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Stili, pratiche, narrative: transfert europe

LO SPETTACOLO PRIMA DELLO SPETTACOLO

3.2 Stili, pratiche, narrative: transfert europe

In realtà, il fenomeno ha orizzonti più vasti. Nel corso degli anni Trenta e Quaranta gli italiani colti avvezzi alla lettura delle riviste europee non proibite dalle censure preunitarie (e i futuri giornalisti del 1848) avevano potuto cercare lì, o semplicemente essersi imbattuti, in descrizioni del funzionamento quotidiano dei sistemi parlamentari, assai rare sulla stampa autorizzata in lingua italiana. È sulle riviste provenienti dall’Europa che i lettori italiani più colti potevano seguire le cronache periodiche delle sedute che si tenevano a Westminster e Parigi, informarsi sulle occasioni di scontro tra governi e assemblee oppure tra partiti nell’elaborazione di complessi progetti di legge, ammirare saggi di eloquenza dei deputati più celebri. Tutto questo mentre negli stati preunitari non veniva portata avanti alcuna apertura al modello di rappresentanza incentrato sull’istituto parlamentare e mentre gli stessi

opinion leaders moderati sembravano aver rinunciato a formare un’opinione pubblica intorno alla

rivendicazione di questa prospettiva.

D’altra parte, testate come la «Revue des deux mondes», la più nota e diffusa, costituirono il luogo di un apprendistato ai meccanismi della vita parlamentare che non aveva connotati esclusivamente politici. Il parlamento letto sulle riviste europee appariva infatti come un luogo della politica doppiamente esotico: non solo perché era estraneo alle istituzioni esistenti sulla Penisola negli anni Trenta e Quaranta, ma anche perché veniva presentato come terribilmente attraente dalle narrative adoperate nelle cronache internazionali. Gli scontri politici erano accesamente personalizzati e le sedute più animate e i dibattiti più accesi erano fortemente drammatizzati, nei due più diffusi registri dell’informazione politica, il resoconto cronachistico e il suo rovesciamento satirico. I ritratti dei grandi oratori, per esempio, consentivano ai lettori di appassionarsi a vicende spesso noiose nella realtà (i

219

Un recente filone di studi sulla rivoluzione francese – discusso ora per i suoi presupposti più estremi (una profonda trasformazione nelle modalità di rappresentazione teatrale nel corso del XVIII secolo avrebbe anticipato la rivoluzione della rappresentanza, consentendo la possibilità stessa della sua concettualizzazione) ora per alcuni risultati radicali (la critica alla democrazia rappresentativa come finzione ed esercizio di esclusione), ha tuttavia contribuito assai proficuamente ad ampliare il quadro degli interrogativi e delle conoscenze sulle assemblee rivoluzionarie; tra i contributi più significativi cfr. S. Maslan, Resisting Representation: Theater and Democracy in Revolutionary France, «Representations», 1995, 52, pp. 27-51; l’articolo ha costituito il nucleo originario di un successivo volume: cfr. Ead., Revolutionary Acts: Theater, Democracy, and the French Revolution, Johns Hopkins University Press, Baltimore 2005. Il più noto e discusso contributo in questo campo resta comunque P. Friedland, Political Actors: Representative Bodies and Theatricality in the Age of the French Revolution, Cornell University Press, Ithaca, NY 2002. Affrontava già la questione, sebbene in maniera incidentale, anche P. Brasart, Paroles de la Révolution. Les Assemblées parlementaires 1789-1794, Minerve, Paris 1988.

dibattiti, se non i singoli interventi, talora erano interminabili) e contribuivano a farli apparire sulla pagina eventi spettacolari. Le aule si trasformavano in teatri o in campi di battaglia di parole e di princìpi. Le controversie venivano descritte come appassionati e appassionanti duelli oratori. Solo a scorrere la «Revue des Deux Mondes» a partire dagli anni Trenta – quando, dopo la rivoluzione costituzionale, la rifondazione retorica delle basi di legittimazione della monarchia fece perno proprio sul parlamento come medium privilegiato tra il popolo e un Luigi Filippo re dei francesi –, emergono numerosi articoli che per il pubblico italiano colto, non direttamente coinvolto nelle polemiche politiche, poterono rappresentare occasioni di apprendistato a un simile spettacolo prima dello spettacolo.

