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L’evoluzione dell’intervento britannico e il massacro di Lar

Lo studioso Huw Bennett ha individuato quattro fasi in cui l’intervento militare britan- nico si è concretizzato: la prima, dall’ottobre 1952 al giugno 1953; la seconda fino all’aprile 1954; la terza fino alla fine dello stesso anno; la quarta comprendente il bien- nio successivo25. Ciò che appare chiaro all’autore è che nella prima fase l’assenza di una strategia precisa su come affrontare l’emergenza, oltre ad una complessiva carenza di uomini, rafforzò l’organizzazione dei Mau Mau. Sin dalla proclamazione dello stato d’emergenza, Baring aveva ottenuto l’afflusso di rinforzi in Kenya, come il Primo Bat- taglione dei Lancashire Fusiliers, con compiti che inizialmente si limitavano alla sorve- glianza delle White Highlands e alla protezione dei coloni. I Lancashire Fusiliers anda- vano ad affiancare corpi già presenti nel territorio: cinque battaglioni dei King’s African Rifles26, composti da combattenti africani ma guidati da ufficiali bianchi, un battaglione di artiglieria contraerea, l’East Africa Armoured Car Squadron e un battaglione del Ke- nya Regiment. Quest’ultimo era formato in maggioranza da reclute britanniche residenti in Kenya, coadiuvate da una minoranza di africani, e si differenziava dal resto delle for- ze armate per essere alle dirette dipendenze del governo coloniale27. Accanto all’esercito operavano le forze di polizia (Kenya Police) e in via non ufficiale le Home Guard, corpi composti da indigeni, responsabili della protezione dei capi locali e dei lealisti, che agivano nelle riserve e nei villaggi dei kikuyu, degli embu e dei meru. I compiti delle Home Guard, inizialmente di sorveglianza, sarebbero poi stati estesi con l’avanzare del conflitto. Il servizio di intelligence era demandato allo Special Branch. Nei primi tre mesi del conflitto, come accennato, Baring promosse operazioni di scree-

ning della popolazione kikuyu. Nelle riserve e nei villaggi della tribù, uomini della poli-

zia, del Kenya Regiment e dello Special Branch conducevano interrogatori a tappeto, con metodi che andavano dalle percosse alla vera e propria tortura onde far confessare i sospettati. Tutta la comunità fu coinvolta: uomini, donne e bambini, chiunque poteva militare nei Mau Mau o essere a conoscenza di fatti fondamentali per la repressione del

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H. Bennett, Fighting the Mau Mau, The British Army and Counter-Insurgency in the Kenya Emergen-

cy, Cambridge, Cambridge University Press, 2013, pp. 11-29.

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Per una storia di questo corpo d’armata, fondato ad inizio del secolo XX e sciolto a seguito delle pro- clamazioni d’Indipendenza dei possedimenti britannici in Africa. Si vedano M. Page, King‟s African Ri-

fles, a History, Barnsley, Pen & Sword Books Ltd, 2011; H. Moyse-Bartlett, King's African Rifles: A Study in the Military History of East and Central Africa, 1890-1945, Uckfield, Naval and Military Press,

2002.

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H. Bennett, op. cit., p. 13. A proposito del Kenya Regiment, si veda anche G. Campbell, The Charging

Buffalo: A History of the Kenya Regiment, 1937-1963, London, Leo Cooper in Association with Secker

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movimento. In realtà l’assenza di coordinazione rese caotiche queste operazioni; ogni corpo perseguiva scopi diversi: la polizia cercava prove per incriminare i sospetti; l’intelligence intendeva creare una rete di informatori da utilizzare nelle riserve e nelle foreste; all’esercito occorrevano informazioni relative alla dislocazione dei soldati ne- mici e ai loro piani d’azione, onde conoscerne i movimenti e anticiparne le mosse28

. Il risultato fu un indiscriminato uso degli arresti, laddove il semplice sospetto conduceva inevitabilmente all’incriminazione, senza che tutto ciò realizzasse effettivi progressi nell’accertamento della presenza Mau Mau nelle riserve e nelle foreste.

