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Le divisioni interne al Kenya Land Freedom Army

Sia il governo che lo stesso generale Erskine si erano inizialmente illusi di poter realiz- zare in Kenya la dottrina del minimum force, una teoria militare che fondava l’ammissibilità dell’uso della forza sulla proporzionalità della stessa all’obiettivo da raggiungere1. La violenza bellica non doveva eccedere quanto necessario per ottenere la vittoria. In questo senso, imporre una disciplina ferrea alle truppe era elemento centrale: evitare gli eccessi e ridurre al minimo gli abusi nei confronti della popolazione civile doveva essere parte integrante della strategia. In verità, come abbiamo visto, Erskine dovette scendere a compromessi con la realtà. La dottrina del minimum force era diffi- cilmente applicabile al contesto kenyano. A ben vedere l’idea che gli ambienti militari britannici si erano formati in quegli anni a partire dall’intervento nella Malaya, e cioè quella di essere in grado di circoscrivere i pericoli di una sollevazione militare a territori relativamente ristretti, e senza cagionare alla popolazione sofferenze ulteriori rispetto a quelle inevitabili in un conflitto, pareva più un autoinganno che una verità effettivamen- te riscontrabile nell’esperienza imperiale britannica2. Se il massacro di Chuka, come ab- biamo visto, fu l’evento che più di tutti dimostrò l’incapacità di realizzare un controllo sulle truppe che direttamente dipendevano dall’esercito britannico, la situazione relativa alle Home Guard era addirittura peggiore. Queste infatti godevano di una marcata indi- pendenza. Imporre una condotta rispettabile a reparti di fatto spesso fuori dal controllo delle autorità militari dovette risultare impossibile. Ciò che accadde nel distretto di Fort Hall solo pochi giorni dopo gli eventi di Chuka fu un esempio evidente in tal senso. Nella zona di Mununga Ridge, in prossimità delle foreste dei Monti Aberdare, uno dei più influenti capi del distretto, Njiri Karanja, aveva organizzato un reparto di Home Guard per pattugliare il territorio e agire in contrasto alle azioni dei Mau Mau. Presso il villaggio di Kinyona, Karanja aveva fatto costruire una postazione fortificata, che di-

1

Sulla dottrina del minimum force, e sulla sua effettiva applicazione in contesti di contro-insurrezione, si veda H. Bennett, op. cit., pp. 83-107, e R.M. Cassidy, Counterinsurgency and the Global War on Terror:

Military Culture and Irregular War, Westport, Praeger Security International, 2006, pp. 93-94.

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venne presto bersaglio dei Mau Mau3. Gli scontri tra ribelli e lealisti si susseguirono per tutta la primavera del 1953. Alla fine di giugno gli uomini del generale Kago, uno dei principali leader Mau Mau, riuscirono ad uccidere Thigiru4, figlio prediletto di Karanja ed anch’egli arruolato nelle Home Guard. Quando il padre ebbe conoscenza dell’accaduto dette avvio ad una delle più terribili vendette di tutto il conflitto. Nei due giorni successivi le sue Home Guard setacciarono ad uno ad uno i villaggi della regione di Mununga, uccidendo qualunque creatura, uomini o animali, vi trovassero. Njiri era convinto che l’intera popolazione fosse complice nella morte del figlio; accecato dal de- siderio di vendetta si persuase che per sradicare i Mau Mau dalla regione fosse necessa- rio eliminare ogni individuo, senza lasciare superstiti. Stando ad un testimone, Leonard Gill, che prestava servizio nel Kenya Regiment, circa 400 persone, comprese donne e bambini, furono uccisi nelle operazioni di rappresaglia guidate da Njiri5. I corpi rimase- ro insepolti, alcuni lasciati all’aria aperta in attesa che le iene ne divorassero le spoglie6

. Quanto accaduto dimostrava l’impossibilità di far accettare la dottrina del minimum for-

ce alla componente lealista.

Tuttavia la riorganizzazione dell’esercito britannico proseguiva con successo; in set- tembre il processo di razionalizzazione delle forze armate, accompagnato da un sensibi- le aumento della loro consistenza numerica, poteva dirsi completato. Nell’altro campo, anche i Mau Mau, a partire dall’estate del 1953, dovettero rivedere la struttura del Ke- nya Land Freedom Army, il braccio armato del movimento. Se nella regione del Monte Kenya emerse come figura indiscutibile Waruhiu Itote, il già menzionato General Chi- na, nei Monti Aberdare due leader carismatici si contendevano il primato: Dedan Kima- thi e Stanley Mathenge. Ciò ebbe conseguenze sull’efficienza dei diversi reparti dell’esercito ribelle, laddove almeno inizialmente le truppe del Monte Kenya potevano vantare una migliore organizzazione. China fu in grado di realizzare una struttura di coordinamento capace di collegare alla sua persona tutti i principali leader della regione, e di mantenere i contatti tra l’ala militare e i seguaci delle città e delle riserve. Tanto che le sue truppe riuscirono a superare quasi indenni l’ondata di arresti condotta dallo Spe- cial Branch in luglio e agosto, e che portò alla cattura di molti militanti nei territori

