino queste problematiche e quindi risultino utili (Pink, 2011; Zichermann e Cunningham, 2011). Ecco perché quindi, come già detto, in fase di gamificazione, in cui si è chiamati a fare una serie di scelte, è fondamentale avere ben chiara la distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca e del loro funzionamento in modo da poter costruire un’esperienze che riesca ad impattare effettivamente sulla motivazione dell’utente (Werbach e Hunter, 2012). A tal proposito esistono una serie di considerazione e lezioni che diversi autori hanno fatto e raccolto e che è importante tenere a mente quando si vuole gamificare un processo. Werback e Hunter (2012) per esempio, ai fini di una gamification di successo, propone il seguente elenco di lezioni supportate da studi e casi reali:
Innanzitutto, come già accennato, talvolta l’uso di ricompense estrinseche può causare demotivazione. Tale problema è denominato crowding-out in quanto l’uso dei motivatori estrinseci riduce il potere di quelli intrinseci. Sebbene infatti l’uso di motivatori estrinseci tangibili, attesi e contingenti, inizialmente riesca a motivare l’utente, la loro efficacia poi viene
39 meno in quanto l’utente si limiterà a fare il minimo necessario per ottenere la ricompensa perdendo quindi la motivazione intrinseca e rendendo le ricompense estrinseche un pessimo sostituto. Queste stesse conseguenze si hanno anche quando l’uso di ricompense estrinseche viene percepito come un modo per manipolare o comunque come qualcosa di sbagliato rispetto al contesto (overjustification) (Zichermann e Cunningham, 2011). Alla luce di tutto ciò quello che si consiglia di fare è quindi di evitare di utilizzare motivatori estrinseci quando in una determinata attività è possibile sfruttare dei motivatori intrinseci.
La motivazione estrinseca tuttavia non va sempre vista come qualcosa di negativo ma anzi può risultare particolarmente utile quanto l’utente è impegnato in attività che rientrano nei casi di
amotivation e che perciò, senza l’incoraggiamento delle ricompense estrinseche, risulterebbero
noiose e ripetitive. Questo tipo di attività non risultato intrinsecamente motivanti e per questo l’uso di meccanismi di gioco può essere utile per incoraggiare il comportamento desiderato.
Un sistema di feedback ben progettato aiuta ad indirizzare l’utente verso il comportamento desiderato e per questo, con riferimento alla gamification, può risultare davvero utile ai fini di una motivazione efficace. A tal proposito è importante tenere a mente una serie di considerazioni: un feedback informativo e inaspettato aumenta l’autonomia e la motivazione intrinseca in quanto la sorpresa di ricevere un premio o una ricompensa che non ci si aspettava suscita emozioni positive nella persona (questo meccanismo è noto come programma di ricompensa variabile); un feedback informativo sui propri progressi rispetto all’obiettivo da raggiungere è particolarmente apprezzato dall’utente che in questo modo si sente più coinvolto e motivato a completare gli step successivi; infine, il feedback è in grado di regolare il comportamento dell’utente ma lo fa in base a quelli che sono i parametri, la metrica e la direzione del feedback stesso.
Non sempre la motivazione estrinseca viene vissuta come qualcosa di completamente esterno alla persona. Secondo Deci e Ryan (2000) per esempio la motivazione può essere rappresentata come un continuum in cui tra motivazione estrinseca ed intrinseca vengono individuate una serie di situazioni intermedie. Più precisamente, all’interno della motivazione estrinseca vengono individuate una serie di situazioni che si distinguono in base al grado in cui gli stimoli esterni sono stati interiorizzati e cioè in base al fatto che l’utente riconosca il valore del task che deve compiere (Ryan e Deci, 2000):
o Regolatori esterni: in questo caso l’utente adotta un determinato comportamento solo per soddisfare una richiesta esterna e ottenere in cambio una ricompensa, o evitare una punizione, motivo per cui spesso l’utente ha la percezione che il suo comportamento sia controllato e alienato;
40 o Introiezione: in questo caso l’utente esegue certe azioni per evitare di provare senso di colpa e di ansia o per una questione di orgoglio e migliorare il proprio ego. Si tratta quindi di una regolazione interna su cui però esiste un certa pressione e controllo;
o Identificazione: in questo caso la persona accetta la regolazione come propria in quanto si identifica e riconosce l’importanza personale di un comportamento;
o Integrazione: avviene quando l’identificazione è stata completamente assimilata e cioè quando si raggiunge una congruenza tra i regolatori e i propri valori e bisogni. È importante sottolineare che più l’utente interiorizza e assimila la ragione per cui deve essere compiuta una certa azione, più questi stimoli esterni diventano motivanti e simili alla motivazione intrinseca. Questo caso tuttavia, pur avendo elementi comuni con la motivazione intrinseca, fa parte della motivazione estrinseca in quanto la persona assume un certo comportamento per il suo presunto valore strumentale rispetto ad un risultato separato dal comportamento stesso.