La proclamazione dello stato d’emergenza fornì ai proprietari della Rift Valley l’occasione per rimpatriare gli squatter nella provincia centrale. Il terrore, acuito da epi- sodi come il massacro dei Ruck e del loro bambino, imponeva una reazione politica. Michael Blundell si fece interprete della proposta di ricollocazione dei nativi, e Baring ne avallò l’attuazione, valutandola una misura necessaria a placare le velleità di vendet- ta trasversale dei proprietari e a garantire l’ordine nella Rift Valley. Era la riproposizio- ne in forme ancor più massicce di una politica già adottata negli anni Trenta e Quaranta. Le operazioni di rimpatrio ebbero inizio nel novembre del 1952, quando i Lancashire Fusiliers condussero nelle riserve, sradicandoli dalle Rift Valley, 2.950 sospetti. Alla fi- ne dello stesso mese oltre 4.000 kikuyu, 750 adulti e 3.300 bambini, furono allontanati dalla regione delle Thomson’s Falls, in prossimità dei Monti Aberdare29. Una minoran- za di coloni manifestò la volontà di non lasciar partire gli squatter, fonte straordinaria di introiti, e si opposero a più riprese ai rimpatri30, ma la stragrande maggioranza sostenne il programma di riconduzione forzata nelle riserve. Alla fine di aprile quasi centomila

squatter erano stati sradicati dalla Rift Valley. Presumere che tutti fossero aderenti Mau

Mau doveva apparire pretestuoso, ma nell’ambiente dei coloni e in molti uomini dell’amministrazione la necessità di distinguere tra le diverse situazioni individuali non era all’ordine del giorno. Il nemico era rappresentato dai kikuyu, dagli embu, dai meru nella loro totalità. Il risultato di tale politica, che perdurò per tutto il conflitto, fu contra- stante. L’ulteriore afflusso di squatter nelle riserve rese invivibile la situazione di quelle comunità, anzitutto per l’assenza di cibo. Molti nativi abbandonarono le riserve per unirsi, a vario titolo e secondo diversi livelli di coinvolgimento, alla guerriglia, andando così ad ingrandire le fila dei rivoltosi. D’altra parte, come riconobbe il generale Erskine, che avrebbe più avanti assunto il comando delle operazioni militari, la progressiva

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H. Bennett, op. cit., p. 15.

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Y. Veilleux-Lepage, J. Fedorowicz, op. cit., in G. Fremont-Barnes (ed.) op. cit., p. 184.

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espulsione della comunità kikuyu dalla Rift Valley aveva il merito di circoscrivere il teatro bellico al Monte Kenya e ai Monti Aberdare, e di concentrare le operazioni di po- lizia nelle riserve e nelle città della Provincia Centrale.

Il 3 gennaio 1953 il governo coloniale approvò una nuova serie di leggi, le cosiddette

Emergency Regulations. Queste previdero una divisione del territorio in relazione al ti-

po di intervento che le forze armate potevano realizzarvi. Da una parte le Special Areas, coincidenti con le riserve, nelle quali le possibilità d’azione erano più limitate; dall’altra le cosiddette Prohibited Areas (Monte Kenya, Aberdare), che si presumeva fossero di- sabitate da civili e facessero rifugio per i rivoltosi31. Queste erano le aree nelle quali si sarebbero svolte le operazioni belliche, e dove era legittimo, secondo le direttive gover- native, effettuare attacchi di fanteria e utilizzare i bombardieri della RAF32. Proprio nell’area attorno ai Monti Aberdare, il giorno dell’Epifania fu lanciata l‟Operazione

Blitz, volta a snidare i combattenti dalle foreste. Nel complesso l’operazione si rivelò un

fallimento. L’esercito britannico riuscì a penetrare solo pochi chilometri nella foresta, senza poter avanzare oltre a causa della scarsa conoscenza dei luoghi, consentendo così ai Mau Mau di rintanarsi nell’interno.

Con i progressi delle iniziative degli insorti, Baring dovette adattare la propria azione al mutato scenario. Fu il massacro dei Ruck, ancor più che i primi fallimenti militari, a forzare la mano al governatore nel chiedere nuovi rinforzi. Nel mese di febbraio due alti ufficiali giunsero in Kenya per valutare la situazione: il primo fu il Major-General Wil- liam Hinde, subito designato da Baring Chief Staff Officer, ruolo che gli consentiva di operare come raccordo tra l’esercito e il governo e di valutare tramite accurate indagini quali fossero le migliori strategie da adottare e gli uomini da mettere in campo in fun- zione della consistenza del nemico. Hinde era convinto che fosse possibile sconfiggere i Mau Mau con le forze a disposizione, sottovalutando probabilmente l’entità numerica e la capacità organizzativa degli insorti. Il secondo fu John Harding, Chief of the Imperial