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I ribelli avevano ribattezzato la postazione “Berlin”, per la sua centralità, posta in un territorio in cui gli scontri tra lealisti e Mau Mau si intensificarono progressivamente, e per la difficoltà di conquistarla, D. Anderson, Surrogates…cit., in G. Kassimeris (ed.), op. cit., p. 164.

4

Ibidem.

5

Ivi, p. 167.

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adiacenti al Monte Kenya7. Negli Aberdare la situazione fu differente. Kimathi e Ma- thenge tentarono dapprima di rapportarsi tra loro instaurando uno spirito di collabora- zione, tanto da dare vita, nella primavera del 1953, ad un Supremo Consiglio di guerra8, un organismo direttivo che riuniva i 12 principali leader della regione. Mathenge veniva riconosciuto come comandante in capo, Kimathi assumeva la carica di segretario gene- rale. Il Consiglio fu convocato più volte nelle settimane successive, ma non fu possibile evitare che una rivalità sorgesse tra i due principali comandanti. In agosto Kimathi con- vocò un nuovo incontro, più tardi denominato Mwethe Meeting9, nel tentativo di facili- tare un maggiore coordinamento tra le diverse unità del Kenya Land Freedom Army. Il meeting si rivelò un fallimento. Stanley Mathenge non si presentò, cosicché Dedan Ki- mathi e i suoi sostenitori ebbero modo di stabilire le linee guida della futura conduzione delle operazioni. Fu creato un nuovo organismo, il Kenya Defence Council, e Kimathi, autonominatosi Field-Marshal10, fu proclamato comandante supremo dell’esercito ribel- le. Al di là delle velleità dei sostenitori di Kimathi, il meeting si limitò a constatare l’esistenza di 8 diversi gruppi armati11

, vagamente collegati tra loro, che godevano di fatto di un’indipendenza operativa nelle reciproche zone di competenza. I principali generali (China, Mathenge, Macharia, Kimbo ed altri) rifiutarono nei mesi successivi di riconoscere la preminenza di Kimathi. L’incontro di Mwethe non produsse ulteriori svi- luppi, e qualsiasi tentativo di formare una struttura consolidata fu resa impossibile dalla spaccatura insorta tra Mathenge e Kimathi12. Il primo, che poteva vantare una notevole esperienza in campo militare, era tuttavia un’analfabeta, così come lo era la maggior parte dei suoi sostenitori: all’interno dell’esercito Mau Mau, Mathenge divenne il cam- pione dei guerriglieri di estrazione più umile, ma non ebbe mai il supporto dei più alfa- betizzati, né il nemico lo vide mai nelle vesti di possibile capo principale dei ribelli. Kimathi invece possedeva buona cultura e rappresentava la fazione composta dai giova- ni nati a partire dagli anni Venti che avevano ricevuto la loro educazione nelle chiese

7

D. Anderson, Histories…cit., p. 248.

8

M. wa Kinyatti, Kenya‟s Freedom Struggle: The Dedan Kimathi Papers, London, Zed Books, 1987, p. 4.

9

A. Alao, C. Hook, op. cit., p. 16.

10

M. wa Kinyatti, Kenya‟s…cit., p. 6.

11

Gikuyu Iregi Army nel distretto di Fort Hall, Ituma Ndemi Army attorno a Nyeri, Kenya Inooro Army nel distretto di Kiambu, MEI Mathathi Army nel Monte Kenya, Mburu Ngebo Army nella Rift Valley, I battaglioniTownwatch nelle città, le forze speciali del Kenya Levellation Army, il Gikuyu na Mumbi Tr i- nity Army, un reparto semiufficiale composto in massima parte da simpatizzanti e irregolari. Ibidem.

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Nella memorialistica rimane evidenza della spaccatura tra i due grandi generali Mau Mau, con ex- combattenti, quali Karari Njama, schierati dalla parte di Kimathi, ed altri, come Wachanga, legati alla fi- gura di Mathenge. Quel che appare certo è che la rottura dell’unità dei ribelli in un territorio decisivo co- me quello degli Aberdare sia stato uno dei principali fattori alla base della sconfitta dei Mau Mau. D. An- derson, Histories…cit., pp. 249-250.

