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TERTIUM DATUR: L’«OPINIONE»

2.4 L’Italia legittima

Un interessante articolo di Kerstin Pöttgen dedicato al discorso pubblico sulle costituzioni del 1848 ha a mio avviso sottovalutato quest’ultimo punto166. Pöttgen esamina con attenzione i contesti nei

quali dopo la concessione delle carte i soggetti più diversi, più o meno prossimi alle istituzioni, presero a festeggiarle, commentarle e divulgarle: «nei giornali, negli opuscoli a quattro soldi, nelle opere scientifiche, nei fogli volanti, sulla piazza o in chiesa»167. Tuttavia trascura uno dei temi più ricorrenti in

e intorno a quegli stessi testi: il tema della rigenerazione patriottica, fondata sulla modularità della svolta costituzionale nei principali stati della Penisola. Sorprende ancor più questa sottovalutazione proprio perché la stessa storica interroga assai opportunamente i testi più disparati non solo alla ricerca di elaborazioni dottrinarie (che riconosce fragili come i precedenti della tradizione costituzionale italiana) bensì allo scopo di esplorare forme di divulgazione adattate ai pubblici più diversi (come le prediche in dialetto napoletano del celebre tribuno don Michele Viscusi, rivolte alle plebi della capitale del regno borbonico) e tese a fare della costituzione non un «fatto giuridico» ma «un’esperienza quasi spirituale», un «evento emozionale»168. Il fatto che Pöttgen concluda che la pedagogia costituzionale di carte così

esclusive non abbia raggiunto effettivamente lo scopo soprattutto in confronto alla pedagogia nazional- patriottica («i pezzi di carta non hanno prodotto la stessa emozione generale suscitata dal tricolore e dalla guerra»169), fa riflettere circa il taglio della sua analisi. In primo luogo Pöttgen conduce analisi

separate, attraversando di rado i confini esistenti – quando tra le principali caratteristiche della stampa quarantottesca c’è proprio una rapida circolazione non solo di notizie ma, fisicamente, di fogli, articoli, opuscoli oltre quei confini. Inoltre non confronta mai i testi che prende in esame con il discorso nazional-patriottico che lei stessa giudica assai più pervasivo. Proprio qui sta, invece, il punto.

Le costituzioni del 1848 furono considerate – e furono, è ovvio – ciascuna la costituzione di uno stato separato, ma furono anche considerate – e quindi furono, ciascuna e tutte insieme, nel quadro di un discorso pubblico sempre più integrato tra i diversi stati e informato a parole d’ordine, temi,

166 K. Pöttgen, Il discorso pubblico sulle costituzioni del 1848, in La ricerca tedesca sul Risorgimento italiano. Temi e prospettive, Atti del

Convegno, Roma 1-3 marzo 2001, in «Rassegna storica del Risorgimento», 2001, supplemento al n. 4, pp. 43-64.

167 Ivi, p. 63. 168 Ivi, p. 48. 169 Ivi, p. 64.

narrative, valori imposti da parte di liberali e patrioti – costituzioni italiane. Il fenomeno replica e porta a compimento quanto era già avvenuto nei mesi precedenti dinanzi alle riforme concesse a Roma, Firenze, Torino e dinanzi alla notizia delle trattative per una lega doganale da parte delle cancellerie dei tre stati.

Il luogo di comparsa di una progressiva uniformazione dello spazio politico nell’immaginario dei contemporanei, a partire dallo stato pontificio e dal granducato di Toscana nel corso del 1847, fu costituito dai rituali pubblici, sede di produzione privilegiata e potente cassa di risonanza dell’informazione politica liberal-patriottica. Feste e rituali furono scelti dai gruppi di liberali operanti sul piano locale – spesso in collaborazione con le istituzioni municipali, ma anche travalicando le intenzioni di omaggio di queste ultime o del clero che si prestava alle funzioni richieste – come uno dei

media capaci di raggiungere il più vasto uditorio, capaci di risemantizzare i moduli tradizionali del rito e

le sue consuete modalità di ricezione alla luce di significati nuovi e spesso uditi allora per la prima volta dalle rispettive audiences170. È qui che, nel quadro di apparenti feste di sovranità – quindi nel pieno di uno

