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Nel gennaio 1954 una delegazione di parlamentari, composta da esponenti sia del La- bour che del Conservative Party, giunse in visita in Kenya. Il soggiorno durò dall’8 al 24 gennaio, speso in buona parte tra Nairobi e Mombasa, con una breve tappa nel cam- po di detenzione di Athi River55. Alla fine del viaggio i delegati produssero un docu- mento, il Report to the Secretary of State for the Colonies by the Parliamentary Delega-

tion to Kenya, nel quale veniva soprattutto affrontata la questione degli abusi commessi

dalla polizia e dalle Home Guard. Il rapporto suggeriva di riorganizzare le forze di poli- zia, in modo da renderle maggiormente indipendenti dall’ambiente dei coloni e dei lea-

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In una lettera scritta alla moglie si disse assai fiducioso del successo dell’operazione, convinto che «la pressione su di loro dovesse essere troppo grande e che non volessero più combattere una battaglia senza speranza». H. Bennett, op. cit., p. 138.

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Terminata l’operazione Wedgewood, China fu condotto nel nord del paese, presso la prigione di Loki- taung. Lì divenne stretto confidente di Jomo Kenyatta. Tornò in libertà nel giugno del 1962, quando era ormai prossima l’indipendenza. M. Osborne, op. cit., in M. Osborne (ed.), op. cit., pp. 31-33.

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listi. In ossequio a tale orientamento, in marzo Arthur Young, Police Commissioner del- la città di Londra, fu posto a capo della polizia kenyana con il compito di riformarla e limitarne la tendenza alla commissione di crimini contro la popolazione. Young poteva vantare un’analoga precedente esperienza nella Malaya56

, e dunque fu giocoforza natu- rale spendere il suo nome per questa carica. Ben presto dovette accorgersi che il compi- to affidatogli era al di sopra delle sue possibilità ( e forse di chiunque altro) stante l’ostilità dei coloni e dello stesso Baring nel dare avvio ad un processo di risanamento delle forze dell’ordine.

Ancor più significative furono le successive visite di Harding, generale in capo delle forze armate imperiali, che giunse in Kenya il 20 febbraio, e di Lyttelton, che arrivò a Nairobi il 28 febbraio. Mentre l’esercito e lo Special Branch erano impegnati nell’operazione Wedgewood, Lyttelton preparava una riforma costituzionale che avreb- be cambiato il volto del paese una volta terminato il conflitto. Il 10 marzo il Secretary of the State for the Colonies annunciò il nuovo assetto istituzionale del Kenya, il cui Con- siglio dei Ministri, organo esecutivo della colonia, sarebbe stato composto, oltre che da rappresentanti europei, anche da due membri asiatici ed uno africano57. Contestualmen- te, per la conduzione della guerra fu istituito il War Council, in sostituzione del Gover- nor’s Emergency Committee, un nuovo organismo composto di soli 4 membri, il gover- natore Baring, il suo vice,Frederick Crawford, il comandante in capo delle forze arma- te, Erskine, ed un quarto membro in rappresentanza degli interessi dei coloni, individua- to in Michael Blundell58. Il War Council, la cui creazione veniva incontro alle sollecita- zioni di Erskine, che da tempo chiedeva di poter disporre di una catena di comando maggiormente flessibile, si sarebbe riunito due volte alla settimana e disponeva di poteri che incontravano scarsi contrappesi. Ad esso era di fatto demandata la conduzione della guerra, ed agiva in sostanziale indipendenza dalle altre istituzioni. Dopo il parziale fal- limento del China surrender scheme, il vertice dell’amministrazione coloniale, così ri- formato, lanciò un’offensiva tesa ad assestare un colpo definitivo alla ribellione, l’operazione Anvil.

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G. Padmore, British Parliamentary Delegation Reports on Kenya, in “The Crisis”, Vol. 61, n 5, 1954, p. 274.

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Una rappresentanza alla popolazione africana era stata precedentemente concessa per quanto riguarda il Legislative Council. Si veda Cap. 1.

