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La cattura di Waruhiu Itote, “General China”

Se la rivalità tra le maggiori figure carismatiche del Kenya Land Freedom Army aveva reso debole l’azione dei ribelli nel settore dei Monti Aberdare, l’assoluta preminenza di Waruhiu Itote tra i generali che agivano nella regione del Monte Kenya, faceva del lea- der Mau Mau un obiettivo primario dell’esercito britannico. In effetti, qualora fosse sta- to possibile realizzare una gerarchia tra tutti i comandanti, per la massima carica sarebbe stato naturale, almeno fino alla fine del 1953, spendere il nome del generale China. Do- tato di straordinario carisma e capacità di comando, già combattente nell’esercito bri- tannico durante la Seconda guerra mondiale, fu tra i primi a cui venne amministrato il giuramento Mau Mau e tra i primissimi, ancor prima della proclamazione dello stato d’emergenza, a raggiungere le foreste, al comando di un manipolo di trenta uomini, per dare inizio alla lotta armata. Nel corso dei mesi le formazioni da lui guidate crebbero notevolmente il numero degli effettivi, tanto che all’inizio del 1954 si aggirava attorno alle 7.500 unità la cifra dei soldati sotto il suo comando. Nei distretti di Fort Hall e Nye- ri la colonna di Itote fu in grado di tenere per mesi sotto scacco sia le Home Guard che i reparti dei KAR. L’estrema organizzazione e l’efficace collegamento con l’ala passiva del movimento nelle riserve faceva sì che gli uomini del Monte Kenya sfuggissero fa- cilmente alla cattura, e neppure i bombardamenti della RAF, ulteriormente intensificati con l’avvento di Erskine, causarono perdite considerevoli agli insorti. Questa grande coesione è ancor più sorprendente e testimonia a favore del carisma e delle capacità del

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generale, se si considera che sotto la sua direzione strategica agivano non solo coman- danti kikuyu, ma anche appartenenti alle etnie dei meru (tra gli altri Isaac Simba, Isaac M’Ithinji, Martin, Kaggia e Musa Mwariama) e degli embu (Kassam, Kubu Kubu)38

. L’esercito del Monte Kenya si componeva di 9 battaglioni, che rispondevano ad una struttura centrale, il Mount Kenya Committee, composto da 20 ufficiali e presieduto da China. Il Mount Kenya Committee nominava al suo interno gli elementi che andavano a formare un comitato esecutivo, anch’esso guidato da China39

. Tutti i diversi reparti ri- spondevano alla sua autorità. Per questa ragione i britannici posero una taglia sulla sua testa, unico tra i generali del Monte Kenya40. Per questo, quando il 15 gennaio del 1954 il generale fu fatto prigioniero dai britannici, fu subito chiaro che la svolta impressa al conflitto era significativa.

China fu intercettato assieme ad altri suoi uomini presso Kiawarigi, una località appena al di fuori della regione del Monte Kenya, dalle Home Guard e dai soldati britannici. I Mau Mau si trovarono circondati, con il nemico che presidiava ogni possibile via di fu- ga. Nel combattimento che ne seguì, China fu ferito. Stando a quanto da lui stesso rac- contato, continuò a combattere per un’altra ora finché, spossato, non giunse quasi a per- dere conoscenza. Due soldati, membri dei KAR, lo catturarono e lo condussero presso il loro accampamento. L’ufficiale in capo, il luogotenente Wallace Young, si prese la re- sponsabilità di farlo trasportare presso l’ospedale di Karatina, dove fu operato. Da lì fu poi condotto dapprima all’ospedale di Nyeri per ulteriori cure, poi a Nairobi41. L’arresto

di China fu senza alcun dubbio, a quel punto del conflitto, il più grande successo conse- guito dai britannici sin dalla proclamazione dello stato d’emergenza. Non appena rista- bilitosi, il generale passò in mano all’intelligence per essere interrogato. Ian Henderson, sovrintendente dello Special Branch, fu incaricato di condurre l’interrogatorio. Era la scelta giusta: Henderson aveva vissuto per anni nella regione di Nyeri, proprio dove era nato e cresciuto China; parlava la lingua kikuyu senza alcuna difficoltà, tanto che col generale preferì esprimersi in quell’idioma piuttosto che in swahili o in inglese. Hender- son interrogò China per 68 ore, al termine del quale produsse un rapporto di 44 pagi- ne42. Il generale non fu sottoposto a torture, né ricevette un trattamento particolarmente duro. Convinto della sua futura condanna a morte, inizialmente cercò soltanto di non

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L.L.P. Huttenbach, op. cit., p. 93.