Figura 1.9 Motivazione intrinseca, estrinseca e amotivation
Fonte: Ryan e Deci, 2000
Questa classificazione naturalmente ha delle conseguenze sul piano pratico e quindi va tenuta a mente in fase di gamificazione: punti e classifiche per esempio possono rappresentare una forma di introiezione in quanto fanno appello all’ego dell’utente il quale può vantarsi della propria posizione.
41 Allo stesso modo, anche Zichermann e Cunningham (2011) hanno raccolto una serie di vecchie credenze che hanno incontrato nel corso delle loro ricerche e che hanno aperto dei punti di discussione su alcuni elementi della gamification, in particolare:
Partendo dalla convinzione che la motivazione intrinseca sia migliore delle ricompense estrinseche, alle quali comunque viene riconosciuta una certa utilità, si arriva alla conclusione che la gamification funziona meglio se e quando si riesce ad allineare queste due forze. Per questo motivo i due autori propongono come nuova convinzione l’idea che si dovrebbe accettare gli utenti e i loro stati motivazionali così come sono e cercare poi di aiutarli a fare sia quello che si desidera che facciano sia quello che loro stessi desiderano fare;
Se qualcosa è ben progettato allora l’utente potrebbe percepirla come intrinsecamente motivante. Questo significa che è importante osservare costantemente l’utente in quanto lui stesso potrebbe non essere consapevole che una determinata cosa gli interessa (e quindi stimola la motivazione intrinseca) finchè non lo scopre grazie ai motivatori estrinseci;
La motivazione estrinseca può rappresentare una buona mappa per la motivazione intrinseca. Più infatti il designer conosce i propri utenti, più sarà nelle condizioni di progettare un sistema in grado di guidare il comportamento dell’utente nel modo desiderato in quanto quest’ultimo lo percepirà come qualcosa di proprio e più vicino a sé. Questo, sul piano della gamification, significa che un sistema ben progettato riesce a far si che le azioni del giocatore siano svolte come qualcosa di normale. A tal fine, può essere utile fare riferimento alle quattro tipologie di giocatori individuate da Richard Bartle valide non solo per i giochi ma anche per la gamification (Zichermann e Cunningham, 2011; Carter, 2012; Kim, 2015):
o Explorers: per questi giocatori quello che conta è l’esperienza;
o Achievers: sono parte di qualsiasi gioco competitivo, tuttavia è difficile creare un’esperienza basandosi esclusivamente su questa tipologia di giocatori perché vorrebbe dire creare un sistema in cui tutti possono vincere. Amano superare i livelli e vincere dei badges ma in caso di sconfitta questo tipo di giocatori perde interesse nei confronti del gioco;
o Socializers: si tratta di persone che giocano perché interessati alle interazioni sociali. Questo non significa che essi non si preoccupino del gioco e della vittoria. La maggior parte dei giocatori rientra in questa categoria;
o Killer: sono simili agli achiever per quel che riguarda il desiderio di vincere ma a differenza di questi per loro la vittoria non è sufficiente. Così come loro devono vincere, ci deve essere qualcun altro che perde.
42 Figura 1.10 Tipi di giocatori secondo Bartle
Fonte: Zichermann e Cunningham, 2011
In alternativa, anche Andrzej Marczewsk ha proposto una sua classificazione dei giocatori, partendo proprio dal modello di Bartle e adattandolo per renderlo più coerente al caso specifico della gamification (Kim, 2015):
o Player: sono l’unica categoria di giocatori motivata da ricompense estrinseche; o Socializer: sono motivati dalle relazioni (relatedness);
o Free spirit: sono motivati dall’autonomia (autonomy); o Achiever: sono motivati dalla padronanza (mastery); o Philanthropist: sono motivati dallo scopo.
Oltre a quello di motivazione, un altro concetto a cui si è fatto riferimento nei paragrafi precedenti e che risulta essere fortemente connesso alla gamification è quello di engagement, ossia di coinvolgimento. Così come, infatti, in base a quanto detto finora in questo paragrafo, è evidente che la gamification è per lo più una questione di motivazione, allo stesso modo si può affermare che essa è anche una questione di engagement.
Con il termine engagement si fa riferimento in generale a quelle situazioni in cui si verifica una grande quantità di connessioni con una persona, luogo, cosa o idea (Zichermann e Cunningham, 2011). Si tratta perciò di un termine a cui viene attribuito di fatto un significato piuttosto ampio, tuttavia esiste una serie di parametri che possono risultare utili per capire meglio questo concetto e sono: la data più recente, la frequenza, la durata, la viralità, il rating e il livello di conoscenza (Zichermann e Cunningham, 2011; Zichermann e Linder, 2013).
La gamification in particolare riesce a motivare e influenzare il comportamento dell’utente proprio