General Staff33, la più alta carica delle forze armate dell’Impero Britannico. Harding si

dimostrò in parziale disaccordo con Hinde, e una volta constatata la situazione in cam- po, acconsentì all’invio di ulteriori rinforzi nella regione: alla fine di febbraio raggiunse-

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Nei fatti l’unica differenza era che nelle Special Areas i soldati, prima di aprire il fuoco, dovevano lan- ciare un avvertimento, obbligo che non era previsto nelle Prohibited Areas. D. French, The British Way in

Counter-Insurgency, 1945-1967, Oxford, Oxford University Press, 2011, p. 85

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H. Bennett, op. cit., p. 129.

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ro il Kenya un battaglione del Devonshire Regiment ed uno del Royal East Kent Regi- ment.

Il 26 marzo 1953 i Mau Mau lanciarono la loro più ardita operazione del conflitto. Si trattò di un’azione congiunta34

, finalizzata a colpire quasi contemporaneamente la città di Naivasha e la località di Lari, a trenta miglia di distanza l’una dall’altra. Il primo at- tacco fu lanciato a Naivasha35. Nel pomeriggio oltre ottanta guerrieri, capitanati da Mbaria wa-Kanui, penetrarono nella locale stazione di polizia, vi requisirono armi da fuoco e liberarono circa duecento prigionieri Mau Mau confinati nell’adiacente campo di detenzione. Un poliziotto africano venne ucciso e molti altri furono feriti. Il resto del- la guarnigione fuggì. Il secondo attacco fu ancor più incisivo e, dal punto di vista sia militare che propagandistico, determinò un evidente punto di rottura rispetto alla prece- dente situazione del conflitto. Alle ore 20, l’unità di Home Guard che prestava servizio a Lari fu attirata fuori dal villaggio a seguito della notizia che il corpo di un uomo, un kikuyu lealista, era stato trovato a tre miglia di distanza, orribilmente mutilato e posto in bella vista sotto un albero. Gli uomini della Home Guard recuperarono il corpo e rien- trarono a Lari dopo le 21. Quando giunsero nel villaggio, scoprirono di essere stati og- getto di un diversivo. Durante la loro assenza più di cinquecento uomini erano penetrati a Lari, suddivisi in sei gruppi coordinati tra loro, allo scopo di eliminare i capi e tutti i lealisti che abitavano nella località. Casa per casa entrarono con panga, lance e spade, uccisero 74 persone e fecero oltre 50 feriti. La maggior parte dei caduti erano donne e bambini.

La possibilità di un’offensiva dei Mau Mau a Lari era in realtà già stata prevista da tem- po. Il capo della locale guarnigione delle Home Guard, Makimei, residente a Lari as- sieme alla famiglia, già alla fine di febbraio aveva avvertito le autorità del distretto di Kiambu della probabilità di un attacco imminente. Il 18 marzo un plotone dei King’s African Rifles era stato posto a presidio del villaggio. Sette giorni dopo, tuttavia, questo plotone era stato richiamato a Nairobi, lasciando la comunità lealista del villaggio senza protezione, esclusa quella delle Home Guard. Quando i Mau Mau riuscirono a far sì che le Home Guard lasciassero incustodito il villaggio, l’attacco fulmineo che ne seguì con- dusse in pochi minuti al più grande spargimento di sangue che il conflitto aveva sino a

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D. Anderson, pur riconoscendo che molti guerrieri Mau Mau abbiano nel tempo confermato che i due attacchi fossero in qualche modo coordinati, nega che questo sia del tutto vero, sostenendo che le motiva- zioni alla base dell’attacco di Lari, a differenza di quello di Naivasha, fossero da rintracciare nelle dina- miche interne alla comunità locale, slegate quindi da una strategia di largo respiro, D. Anderson, Histo-

ries…cit., p.133. Deve tuttavia essere segnalato come la coincidenza temporale dei due attacchi favorisca

l’interpretazione di un’azione su due fronti ben pianificata e messa in atto.