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M. Osborne (ed.), The Life and Times of General China: Mau Mau and the End of Empire in Kenya, Princeton, Markus Wiener, Publishers, 2015, pp. 150-153.

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Anche Kimathi e Mathenge furono oggetto di una taglia.

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M. Osborne, Introduction, in M. Osborne (ed.), op. cit., pp. 19-20.

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tradire i compagni. La strategia adottata da Henderson si rivelò però vincente: il sovrin- tendente cercò di eccitare il generale provocandolo e conducendo la discussione sulle rivendicazioni della comunità kikuyu. Provato dalle domande che per giorni gli vennero poste, China finì per tradirsi più volte, arrivando a fornire numerose informazioni sulla struttura e la composizione delle forze ribelli nella regione del Monte Kenya. Ciò che lo Special Branch ottenne da lui fu abbastanza da poter rivedere quanto le forze coloniali credevano di conoscere fino a quel momento a proposito dei Mau Mau. Ad esempio, i britannici erano soliti dividere il movimento ribelle tra l’ala militare e quella dei sosteni- tori nelle riserve; China chiarì come invece esistessero corpi che non appartenevano né all’una né all’altra, ma che fungevano specificamente da collegamento: quello dei cor- rieri, quello dei perlustratori, e la polizia segreta del movimento, i cui elementi agivano soprattutto nelle riserve e nelle città fornendo un servizio di intelligence e spionaggio43. Henderson ricavò dall’interrogatorio un’impressione ambivalente, se è vero che definì il generale come un vero fanatico e un martire interamente votato alla causa44, al tempo stesso dotato di buona intelligenza. Quale che fosse la verità, Henderson riteneva che fosse più utile servirsi di un prigioniero così importante, ottenendo da lui collaborazione utile ad infliggere un colpo decisivo ai ribelli, piuttosto che condannarlo a morte, ed espresse questa idea presso i suoi superiori. China fu comunque nuovamente trasferito a Nyeri, dove il primo febbraio ebbe inizio il processo in cui era imputato per gli atti commessi in qualità di combattente Mau Mau. La quantità di materiale prodotta dall’accusa era tale che non vi erano dubbi sull’esito. Il 3 febbraio, dopo un brevissimo dibattimento, si giunse alla sentenza. Il giudice MacDuff lo ritenne colpevole di compli- cità in attività terroristiche e possesso di munizioni e lo condannò a morte. Il suo destino tuttavia non era del tutto segnato. Il governatore aveva infatti la possibilità di commuta- re la pena, qualora il generale avesse offerto la propria collaborazione. La questione fu affrontata anche a Londra, nella riunione di gabinetto del 10 febbraio. In quell’occasione, Churchill si espresse sul tema dell’esecuzione delle condanne a morte dei guerrieri Mau Mau. A suo parere la necessità di punire China doveva essere soppe- sata con l’esistenza di altri e più importanti interessi, e auspicò che Baring utilizzasse la propria prerogativa nel caso in questione. Lyttelton si dimostrò assai contrario, convinto che un’eventuale commutazione della pena avrebbe scontentato l’ambiente dei coloni e creato una spaccatura tra la società civile e le autorità del Kenya in una fase così delica-

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H. Bennett, op. cit , p. 238.

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ta del conflitto45. Nei giorni successivi fu nuovamente dato mandato ad Henderson di interrogare China, stavolta per proporgli direttamente di collaborare in cambio della sua salvezza. Il generale accettò. Il 17 febbraio il Gabinetto si riunì di nuovo, e anche se Lyttelton continuò a dichiararsi non convinto dell’eventualità che andava profilandosi, riconobbe che la decisione spettasse a Baring; era ormai chiaro che la linea di Churchill aveva prevalso. A fine mese il Gabinetto dette formale autorizzazione affinché il gover- natore utilizzasse China per stabilire contatti segreti con il nemico. In realtà il generale aveva iniziato a collaborare già dal 13 febbraio. Quel giorno era stata lanciata l’operazione Wedgewood46