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Fu significativo il fatto che il War Council non prevedesse la presenza di Arthur Young, nuovo capo della polizia del Kenya. L’ostilità nei confronti della sua missione riformatrice fu subito di massima evi- denza. I. F. W. Beckett, Modern Insurgencies and Counter-Insurgencies: Guerrillas and their Opponents

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Convinto che non fosse possibile sconfiggere i Mau Mau senza attaccarne la rete di so- stenitori, informatori e coordinatori che agivano a Nairobi, il generale Erskine promosse la più grande operazione di screening e arresti dall’inizio del conflitto. Preceduta dall’operazione Overdraft, condotta nelle riserve dall’11 al 15 aprile e che condusse all’arresto di 1200 Mau Mau, l’operazione Anvil ebbe inizio all’alba del 24 aprile 1954, e coinvolse uomini dei KAR, del Kenya Police Reserve e delle Home Guard, coadiuvati da funzionari amministrativi del distretto di Nairobi59. In totale oltre 25.000 uomini par- teciparono all’operazione. A partire dalle 4.30 del mattino tutte le principali strade della città furono bloccate dalle camionette della polizia e dell’esercito, e ogni movimento venne impedito alla popolazione africana. Dalle vetture delle forze armate le voci degli altoparlanti invitavano i residenti ad uscire dalle proprie abitazioni per facilitare le ope- razioni. Da allora e per oltre un mese, fino al 26 maggio, la città sarebbe stata chiusa all’esterno, un’enorme prigione a cielo aperto per garantire che le indagini a tappeto si realizzassero rapidamente. Quello che Erskine definì il punto di svolta dell’emergenza60

si risolse in definitiva in un processo di rimozione della popolazione kikuyu dalla città. Gli screening erano condotti da squadre composte da 15 uomini, 6 funzionari e 9 mem- bri della Kenya Police Reserve, tutti rigorosamente europei. A tale scopo erano allestiti campi di fortuna, recintati con filo spinato, grandi abbastanza da poter trattenere mi- gliaia di persone ogni giorno. Numerosi kikuyu lealisti, i cosiddetti gakunia, informatori della polizia, assistevano queste squadre in sede di interrogatorio, raccomandando quale fosse la decisione da prendere in relazione ai sospetti. Ogni individuo doveva esibire i documenti di identità, i kipande, nei quale erano registrate le passate esperienze lavora- tive e le impronte digitali, e documenti che dimostravano di essere in regola con il pa- gamento delle tasse. Buona parte della popolazione africana fu coinvolta, ma furono so- prattutto i kikuyu, gli embu e i meru a rappresentare l’obiettivo dell’operazione. Fuori da Nairobi furono allestiti campi di prima detenzione e transito, dove sarebbero stati condotti tutti coloro che non erano in grado di produrre i documenti richiesti o che, a di- screzione degli screening team, sulla base dei dati forniti dallo Special Branch o da quanto gli informatori locali sostenevano, erano da considerarsi sospetti. Tra questi campi, già resi agibili nei mesi precedenti in previsione dell’avvio dell’operazione, i tre di nuova costruzione di Langata, Mackinnon Road e Manyani, dove sarebbero state ef- fettuare ulteriori operazioni di screening . Queste strutture erano complessivamente in

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D. Anderson, Histories…cit., pp. 204-205.

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grado di contenere 20.000 persone, una cifra che doveva evidentemente rappresentare la stima del governo a proposito degli individui cui era previsto privare la libertà. In realtà come dimostrò l’evoluzione dei fatti si trattava di una stima ottimistica. I funzionari de- gli screening team potevano arrestare senza regolare processo chiunque, attraverso l’emanazione dei Delegated Detention Order, documenti nei quali in breve si motiva- vano le ragioni del provvedimento. Nei casi ritenuti più importanti era necessaria l’approvazione del governatore, il quale provvedeva ad approvare un Governor‟s Deten-

tion Order61 per rendere effettivo l’arresto. Di fatto, più di metà dei kikuyu residenti, nel corso del mese in cui si svolse l’operazione, furono condotti fuori da Nairobi, cosa che trasformò completamente la composizione etnica della città, e incidentalmente assestò un duro colpo alla locale classe imprenditoriale europea, cui fu d’improvviso tolta dalla disponibilità buona parte di quella manodopera a basso costo rappresentata dalla popo- lazione kikuyu. Coloro che si riteneva non fossero strettamente legati alla sollevazione venivano rimpatriati nelle riserve della Provincia Centrale, gli altri erano sottoposti a numerosi interrogatori prima di essere poi inviati nei campi di lavoro o in quelli di pri- gionia. Quando l’operazione ebbe termine oltre 50.000 individui erano stati sottoposti ad indagine. Più di 24.000 furono gli arresti. Oltre 6.000 kikuyu furono ricondotti nelle riserve, quasi la metà dei quali donne e bambini.