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quel momento conosciuto. I familiari di Makimei riuscirono a salvarsi grazie ad un ru- dimentale sistema di fortificazione che il capo delle locali Home Guard aveva fatto co- struireattorno alla propria abitazione nei giorni precedenti. Principale obiettivo di tutta l’operazione era il più influente leader lealista di Lari, Luka Wakahangare, ex-capo del- le Home Guard che aveva mantenuto la sua convinta lealtà al governo e continuava ad utilizzare gli antichi legami per proteggere ed aumentare i propri privilegi. Era inoltre uno dei più influenti membri della locale chiesa cattolica, altro elemento che lo poneva in contrasto con i Mau Mau, provenienti per la maggior parte dall’esperienza delle chie- se kikuyu indipendenti. Per questi motivi il gruppo che si occupò dell’attacco alla sua abitazione fu nettamente il più numeroso, coinvolgendo circa un terzo degli uomini che penetrarono nel villaggio. Wakahangare lottò, ma fu rapidamente sopraffatto. Morirono con lui tutti i suoi familiari, compresi figli e nipoti, eccezion fatta per la più giovane del- le mogli che, ad attacco finito, corse in strada coperta dal suo sangue e da quello dei fi- gli. L’attacco era stato coordinato perfettamente: solo le case dei kikuyu lealisti e delle loro famiglie furono oggetto dell’offensiva, cosa che suggerisce che gli aggressori, o buona parte di essi, erano del luogo ed avevano potuto agire a colpo sicuro. Tutte le fa- miglie colpite avevano uno o più membri nell’amministrazione o nelle Home Guard. Lari era in quegli anni un centro economicamente prospero, collocato favorevolmente in un territorio fertile, e attraversato dalla East African Railway, fatto che consentiva di collegare la località a Nairobi, lontana meno di trenta chilometri36, e alle altre principali città del Kenya. Nelle sue vicinanze esisteva un centro industriale, l’Uplands Bacon Factory presso Limuru. Artigiani, meccanici, calzolai, scalpellini trovavano in Lari un centro in cui sviluppare le loro attività. Tuttavia la terra rimaneva di gran lunga il fattore decisivo nella produzione della ricchezza nella località. La maggior parte dei contadini e dei proprietari erano giunti nella regione pochi anni prima, provenendo dalla parte me- ridionale del distretto di Kiambu, dalla quale erano stati forzatamente trasferiti nell’ambito del programma di ricollocazione dei contadini kikuyu. A partire dalla se- conda metà degli anni Quaranta una nuova ondata di squatter giunse a Lari. Alcuni di loro lavorarono come fittavoli presso le terre di proprietà dei capi lealisti locali. Altri si trovarono disoccupati. All’interno della comunità le differenze tra coloro che, anche grazie alla loro posizione, prosperavano, e coloro che non avevano accesso alle terre e non avevano fonti di reddito o sussistenza, si fecero man mano più evidenti. Ad una mi-

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J. G. Mumford, Drums of Rebellion: Kenya in Chaos, New Westminster, Zebra Publishing House, 2005, p. 81.

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noranza ricca faceva da contraltare la miseria della maggior parte della popolazione del- la regione. I più benestanti erano kikuyu cristiani, spesso membri dell’amministrazione o reclutati tra le Home Guard. Quando nel biennio 1951-1952 migliaia di nuovi squatter giunsero presso Lari, la situazione, contestualmente all’evolversi del conflitto, divenne esplosiva. Il movimento Mau Mau riuscì facilmente a penetrare nella regione, convo- gliando a sé quella parte della società kikuyu che viveva al di sotto dei mezzi di sussi- stenza37.

Nel momento in cui la pattuglia di Home Guard ritornò a Lari trovando il villaggio se- midistrutto e molte abitazione bruciate, il sentimento prevalente fu quello della vendet- ta. Gli ultimi aggressori stavano abbandonando la località proprio in quel momento per riparare nelle vicine foreste. Le Home Guard iniziarono a fare fuoco, dando inizio a una battaglia che durò tutta la notte. Il mattino seguente fu subito chiaro che al primo attacco era seguita una massiccia rappresaglia da parte dei lealisti. Sulla base delle testimonian- ze offerte dai superstiti, Makimei e i suoi uomini si erano convinti che coloro le cui ca- panne non erano state oggetto di attacco dovevano aver partecipato all’azione, nel ruolo di semplici basisti o di assalitori, oppure dovevano aver fornito assistenza mettendo a disposizione le loro abitazioni38. Le Home Guard avevano dato inizio ad un rastrella- mento casa per casa, prelevando sospetti ed eliminandoli sul posto. Alle prime luci dell’alba un reggimento dei Lancashire Fusiliers era giunto a Lari e aveva partecipato alle ultime fasi di questa vendetta sommaria. Mentre le cifre relative alle vittime del primo attacco furono da subito con buona approssimazione certe, per quanto riguarda la rappresaglia vi è stata discordanza tra le fonti. Le stime più prudenti39, spesso vicine ad ambienti governativi e quindi non sospettabili di simpatie per i ribelli, riportavano come il secondo massacro avesse prodotto un numero di vittime almeno doppio rispetto a quello fatto dai Mau Mau. Altri hanno collocato a 400 il numero totale dei morti dei fat- ti di Lari40. La presenza dei Lancashire Fusiliers nelle fasi finali della rappresaglia sug- gerisce la probabilità che ufficiali britannici non solo non abbiano fermato la carnefici- na, ma abbiano dato il loro benestare al suo completamento.