dei dispositivi retorici del discorso monarchico – i confini iniziarono a sfuggire platealmente al controllo ufficiale, e comparvero parole d’ordine, simboli, atti rituali, protagonisti fino ad allora mai visti, che potevano giocare a proprio favore non solo l’intrinseca polisemia del rito, ma la legittimazione pubblica implicitamente garantita dalla presenza delle autorità civili e religiose. In merito a quei mesi ha scritto di recente Enrico Francia: «le feste pubbliche che accompagnano le riforme [...] hanno in apparenza i connotati rassicuranti dell’omaggio rituale al sovano e alla sua benigna azione. Nello stesso tempo però questa “festa di sovranità” si riempie di simboli, linguaggi e protagonisti che prefigurano la definizione d’un nuovo patto tra popolo e sovrano, basato sul riconoscimento e la legittimazione dell’opinione pubblica liberale – protagonista del moto riformatore –, e sull’investitura del sovrano quale campione del riscatto nazionale»171.

Anche secondo Francia, dunque, esisté uno stretto nesso nel discorso pubblico tra temi istituzionali, opinione e nazione. Solo in apparenza, però, le feste per le riforme, e poi quelle per le costituzioni, furono il rovesciamento rassicurante delle dimostrazioni oppositive che le avevano precedute: esse appaiono piuttosto come un luogo ibrido, dove emergono conflitti sopiti, contrattazioni in corso, propaganda di identità in formazione. Basta leggere con quali parole poté essere celebrata a Ferrara la notizia della costituzione concessa a Napoli:

170 Per uno studio di caso cfr. A. Petrizzo, Spazi dell’immaginario. Festa e discorso nazionale in Toscana tra 1847 e 1848, in A. M.

Banti e P. Ginsborg (a cura di), Storia d’Italia. Annali 22. Il Risorgimento cit., pp. 509-39. L’analisi ravvicinata delle performance rituali, dei principali media della piazza (letteratura grigia, stampa, predicazione) e delle scritture private (diari, carteggi, memorie) consente di ricostruire il profilo di un immaginario politico che apparve preoccupante per le stesse autorità di polizia e di governo ma che precedenti ricerche hanno enormemente sottovalutato, se non del tutto misconosciuto: cfr. in particolare C. Tacke, Revolutionary Festivals in Germany and Italy, in D. Dowe, H.-G. Haupt, D. Langewiesche e J. Sperber (a cura di), Europe in 1848 cit., pp. 799-829.

171 E. Francia, «Il nuovo Cesare è la patria». Clero e religione nel lungo Quarantotto italiano, in A. M. Banti e P. Ginsborg (a cura di), Storia d’Italia. Annali 22. Il Risorgimento cit., pp. 423-50, cit. p. 432.

Che Italia fu scossa dalla voce del Cielo, che questa terra divina è ancora nutrice di magnanimi cuori, lo pruova in oggi l’infuocato abitatore delle Sicilie, che emulando la gloria dell’antica Grecia ha fatto conoscere al mondo che un popolo unito è un popolo d’eroi; e quel Governo che de’ suoi sudditi solo non fa fondamento è necessario che cada, come nel gran giorno cadrà quel Colosso per cui l’Italia soffriva secoli di dolore e di strazio. – Non è tardo quel giorno. – La Providenza a caratteri di fuoco lo scrisse, né l’opra del cielo mai si cancella. – Napoli è libero!! lo stendardo tricolore sventola da Castel Sant’Elmo, 18 milioni d’Italiani sono liberi! Il Grandissimo evento è compiuto. Viva l’Italia!! Questo grido di gioia, questo grido che abbraccia tutti i sensi dell’anima, già echeggia dovunque, e ai Protomartiri della libertà Italiana volano le benedizioni dei fratelli rigenerati dal possentissimo grido di Pace che PIO il grande mandava dal Vaticano172.