Erskine considerò Anvil un grande successo. Lo scopo era quello di distruggere quella che era, a detta del Generale, la più grande base di coordinamento e sostegno di tutto il movimento ribelle. In sostanza, l’intera operazione fu una deportazione di massa su base etnica, non così dissimile da taluni precedenti della Seconda guerra mondiale, tanto da aver fatto evocare un parallelo con i metodi della Gestapo62. Durante le prime fasi di

screening le autorità separavano gli individui appartenenti ai kikuyu, gli embu e i meru

dagli altri africani, una pratica che ricordava sinistramente quanto accadeva nell’universo concentrazionario nazista. La grossolanità del ragionamento posto alla ba- se dell’intera operazione (i Mau Mau erano quasi tutti kikuyu, dunque questi dovevano essere espulsi da Nairobi), seppur di immediata evidenza, non costituì un freno. L’onere della prova era invertito: era il sospetto a dover dimostrare di non essere in alcun modo legato al movimento ribelle.

Su queste basi, effettivi vincitori dell’operazione furono quei kikuyu lealisti che parteci- parono alle indagini ed ottennero in premio la deportazione di molti dei loro nemici.

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D. Anderson, Histories…cit., p. 204.

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Dopo Anvil il reclutamento di nuove Home Guard crebbe progressivamente. Nella po- polazione locale si stava facendo strada la convinzione che l’amministrazione coloniale fosse prossima alla vittoria e che arruolarsi nelle Home Guard costituisse la scelta giusta per assicurarsi un futuro benessere.

Sul piano militare il War Council decise di non abbandonare la politica delle amnistie e delle offerte di resa. Erskine continuava a confidare in un simile strumento, persuaso del fatto che l’operazione Wedgewood fosse fallita più per una serie di circostanze fortuite e sfortunate che per l’effettiva impossibilità di ottenere dai ribelli la fine delle ostilità. I termini delle eventuali amnistie furono però rivisti. Esse non avrebbero coperto crimini commessi prima della proclamazione dello stato d’emergenza, né i casi d’omicidio. Alla prova dei fatti il fallimento delle negoziazioni condotte tra febbraio e aprile non costituì un rallentamento per i successivi surrender scheme; in agosto, ad esempio, un piccolo nucleo composto di 23 Mau Mau si consegnò spontaneamente alle forze armate britan- niche. Per tutto il 1954 il processo di sfaldamento del Kenya Land Freedom Army pro- seguì inesorabile, anche se lo zoccolo duro della ribellione, guidato da Kimathi, resistet- te nei Monti Aberdare. Parte del successo delle operazioni condotte dai britannici fu do- vuto alle pseudo-gang, gruppi di forze speciali infiltrate nelle foreste, in grado se neces- sario di entrare in contatto con le forze nemiche. Le pseudo-gang furono messe in cam- po già nel 1953, ma è a partire dai primi mesi del 1954, grazie all’utilizzo nelle opera- zioni speciali di ex-ribelli catturati in battaglia, che le forze armate poterono conseguire effettivi progressi in questo campo. In precedenza si era tentato di infiltrare i Mau Mau utilizzando kikuyu che prestavano servizio nelle Home Guard, con esiti non sempre po- sitivi. La scelta di servirsi di ex-combattenti Mau Mau, passati dalla parte dell’esercito, si rivelò vincente. Una volta deciso di collaborare, questi venivano addestrati per un breve periodo, dopodiché aveva inizio la loro missione, che consisteva nel ritornare presso gli accampamenti ribelli nelle foreste, dove era facile per loro, senza destare so- spetti, raccogliere informazioni o fungere da base per eventuali incursioni dell’esercito coloniale. Promotore di questa tattica fu un ufficiale dell’intelligence militare, Frank Kitson63, che inizialmente ne sperimentò gli effetti nei distretti di Kiambu e Thika. Quando fu chiaro che il sistema delle pseudo-gang era efficace, nel giugno del 1954 Er- skine chiese a Kitson di estendere tale attività a tutte le forze speciali presenti in Kenya.

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Sulle modalità attraverso le quali operavano le pseudo-gang si veda F. Kitson, Counterinsurrection on

Kenya, in G. Chaliand (ed.), Guerrilla Strategies: An Historical Anthology from the Long March to Af- ghanistan, Berkeley, University of California Press, 1982, pp. 163-172.

