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Gli ultimi mesi del 1952 e i primi mesi dell’anno successivo costituirono probabilmente l’apice del successo propagandistico dei Mau Mau. L’arbitrarietà dell’azione del gover- no alienò alle autorità buona parte di quella fascia di popolazione che ancora non aveva fatto la propria scelta. La mobilitazione coinvolse non solo i kikuyu, ma si estese anche agli embu e ai meru, popoli del Kenya centrale che condividevano con i kikuyu la lin- gua e numerose tradizioni. Grazie alla forte organizzazione messa in campo dai Muhimu negli anni precedenti, la cui struttura con base a Nairobi riuscì ad affrontare con buoni risultati l’emergenza, i Mau Mau, nonostante l’arresto di alcuni militanti, furono in gra- do di ricostituire in breve tempo una forza tale da recuperare l’iniziativa. Non solo la spirale di violenze e omicidi non cessò, come invece sperato da Baring, ma già il 22 ot- tobre un altro capo lealista, Nderi, fu ucciso assieme a due poliziotti da numerosi mili- tanti mentre tentava di impedire, nelle vicinanze della sua abitazione, che venisse am- ministrato un giuramento15. Il governatore impose in novembre un’ulteriore stretta. Nuove misure d’emergenza furono approvate, quali l’estensione delle punizioni colletti- ve, il raddoppio dell’entità delle tasse annuali nei distretti dei kikuyu, l’aumento delle pene previste per reati quali l’appartenenza ai Mau Mau (da sette a quattordici anni) e la previsione della pena di morte per chi fosse stato giudicato colpevole di aver diretta- mente amministrato giuramenti. Successivamente furono chiuse 34 scuole indipendenti, fondate negli anni Trenta in seguito alla crisi intervenuta in materia di clitoridectomia e ritenute dal governo dei veri e propri centri di formazione ideologica dei terroristi. Il forte decisionismo di Baring lo pose non di rado in contrasto con Londra, tanto che Lyt- telton più volte suggerì di adottare un approccio che fosse più blando e che tenesse aper- te le possibilità di negoziato. Ma i poteri delegati a Baring attraverso la proclamazione dello stato d’emergenza erano tali da consentire al governatore un notevole spazio di manovra e un’indipendenza mai riscontrata prima del suo arrivo. Dal novembre 1952 al febbraio 1953 oltre 60.000 kikuyu furono sottoposti a pesanti interrogatori e migliaia di loro furono condotti fino a processo per violazione delle leggi d’emergenza16

, nella maggior parte dei casi senza che esistessero prove del loro coinvolgimento nella ribel- lione.

15

Y. Veilleux-Lepage, J. Fedorowicz, The Mau Mau Revolt in Kenya, 1952-56, in G. Fremont-Barnes (ed.), A History of Counterinsurgency, Volume 1, From South Africa to Algeria, 1900-1954, Santa Barba- ra, Praeger Security International, 2015, p. 184.

16

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Nel corso dello stato d’emergenza, che durerà otto anni, le vittime britanniche non furo- no più di trenta. A causa della loro maggiore esposizione, il principale bersaglio dei Mau Mau furono i kikuyu lealisti17, rappresentati dai capi e dai cristiani che non aveva- no aderito alla KISA, il sistema di chiese indipendenti sorto negli anni Trenta. Un signi- ficativo esempio in tal senso fu il massacro di cinque famiglie cristiane kikuyu presso Aguthi, nelle vicinanze di Nyeri. Emblematica fu la scelta della data, la sera della vigilia di Natale. Un gruppo di kikuyu guidato da Samson Gachura, un influente militante della regione, attaccò contemporaneamente le cinque abitazioni, uccidendone quasi tutti gli occupanti. Era una risposta ai metodi, anch’essi sommari, utilizzati dalla repressione del governo coloniale, rappresentati da episodi quali il massacro di Kiruara, piccolo centro del distretto di Fort Hall. Nella piazza del locale mercato, il 23 novembre, una folla di centinaia di kikuyu si era radunata per ascoltare il comizio di un giovane che profetizza- va l’imminente fine della dominazione straniera in Kenya. Ufficiali di polizia britannici, alla guida di uno sparuto gruppo di poliziotti kikuyu, intimarono alla folla di disperder- si. Fallito il tentativo, ordinarono ai loro uomini di aprire il fuoco. Il numero dei caduti rimase imprecisato: le stime ufficiali riportarono quindici morti e ventisette feriti18, ma è probabile che fossero molti di più.