, sotto la regia di Henderson e basata integralmente sull’ausilio di China. Il 16 febbraio il generale scrisse ventisei lettere ad altrettanti capi ribelli, sia dell’ala militare che delle riserve, nelle quali li invitava a concertare una resa con le autorità del governo e li assicurava che qualora avessero posto termine alla lotta non sarebbero stati condannati a morte. A tale scopo li invitava a presentarsi ad un in- contro con lo stesso China ed alcuni rappresentanti del governo coloniale. La proposta era clamorosa. Kimathi dapprima rispose direttamente agli uomini del governo, inti- mando loro provocatoriamente che, se davvero volevano avviare negoziati, dovevano rilasciare tutti i prigionieri politici, disarmare l’esercito e riconoscere l’indipendenza del paese47. Dopodiché convocò un incontro cui parteciparono tutti i capi destinatari della lettera di China. In quell’occasione fu stabilito che una delegazione composta da alcuni dei leader Mau Mau avrebbe incontrato i rappresentanti del nemico48. Tali condizioni furono trasmesse a China, ma la lettera non arrivò subito a destinazione e non potette ricevere replica, cosa che rese Kimathi assai sospettoso sulle reali intenzioni dei britan- nici. Il 4 marzo Baring annunciò pubblicamente la commutazione della pena di China all’ergastolo, nonché l’esistenza di colloqui per una resa del nemico, scatenando la rea- zione critica di Blundell e dell’ambiente dei coloni. Il 6 marzo uno dei principali capi Mau Mau e tra i più stretti collaboratori di China, il generale Tanganyika, si recò di propria iniziativa a Nyeri per parlare con il generale. Quando fece ritorno nel Monte Kenya comunicò le nuove condizioni dettate dai britannici per proseguire nella trattati- va. Non appena venuto a conoscenza degli ulteriori sviluppi, Kimathi decise di boicotta- re i colloqui, temendo di essere stato giocato sia dai britannici che dai compagni; anche tra le fila dell’amministrazione coloniale erano in pochi a sostenere questa strategia, dif-

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R. Toye, Churchill's Empire: The World that Made Him and the World He Made, London, Pan Mac- millan, 2010, pp. 295-297.

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H. Bennett, op. cit., p. 136.

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M. Osborne, op. cit., in M. Osborne (ed.), op. cit., p. 30.

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fidando in molti dei Mau Mau e della loro parola49. Ma sia Erskine che Baring sostenne- ro la svolta, convinti che il cosiddetto China surrender scheme, implementato attraverso l’operazione Wedgewood, avrebbe condotto ad una rapida conclusione delle ostilità. Era infatti opinione sia del governatore che di Erskine che se i maggiori capi dell’ala milita- re e delle riserve si fossero arresi, anche il resto del movimento avrebbe abbandonato la lotta. Ad ogni modo anche qualora la trattativa fosse fallita, l’operazione Wedgewood aveva se non altro il merito di amplificare le divisioni all’interno del movimento Mau Mau. Ciò che né i coloni né i lealisti, questi ultimi preoccupati di assistere al ritorno dei loro nemici nelle riserve, sembravano comprendere, era che l’obiettivo del governo e dell’esercito era semplicemente porre fine alla guerra, secondo i desiderata di Londra, piuttosto che avallare una visione di guerra totale al nemico improntata esclusivamente su uno spirito vendicativo. In questo clima non fu facile per Henderson far sì che le Home Guard collaborassero con lo Special Branch, ed anzi si moltiplicarono episodi di mancato rispetto delle consegne e degli ordini. Erskine dal canto suo provvide a cost i- tuire delle postazioni adibite ad accogliere i ribelli disposti a consegnarsi, luoghi idonei ad interrogarli prima di condurli nei campi di lavoro. Gli aerei della RAF che sorvola- vano i territori occupati dai Mau Mau trasmettevano attraverso gli altoparlanti le voci di Henderson e Waruhiu Itote che invitavano i ribelli alla resa50. Tuttavia per tutto il mese di marzo non furono fatti reali progressi, per le difficoltà di mantenere i contatti con Tanganyika e con gli altri ribelli. La svolta giunse il 28 marzo. Il generale Kaleba, uno dei principali comandanti Mau Mau, si consegnò spontaneamente fermando un camion delle King’s African Rifles e chiedendo di poter conferire con China onde far prosegui- re le trattative. Henderson ebbe modo di sapere da Kaleba quale fosse l’orientamento dei generali Mau Mau. Secondo Kaleba esisteva una spaccatura tra chi era disposto a collaborare (soprattutto la fazione del Monte Kenya) e chi riteneva l’intera operazione una trappola (gli uomini di Kimathi). Il giorno seguente, all’alba, Kaleba fu rilasciato, con l’accordo di organizzare un nuovo incontro nei giorni successivi. Il 30 marzo esso ebbe luogo, presso Nyeri. Kaleba fu accompagnato da altri cinque leader Mau Mau (tre dei quali operavano nel Monte Kenya, due negli Aberdare) che preferirono mantenere l’incognito. Erano presenti China e Tanganyika. A rappresentare il governo coloniale c’erano Windley, Ministro per gli Affari Africani, Gribble, capo dello Special Branch, Henderson e il Major-General Heyman, Chief of Staff dell’esercito. Per tre ore furono

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Ivi, p. 274.

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P. Hewitt, Kenya Cowboy: A Police Officer's Account of the Mau Mau Emergency, Johannesburg, 30° South Publisher, 2008, p. 111.