Per chi fosse interessato non mancavano affatto approfondimenti di filosofia storico-politica sul ruolo delle assemblee220. Ma era possibile anche trovare un serbatoio di informazioni diverse. Per

esempio analisi degli stili oratori dei più noti protagonisti della vita pubblica. Nel 1835 a un Guizot dalla «voix cave et sévère» e dagli argomenti venati da «quelque chose de vieux et d’usé» veniva contrapposto un Thiers dalle «plus franches allures, [...] plus à l’aise au milieu de cette chambre révolutionnaire au fond», mentre a Pagès de l’Ariège era possibile vedere imputato «un luxe de formes oratoires, une réminiscence des types antiques, une imitation de la manière de M. Royer-Collart, cette solennité de paroles que l’Angleterre ne connaît pas dans son parlement et qui rarement est nécessaire pour la solution d’une question politique»221. Anche il confronto tra i sistemi politici delle due monarchie

liberali era declinato secondo topoi ricorrenti, in particolare quello della incomparabile maturità e regolarità delle plurisecolari istituzioni britanniche, basate sull’esistenza di due partiti capaci di garantire stabilità ai governi, contro una edificazione fragile, contraddittoria e tuttora in corso delle stesse istituzioni in Francia, dove inoltre i moti del 1834 e del 1835 riproposero con grande visibilità,

220 Cfr. la lunga pseudo-recensione della mastodontica opera di edizione degli atti delle assemblee francesi dalla costituente

del 1789 ai Cento giorni (quaranta volumi tra il 1834 e il 1838): Lerminier, Histoire parlementaire de la révolution francçaise par MM. Buchez et Roux, in «Revue des deux mondes», 1840, 1, pp. 178-96. All’altezza del momento fondativo della rivoluzione (rispetto alla quale il giacobinismo, in polemica con Buchez, è definito una deviazione – una deviazione tout court rispetto ai «principes mêmes de la civilisation européenne», di trasparente eco guizotiana; ivi, p. 191) Lerminier giustappone la necessità, evidentemente conservatrice, della custodia delle istituzioni ricevute. Scrive: «on ne peut ni toujours détruire ni toujours fonder, et la continuité de ce qu’elles trouvent en arrivant à la vie est aussi un devoir pour les générations»; ivi, p. 181. Continuità significa anche perfezionamento per mezzo della ragione, che del tutto conseguentemente Lerminier traduce, per «toute démocratie intelligente» (ivi, p. 185), in una selezione a base capacitario-censitaria del proprio personale politico e nel valore della «éducation, dont les progrès peuvent seuls amener raisonnablement, d’époque en époque, un degré de plus d’émancipation et de liberté» (ivi, p. 196).

221

F. Buloz, Histoire politique du mois, in «Revue des deux mondes», 1835, 1, pp. 104-28, cit. p. 119-20. L’ultima citazione sviluppa in modo molto interessante il gioco di un’imitazione malriuscita da parte di Pagès de l’Ariège, presentando in positivo un modello antitetico di buongusto e di efficacia oratoria: «La phrase [di Pagès] est usée; plus ou moin éclatante, chacun la fait; ce dramatique des mots, ces antithèses multipliées s’abîment sous la monotonie. Si M. Pagès veut réveiller le souvenir de M. Royer-Collart, il doit aussi imiter cet orateur dans ce silence grave que le vieux chef de la doctrine ne rompit jamais que dans les discussions solennelles, à delongs intervalles. Alors un discours est un évènement; mais dans une opposition journalière, vouloir étaler des pompes de styles, c’est une dépense vaine» (ivi, p. 120). Considerazioni che ritroveremo presto in merito agli esercizi di stile tribunizio di deputati come il prinicipe di Canino nel consiglio generale romano. Altro breve ritratto nello stesso articolo è quello di Lamartine, la ricezione delle strategie discorsive del quale sono evidentemente diverse da quelle sperate: «L’ange de la poésie à la tribune de la chambre des députés ne trouvait que des cœurs secs et des ames froidement attachées au positif des affairs» (ibidem).