La politica di repressione indiscriminata era sostenuta entusiasticamente da molti dei più influenti coloni britannici. Lyttelton stesso, in visita in Kenya a partire dal 29 otto- bre per incontrare Baring e i membri del Consiglio Legislativo, se ne rese rapidamente conto, quando Michael Blundell19 (principale esponente dei coloni nel Kenya Legislati- ve Council e futuro membro, a partire dal 1954, del War Cabinet costituito per condurre le fasi finali del conflitto) suggerì senza mezzi termini di autorizzare la polizia a sparare in ogni occasione verso i ribelli, giudicando inutile una politica di arresti o la cattura di prigionieri. La visione di Blundell era espressione dell’isterismo che aveva colpito la comunità britannica in Kenya, specialmente dopo che i Mau Mau avevano ucciso il primo europeo, Eric Bowker, nella Rift Valley. Pubblicamente Lyttelton e Baring rifiu- tarono di avallare una simile prospettiva. Tuttavia il Secretary of State for the Colonies dovette convincersi che l’idea che avevano i coloni a proposito dei Mau Mau, selvaggi assassini che attaccavano individui inermi armati di spade, lance e panga20, fosse fonda-

17

Alla fine del 1952 ammontava a 121 il numero dei kikuyu lealisti uccisi dai Mau Mau. Ivi, p. 70.

18

Nessuno dei responsabili fu poi sottoposto a processo. C. Elkins, op. cit., pp. 51-52.

19

Sulla figura di Michaell Blundell si veda D. A. Mungazi, The Last British Liberals in Africa: Michael

Blundell and Garfield Todd, Westport, Praeger Publishers, 1999.

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ta. Lyttelton non credeva che alla base della sollevazione ci fosse la condizione di mino- rità e servitù politica, economica e sociale della popolazione nativa. Tutto era da ricon- durre alla natura bestiale dei Mau Mau, un movimento che faceva della brutalità la sua cifra e la sua ragion d’essere. Fu in questo clima che il 3 dicembre ebbe inizio il proces- so a Kenyatta e ad altri cinque uomini, Fred Kubai, Bildad Kaggia, Kungu Karumba, Paul Ngei, Achieng’ Oneko. Per evitare che il processo offrisse la scusa per imponenti manifestazioni popolari contro il dominio coloniale, la sede fu spostata da Nairobi a Kapenguria, località della Rift Valley alla frontiera con l’Uganda, quasi totalmente pri- va di mezzi che la collegassero con l’esterno, e nella quale non esisteva neanche un tri- bunale permanente ove celebrare il processo. Giudice in udienza sarebbe stato Ransley Thacker, già membro per dodici anni della Corte Suprema del Kenya21. A rappresentare l’accusa, il Deputy Public Prosecutor Anthony Somerhaugh. I Kapenguria Six (come divennero noti i sei imputati) erano difesi da un collegio guidato da un avvocato inglese di notevole fama e di simpatie comuniste, Denis Nowell Pritt. Lo coadiuvavano perso- nalità del calibro di Chaman Lall, membro del Parlamento Indiano, l’avvocato nigeriano H. O. Davies e tre avvocati che risiedevano in Kenya, Fitz de Souza, Achhro Kapila, Ja- swant Singh. Lo spazio di manovra per la difesa era fortemente limitato. Ai difensori era negata persino la possibilità di conferire con i clienti fino a prima di dieci minuti dall’inizio di ogni udienza. Se alcuni degli imputati, come Kubai e Kaggia, avevano avuto un ruolo centrale nella costituzione del movimento Muhimu e nella diffusione del- la pratica dei giuramenti Mau Mau, Kenyatta si era prodigato nel contrastare la crescita di tale movimento. Eppure, era soprattutto Kenyatta l’uomo che Baring e i coloni vole- vano vedere assicurato alla giustizia. Quando Somerhaugh chiamò il suo primo testimo- ne, Rawson Macharia, questi sostenne di aver visto Kenyatta in persona amministrare il giuramento Mau Mau. Tuttavia il testimone indicò l’episodio come avvenuto prima del- la formale dichiarazione di illegalità del movimento, adottata dal governo nel 1950. Pritt insistette nel segnalare la cosa, ma il giudice Thacker replicò sostenendo, capziosamen- te, che la testimonianza era utile a provare che Kenyatta aveva amministrato alcuni giu- ramenti, e che la data dell’episodio fosse ininfluente, dato che era logico supporre che l’imputato avesse proseguito nell’attuare tale pratica anche quando questa era stata di-