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In un corso di formazione di quattro giorni, alla presenza di tutti gli ufficiali dell’intelligence militare, Kitson spiegò le pratiche e i vantaggi derivanti dall’utilizzo delle pseudo-gang64, focalizzandosi soprattutto sul trattamento da accordare ai prigio- nieri, che non doveva assolutamente essere vessatorio, se si voleva ottenere la loro fidu- cia e poterli così convincere a partecipare alle operazioni sotto copertura presso le file del nemico. Dall’estate del 1954 in poi le pseudo-gang operarono in tutti i fronti del conflitto. Quanto ai suggerimenti di Kitson sul rispetto da accordare ai prigionieri, que- sti furono assai spesso disattesi. Ne conseguì una certa differenziazione nel consegui- mento di risultati nei reparti in cui un livello minimo di rispetto verso i prigionieri era assicurato e quelli in cui ogni garanzia era assente.

Il successo dell’operazione Anvil suggerì all’amministrazione di proseguire nel progetto di trasformazione radicale della società kikuyu, nell’obiettivo di realizzare nella Provin- cia Centrale una riproduzione ideale della tradizionale società inglese65. Su proposta di due influenti consiglieri del governo coloniale, Louis Leakey e J. C. Carothers66, in giu- gno il War Council promosse un programma di costruzione di nuovi villaggi nelle riser- ve abitate dai kikuyu, gli embu e i meru, nel duplice scopo di rendere più facile il con- trollo della popolazione e di recidere il legame tra l’ala militare del movimento Mau Mau e i suoi sostenitori civili. Come la “Pipeline” e lo Swynnerton Plan, anche la “vil- lagization” si fondava su un precedente, analogo progetto sperimentato dal generale Templer nella Malaya67. Anche in questo caso, la propaganda britannica pose l’enfasi sui concetti di riabilitazione e recupero, che il programma, sottraendo la popolazione all’influenza dei ribelli, avrebbe favorito. L’effettivo risultato fu anche in questo caso una sistematica violazione dei diritti umani68.

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H. Bennett, op. cit., p. 153.

65

B. Berman, Bureaucracy and Incumbent Violence: Colonial Administration and the Origins of the

„Mau Mau‟ Emergency, in B. Berman, J, Lonsdale (eds.) Unhappy, Book Two… cit., 1992, p. 254.

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Psichiatra di notevole fama e autore nel 1955 dell’opera The Psicology of Mau Mau, nella quale formu- lò la teoria dell’incompatibilità tra i kikuyu, a suo dire etnia arretrata e legata a pratiche ancestrali, e la modernità, tanto che il movimento Mau Mau doveva essere visto come una risposta psicopatologica all’incapacità di adattarsi alla contemporaneità. M. S. Clough, Mau Mau Memoirs…cit., p. 35. Quella di Carothers rappresentava un’interpretazione del fenomeno radicalmente alternativa a quella espressa da Asqwith, che più opportunamente individuava in elementi socio-economici la base del fenomeno Mau Mau.

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Ad esso si ispirerà anche il programma di villaggi strategici fortificati realizzato dagli americani nel Vietnam del Sud a partire dal 1962. Si veda G. Prenderghast, Britain and the Wars in Vietnam: The Sup-

ply of Troops, Arms and Intelligence, 1945-1975, Jefferson, MacFarland and Company Publishers, 2015,

p. 54.