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missionarie protestanti o in quelle indipendenti kikuyu. Fu Kimathi che tentò di far co- noscere le rivendicazioni dei Mau Mau anche fuori del Kenya, indirizzando nell’ottobre del 1953 ai governi britannico, francese, americano, sovietico, indiano ed egiziano la cosiddetta KLFA Charter13, il vero manifesto politico del movimento, nel quale in 79 punti venivano riassunti gli elementi che avevano condotto all’insurrezione. Alla base della rivalità tra i due generali vi era dunque una parziale differenziazione di interessi e aspettative che perdurò per tutta la guerra e si riverberò sulla coesione del gruppo14. Nonostante tali frizioni, la seconda metà del 1953 fu il periodo in cui si registrò il mag- giore successo dei Mau Mau in termini di reclutamento e affiliazione. Se è vero che le operazioni guidate da Erskine nell’estate del 1953 avevano costretto i ribelli a ritirarsi sempre più nell’interno dove le foreste erano più fitte, tra il giugno 1953 e la fine dell’anno il numero complessivo dei combattenti raddoppiò, passando da 12000 a circa 24000 unità15. Nel febbraio del 1954 fu formato un nuovo comitato centrale, in sostitu- zione del Kenya Defence Council; esso assunse la denominazione di Kenya Parlia- ment16, ed aveva una struttura più flessibile. Anch’esso fu sin da principio dominato dalla figura di Kimathi. Nel più grande e importante campo dei ribelli, quello di Kariai- ni, negli Aberdare, nel periodo considerato si raggiunse un numero di soldati pari quasi alle 5000 unità17. Erskine dovette intuire velocemente l’entità dei progressi compiuti dai Mau Mau nel reclutamento e nell’azione di proselitismo, se già in luglio ipotizzava di affiancare alle offensive militari anche l’offerta di amnistie e immunità per i ribelli che si fossero arresi, a condizione che non avessero precedentemente commesso omicidi o crimini gravi. Il 20 agosto due lettere pervennero allo Special Branch, il cui autore si presumeva fosse Dedan Kimathi. Questi si dichiarava disposto a trattare i termini per una pace onorevole; per dimostrare la sua buona fede, già da tre settimane aveva ordina- to ai suoi uomini di interrompere i raid contro le postazioni nemiche18. Gli uomini dell’intelligence giudicarono autentiche le due lettere e, quattro giorni dopo, Erskine e Baring dettero il via al primo surrender scheme, ovvero l’offerta di immunità verso i ri- belli che si fossero consegnati alle autorità coloniali. Per renderne più semplice l’identificazione, ed evitare che venissero scambiati per nemici in azione, la propaganda

13

M. wa Kinyatti, Kenya‟s…cit., pp. 16-17.

14

J. Lonsdale, The Moral Economy of Mau Mau: Wealth, Poverty and Civic Virtue in Kikuyu Political

Thought, in B. Berman, J, Lonsdale (eds.) Unhappy Valley, Conflict in Kenya and Africa, Book Two: Vio- lence and Ethnicity, Oxford, James Currey, 1992, p. 456.

15 D. Anderson, Histories…cit., p. 244. 16 M. wa Kinyatti, Kenya‟s…cit., p. 7. 17 D. Anderson, Histories…cit., p. 245. 18

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suggerì ad ogni ribelle che aveva l’intensione di raggiungere le postazioni dell’esercito britannico di portare con sé un ramoscello verde19. Fu tale espediente a suggerire la de- nominazione dell’operazione, la Green Branch surrender scheme. In un’altra lettera, la cui autenticità ancora una volta era da ritenersi presunta, Kimathi chiedeva di stabilire i termini per una tregua. Essa fu posta all’attenzione di Erskine, ma le trattative non ebbe- ro ulteriore seguito. Nel complesso il surrender scheme non raccolse il successo spera- to. In sei mesi solo 159 ribelli si consegnarono ai britannici20, per la maggior parte nella Rift Valley e quasi tutti soldati semplici o ausiliari, un numero insignificante in relazio- ne all’entità che le forze Mau Mau avevano assunto alla fine del 1953.

In settembre Hugh Fraser, influente parlamentare del partito conservatore, giunse in vi- sita in Kenya21. Fraser potette constatare di persona i progressi occorsi sul piano milita- re, giudicando lodevole il lavoro svolto da Erskine fino a quel momento. Sul piano poli- tico, Fraser affrontò con Baring la questione dei campi di detenzione che nel corso del primo anno di emergenza erano stati allestiti in tutta la Provincia Centrale. Ciò che pre- meva al governo era affiancare all’uso della repressione un processo di recupero e riabi- litazione dei kikuyu internati. Non soltanto con la coercizione, ma conquistando “i cuori e le menti”, i britannici avrebbero sconfitto la rivolta.