Perché la costituzione del regno delle Due Sicilie diventi una notizia pertinente alle emozioni che i liberali ritengono di dover mobilitare tra i sudditi degli altri stati preunitari, evidentemente, è necessario che una serie di personaggi popolino la scena immaginaria in cui la costituzione diviene oggetto di racconto: Italia, i siciliani, 18 milioni d’Italiani, eroi e martiri, Pio IX, la provvidenza. E accanto a questi, immancabilmente, tricolori, simboli patriottici, rituali di fondazione di un rinnovato legame orizzontale tra individui e comunità.

Dai catechismi costituzionali alle celebrazioni accademiche alle lettere elettorali dei candidati, questi rimangono i protagonisti delle narrazioni e i contesti simbolici in cui il nome per molti oscuro di costituzione iniziò a farsi strada.

Una comparsa tanto capillare del sistema simbolico-discorsivo nazional-patriottico dimostra evidentemente che non furono costituzioni, elezioni o parlamenti ad avviare il processo di uniformazione dei linguaggi pubblici della Penisola nel lungo Quarantotto. Un’altra modalità del discorso pubblico aveva già iniziato ad attraversare trasversalmente i confini esistenti, insinuandosi ai margini del discorso monarchico consentito, e fu a quella, in quanto più solida, più nota, più emozionante, che il costituzionalismo e la politica liberale non poterono fare a meno di guardare come linguaggio specifico della propria legittimazione. Alberto M. Banti ha ricostruito alcuni anni fa questa formazione simbolico-discorsiva: ne ha ricercato la genesi ai margini dei testi politici stricto sensu, tra le poesie mormorate sottovoce e gli applausi a scena aperta dei teatri; ne ha individuato i protagonisti in eroi virili e uomini molli ed effeminati, giovani donne sofferenti e Italie battagliere, schiere di morti pronte a risorgere, nemici e traditori; ne ha descritto gli episodi salienti in battaglie, attentati all’onore sessuale femminile, giuramenti: storie palpitanti di lacrime e sangue173. Può sorprendere, ma anche

l’avvento della politica costituzionale nella Penisola italiana non poté fare a meno di passare di qui.

172 Le feste della città di Ferrara pel grande evento della costituzione di Napoli scritte dall’avv. Enrico Farnè, Tipi alla pace per gli eredi

Rinaldi, Ferrara [1848], pp. 3-4.

173 Cfr. A. M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Einaudi, Torino 2000. Cfr. S.

Patriarca, Indolence and Regeneration: Tropes and Tensions of Risorgimento Patriotism, in «American Historical Review», 2005, 2, pp. 380-408 (centrato sulle definizioni del “carattere nazionale” degli Italiani tra Sette e Ottocento come chiave di lettura gender

Le costituzioni definirono, certo, il contesto istituzionale in cui l’esercizio di diritti fino ad allora appena sperimentati – la libertà di stampa – o del tutto sconosciuti – i diritti di voto, riunione e associazione – consentì l’irruzione di quella che i contemporanei avvertirono come la modernità politica sulla Penisola. Allo stesso modo, i parlamenti devono senz’altro essere annoverati tra gli spazi in cui si esprime una forma del tutto peculiare di quella “liberazione della parola” che caratterizzò il Quarantotto italiano – anzi, in questo senso, assai più di altre sedi i parlamenti avrebbero messo a dura prova la tenuta di un discorso pubblico che fino al loro avvento aveva rappresentato l’opinione, nonostante le tensioni che abbiamo visto, come un soggetto sostanzialmente univoco e la nazione olisticamente intesa come suo referente tendenziale. Ma negli spazi di parola, di stampa, di dimostrazione, di festa apertisi sulla Penisola nel corso del 1847 non si erano insinuati se non in maniera residuale costituzioni e parlamenti: erano piuttosto quegli strani personaggi e le loro antiche vicende che avevano popolato e continuavano a popolare l’immaginario politico. Roba buona a prima vista per melodrammi e romanzi sentimentali entrava prepotentemente sul territorio della politica agita. Non solo: quegli eroi fatti di carta o d’aria o di pesanti velluti e lucidi rasi avvolgevano per la prima volta senza freni l’esistente – istituzioni assolute prima, costituzionali poi – in una trama unitaria di significati174.