21

Per questo compito Thacker ottenne un compenso di 20.000 sterline. M. Burleigh, Small Wars, Far

Away Places: The Genesis of the Modern World 1945-65, London, Macmillan Publishers Limited, 2013,

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chiarata illegale22. Ben presto i difensori di Kenyatta dovettero accorgersi che le possi- bilità di un’assoluzione fossero nulle. Una robusta campagna di stampa si scagliò contro Kenyatta, dipinto quale leader sanguinario di un movimento terrorista che aveva il solo scopo di eliminare tutti i coloni britannici. Gli eventi dei mesi successivi complicarono ulteriormente la situazione. Il 24 gennaio del 1953, nella zona di Kinangop, nella Rift Valley, i coniugi Ruck e il loro bambino Michael furono uccisi dai loro stessi servitori, seguaci Mau Mau che erano riusciti a celare ai propri padroni la loro appartenenza al movimento. L’attacco alla casa dei Ruck produsse un profondo sgomento nella comuni- tà dei coloni, diventando uno dei simboli della propaganda favorevole alla violenta re- pressione dei nativi: alcuni quotidiani mostrarono le foto dei cadaveri, inclusa quella di Michael Ruck, adagiato nel proprio letto con le lenzuola ammantate del suo sangue23. Anni dopo lo scrittore Robert Ruark trarrà spunto dalla vicenda per inserirla, in chiave romanzata, nella sua opera, Something of Value, da cui sarà poi tratto un film. Il 25 gen- naio 15.000 britannici manifestarono a Nairobi, giungendo presso la Government House e invocando a chiare lettere una vendetta che si abbattesse su tutti i kikuyu, villaggio per villaggio. Solo l’intervento di Michael Blundell consentì di disperdere la folla. L’evolversi del conflitto e l’ormai diffusa percezione per buona parte dei coloni che la situazione fosse evoluta in una lotta per la sopravvivenza, ponevano i Kapenguria Six in una situazione senza uscita. L’8 aprile 1953 si giunse a sentenza. A Kenyatta fu data la possibilità di tenere un’ultima dichiarazione, nella quale respinse con forza l’accusa di essere il leader dei Mau Mau e contestò la veridicità delle addebiti a lui ascritti. Poi Thacker emise il verdetto. I sei imputati furono condannati a sette anni di prigione e la- vori forzati24. Pritt si appellò al Privy Council, competente a giudicare in caso di appel- lo, per rivedere la posizione degli imputati, ma la sua richiesta fu respinta. Il desiderio di vendetta dei coloni era stato parzialmente placato.

22

Successivamente Macharia ammise che la sua testimonianza era completamente falsa. M. Meredith,

The Fate of Africa: A History of the Continent Since Independence, New York, PublicAffairs, 2011, p.

87.

23

C. Elkins, op. cit., pp. 42-43.

24

Subito dopo aver pronunciato la sentenza, Thacker si rivolse direttamente a Kenyatta: «Stanne certo, i Mau Mau saranno sconfitti, e sebbene potranno esserci nuovi crimini e nuovi omicidi, nuovi incendi e an- cor più terrore, la legge e le forze dell’ordine prevarranno nel lungo periodo, anche se la via dovesse esse- re lunga e difficile». R. Christenson, Political Trials in History: From Antiquity to the Present, New Brunswick, Transaction Publishers, 1991, p. 239.

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