I fatti del 26 marzo rappresentarono per il governo coloniale un’evidente sconfitta sul piano militare. I progressi che l’amministrazione e l’esercito credevano di aver compiu-

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M. Thomas, Fight or Flight: Britain, France, and their Roads from Empire, Oxford, Oxford University Press, 2014, p. 266

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D. Anderson, Histories…cit., pp. 129-130.

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Come quelle riportate dall’East Africa Standard nella sua edizione del 5 aprile, che indicavano una ci- fra pari a 150 uccisi nella rappresaglia. Ivi, p. 132.

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to nella comprensione del fenomeno Mau Mau e delle sue potenzialità belliche si erano dimostrati fittizi; gli errori gravi, come quelli di lasciare incustoditi il villaggio di Lari e scarsamente presidiata la stazione di polizia di Naivasha, avevano rivelato quanto la guerriglia fosse in grado di colpire sia la comunità lealista che i principali e più impor- tanti simboli del governo britannico in Kenya. Tuttavia la brutalità del massacro di Lari fornì l’occasione per lanciare un’enorme offensiva propagandistica. Molti simpatizzanti Mau Mau manifestarono il proprio imbarazzo di fronte a quella che a prima vista dovet- te sembrare una strage indiscriminata svincolata da ogni logica prettamente militare. I giornali filogovernativi ebbero buon gioco nel far passare il concetto che i “terroristi” avessero attaccato Lari senza altra motivazione che la loro sete di sangue41. I racconti dei corpi mutilati e decapitati dei bambini sortirono l’effetto di un profondo disgusto e terrore in buona parte della comunità kikuyu. Nessuno sforzo veniva compiuto nel ten- tare di analizzare i motivi economici e sociali che avevano condotto ad una simile azio- ne. Il ruolo che i capifamiglia uccisi svolgevano in appoggio all’amministrazione bri- tannica veniva sistematicamente taciuto. Così come si tacevano i motivi che avevano condotto in precedenza parte della comunità di Lari ad appoggiare i Mau Mau. Soprat- tutto, si tentava di celare l’entità della rappresaglia indiscriminata che aveva avuto luogo successivamente. Se il duplice attacco era riuscito nell’intento di atterrire i lealisti e i coloni, la controffensiva mediatica britannica alienò ai ribelli molte delle simpatie pre- cedentemente conquistate tra i nativi. Consentì anche di mandare un segnale in Gran Bretagna, dove esisteva una nutrita fascia della società civile e della politica, specie di parte laburista, contraria all’uso della forza armata in Kenya, per dimostrare che quanto era stato da tempo sostenuto sulla natura inumana e selvaggia dei Mau Mau, fosse effet- tivamente vero, e che solo l’uso della forza potesse ricomporre la situazione.

Dopo Lari le forze britanniche riorganizzarono la loro composizione e rividero i loro scopi. Le operazioni di screening della popolazione nativa si svolsero su scala sempre più ampia. Gli omicidi indiscriminati aumentarono, l’uso della tortura in sede di inter- rogatorio si intensificò e il ruolo delle Home Guard fu rafforzato, cosicché i lealisti re- clutati in quel corpo furono abilitati ad agire non solo in operazioni di pattugliamento intorno ai centri particolarmente esposti agli assalti dei Mau Mau, ma anche a partecipa- re ad offensive militari, sia in sostegno dei soldati britannici che in autonomia, spesso in posizione d’avanguardia. Dopo Lari le Home Guard furono incentivate ad adottare con-

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Una breve rassegna di alcuni dei titoli e degli stralci di articoli a proposito del massacro di Lari in J. H. Meriwether, Proudly We Can Be Africans: Black Americans and Africa, 1935-1961, Chapel Hill, The