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discussi i termini dell’eventuale resa, per la quale il governo offriva cinque garanzie: le forze armate si impegnavano a non sparare a nessun ribelle nel momento in cui questi manifestava l’intenzione di arrendersi; il trattamento dei prigionieri sarebbe stato corret- to; nessun guerriero sarebbe stato processato per essere stato trovato in possesso di ar- mi; nessuno sarebbe stato condannato a morte per crimini commessi prima di essersi ar- reso (era questo un punto che stava particolarmente a cuore della delegazione guidata da Kaleba, considerato che molti Mau Mau avevano commesso, prima di aver aderito all’ala militare, numerosi reati che le leggi d’emergenza punivano con la morte); coloro che si sarebbero consegnati sarebbero stati condotti in campi di detenzione51.

I delegati Mau Mau si impegnavano a ridiscutere la proposta con gli altri leader del mo- vimento. Anche Tanganyika sarebbe tornato con loro nelle foreste. Heyman impegnava l’esercito ad interrompere i bombardamenti e le azioni militari nella regione del Monte Kenya e intorno agli Aberdare, ma non le operazioni nelle riserve. Per il 10 aprile era previsto un nuovo incontro, presso Konyu, non lontano da Nyeri. Era una tregua geo- graficamente circoscritta, e fu proprio questo elemento a far fallire l’operazione Wed-

gewood. Quando i sei delegati, accompagnati da Tanganyika, tornarono nel Monte Ke-

nya, un altro generale, Gatamuki, dapprima li arrestò, accusandoli di aver complottato col nemico, dopodiché li rilasciò, essendosi persuaso che questi avessero condotto le trattative in buona fede e per il bene dell’intero movimento52

. Di fatto, buona parte dei combattenti del Monte Kenya si preparava alla resa, mentre negli Aberdare gli uomini di Kimathi e Mathenge mantenevano la loro posizione belligerante. Il 6 aprile mille uomini guidati da Gatamuki si mossero dalle foreste per accamparsi presso Gathuini, al confine con le riserve. Altri 600 uomini, guidati da Kaleba, muovevano nei distretti de- gli embu e meru. Altri attendevano nelle foreste, decisi anch’essi ad arrendersi. Era evi- dente che i guerriglieri si stavano muovendo per raggiungere Konyu in tempo per la da- ta designata per il nuovo incontro. Così facendo tuttavia essi finirono per trovarsi fuori dal perimetro in cui aveva effetto la tregua stabilita a Nyeri. La mattina del 7 aprile il 7° Battaglione dei King’s African Rifles attaccò gli uomini di Gatamuki. Nello scontro a fuoco caddero venticinque Mau Mau, e sette furono i prigionieri, incluso il generale. La battaglia di Gathuini pose fine alle trattative. Tutti i Mau Mau superstiti tornarono nella foresta; i leader dell’ala passiva che agivano nelle riserve smisero di fare da rac- cordo tra esercito britannico e guerriglieri. Erskine, che aveva mostrato grande speranza

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H. Bennett, op. cit., p. 138.

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che l’operazione Wedgewood conducesse alla completa resa dei ribelli53

, ritenne tuttavia che i suoi uomini non avessero violato i termini dell’accordo di Nyeri. I ribelli si con- vinsero che l’intera operazione fosse stata una trappola orchestrata per farli uscire allo scoperto ed eliminarli. I sei generali che avevano partecipato all’incontro di Nyeri furo- no posti agli arresti dai Mau Mau. L’operazione Wedgewood fu ufficialmente interrotta il 16 aprile. Il fallimento non era però totale. L’operazione aveva dimostrato che buona parte dell’ala militare del movimento aveva perduto le motivazioni per continuare a combattere. L’arresto di China54 aveva disorientato i soldati ribelli del Monte Kenya e reso ancor più nette le divisioni all’interno dell’esercito Mau Mau. Essere riusciti a far collaborare uno dei principali leader ribelli costituiva un successo propagandistico di straordinaria portata, le cui conseguenze sul morale del nemico erano potenzialmente fatali. Il generale si era rivelato una risorsa imprescindibile per i britannici; grazie a lui le dinamiche interne al movimento, fino ad allora in buona parte sconosciute, erano di- venute patrimonio dell’esercito e dell’amministrazione. Questo era forse un risultato an- cor più importante dell’eventuale resa di centinaia di militanti. Dalla primavera del 1954 era ormai divenuto chiaro che la rivolta dei Mau Mau sarebbe stata militarmente scon- fitta. Erskine e Baring furono in grado di preparare una nuova offensiva, volta a sman- tellare la struttura nemica sia nelle foreste che nelle riserve.