68

D. P. Cavaleri, The Law of War: Can 20th Century Standards Apply to the Global War on Terrorism?,

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Fino a quel momento i distretti della Provincia Centrale erano caratterizzati dalla pre- senza di villaggi di piccolissime dimensioni, difficilmente sorvegliabili dalla polizia e dall’esercito britannico e in grado all’occasione di fornire rifugio ai combattenti Mau Mau. Attraverso la “villagization” tutti coloro che abitavano nelle riserve, per la gran parte donne69, anziani e bambini, e che si riteneva simpatizzassero o aderissero a vario titolo alla rivolta, furono forzatamente trasferiti in nuove località, le loro capanne bru- ciate e i loro averi requisiti dalle Home Guard70. Il programma fu dapprima implementa- to nei distretti di Nyeri, Fort Hall, Embu e Meru, per essere poi esteso in tutta la Provin- cia Centrale, e si fondò sull’utilizzo diretto della popolazione deportata nella costruzio- ne di nuovi e più grandi insediamenti. Sotto la vigile sorveglianza delle Home Guard, il lavoro forzato fu esteso anche ai bambini. I deportati erano costretti a costruire essi stes- si i nuovi villaggi, tanto che nei primi mesi, in attesa di completare le capanne, molti fu- rono costretti a dormire all’aria aperta. Ogni capanna poteva essere occupata da decine di persone, rendendole di fatto invivibili71. Le più banali considerazioni in tema di con- dizioni igieniche furono completamente ignorate dall’amministrazione coloniale, tanto che nelle varie località la propagazione di malattie quali scorbuto e pellagra divenne la norma. Una volta completata la costruzione dell’insediamento, che doveva contenere non meno di 500 persone72, ogni villaggio veniva recintato con il filo spinato, onde evi- tare che potessero realizzarsi infiltrazioni dei ribelli. Reparti di Home Guard pattuglia- vano giorno e notte il territorio, eseguendo le direttive dei funzionari britannici. Nelle immediate vicinanze dei villaggi furono edificate postazioni delle Home Guard, che di- vennero ben presto nuovi insediamenti abitati dai lealisti e dai loro familiari. La “villa- gization” creò nelle riserve una divisione in due distinte classi, quella dominante, alleata dell’amministrazione coloniale, e la maggioranza dei kikuyu, la cui componente ma- schile era in gran numero detenuta nei campi di detenzione e lavoro, mentre quella femminile rimaneva nelle riserve, costituendo la manodopera per il lavoro forzato. Di fatto, le donne che non appartenevano alla fazione filogovernativa divennero servitrici dei lealisti, lavorando gratuitamente per loro nella costruzione delle postazioni delle Home Guard e nella coltivazione dei terreni. Durante le ore di lavoro era fatto divieto parlare, cantare canzoni, mangiare e bere. Le infrazioni alla regola erano punite severa-

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Nel 1955 in molti villaggi del distretto di Nyeri il rapporto tra la popolazione femminile e quella ma- schile era di 7 a 1. D. Branch, Defeating...cit., p. 112.

70

C. Elkins, op. cit., 238-240.

71

Ivi, p. 241.

72

D. Anderson, Exit from Empire: Counter-insurgency and decolonization in Kenya, 1952-1963, in R. Johnson, T. Clack (eds.), At the End of Military Intervention: Historical, Theoretical, and Applied Ap-

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mente, con violenze e privazioni. Nei villaggi la scarsità di cibo e di acqua divenne la norma; nonostante la propaganda governativa presentasse l’intero programma come un tentativo di migliorare, in combinato con lo Swynnerton Plan, le condizioni di vita dei nativi, la realtà fu che il programma realizzò una enorme prigione a cielo aperto, caratte- rizzata dalla miseria perenne delle donne e dei bambini forzatamente condotti nei nuovi villaggi. Né scuole né negozi vennero costruiti, nessun servizio medico fu garantito73. Di fatto, la “villagization” rappresentò la prosecuzione dell’operazione Anvil nelle riser- ve: le modalità della deportazione e della detenzione dimostravano come la repressione fosse il principale obiettivo del governo74. Le razioni di cibo concesse individualmente dipendevano dalla volontà di collaborare con le Home Guard e con gli uomini della Ke- nya Police Reserve. In generale, lo scarso afflusso di cibo nei villaggi era effetto di una complessiva strategia avallata dai vertici militari per evitare che i ribelli potessero attin- gere a tale risorsa. Come risultato, la mortalità infantile crebbe esponenzialmente, e la mancanza di cibo divenne una delle principali cause di morte durante tutta l’emergenza. Il programma fu completato con la costruzione di un chilometrico sistema di trincee, anche in questo caso resa possibile dall’utilizzo del lavoro forzato delle donne, atto a dividere le riserve dalle foreste. Una volta realizzata questa poderosa opera, che contri- buì ad isolare le milizie Mau Mau, la rete di sostegno al Kenya Land Freedom Army fu completamente smantellata. In sostanza, il programma di “villagization” consentì di mettere sotto assedio le regioni del Monte Kenya e degli Aberdare, e di rendere quasi impossibile l’approvvigionamento di munizioni, armi e cibo dei ribelli. Come risultato, il numero di incursioni effettuati dall’ala militare dei Mau Mau si ridusse sensibilmente.