nonostante l’insuccesso, l’ombra dell’opzione repubblicana222. Ma anche in questo caso, il confronto tra

i due Paesi si giocava insistentemente su altri aspetti, relativi a quelli che potremmo definire gli stili parlamentari britannico e francese – quel complesso di fattori che regola il funzionamento delle sedute, dalla sistemazione architettonica alla disposizione spaziale dei membri delle camere, dai regolamenti alle consuetudini oratorie. Ecco come Andrew O’Donnor, da indigeno, presentava nel 1835 al pubblico internazionale le caratteristiche del parlamento britannico:

Les chambres où se rassemble le parlement anglais n’ont pas l’aspect théâtral des salles de spectacles politiques que vous avez bâties en France pour les représentations de votre gouvernement représentatif.

Entrons à la chambre des communes. Là point d’amphithéâtre pour les dames; point de loges pour les pairs, ni pour le corps diplomatique. Une étroite galerie seulement est réservée aux journalistes, une autre, plus spacieuse, ouverte au public. D’ailleurs, aucun luxe de marbres, de statues et de dorures. C’est veritablement une chambre, – une vaste chambre, plus longue que large, sans ornements, et toute nue223.

Fin dal primo colpo d’occhio sulle aule, sembra di capire, è possibile intuire numerose differenze strutturali tra i due sistemi rappresentativi. Quello inglese, nonostante l’etichetta cerimoniale rigidamente rispettata (si pensi all’uso di una lunga e pesante parrucca da parte dello speaker), viene spesso descritto in simili resoconti come meno debitore nei confronti dell’archetipo teatrale, e di conseguenza della spettacolarizzazione della seduta. A favore di questo giudizio sono immancabilmente citati la proibizione di leggere discorsi scritti, l’uso di parlare dal posto e non dalla tribuna e infine l’obbligo di rivolgersi non a un pubblico corale, quello dell’assemblea dei colleghi, bensì individualmente allo speaker224.

Del resto, anche la storiografia ha colto le controverse relazioni tra i due modelli. Nicolas Roussellier ha sottolineato che, nonostante alcune macroscopiche differenze (Roussellier non prende in considerazione architettura e disposizione interna delle sale), un’analisi ravvicinata dei transfert tra i due sistemi politici mostra che il confronto con Westminster – magari all’insegna del rifiuto – è comunque sempre stato presente nelle assemblee parigine. Ed è accaduto fin dalla rivoluzione, nonostante la pretesa del discorso pubblico di inaugurare una creazione originale, ovvero una rigenerazione che nulla aveva a che vedere coi sistemi politici contemporanei e che si voleva una «political transplantation of Ancient Greece or Ancient Rome to the new nation»225. André Castaldo ha dimostrato che questo non

222

Cfr. P. Duvergier de Hauranne, Du gouvernement représentatif en France et en Angleterre, par M. L. de Carné, in «Revue des deux mondes», 1841, 2, pp. 192-208.

223

A. O’Donnor, Le parlement anglais en 1835, in «Revue des Deux Mondes», 1835, 3, pp. 301-16, cit. p. 301.

224

«Il n’y a pas plus de chaire pour les orateurs que pour le président. On se tient où l’on veut, assis où debout, le chapeau sur la tête. Chacun parle de la place où il est. On se découvre cependant pour parler. Ce n’est pas à l’assemblée, c’est au speaker qu’on est censé s’adresser; aussi se tourne-t-on vers lui et dit-on sir, et non pas gentlemen», ivi, p. 302.

225

N. Roussellier, The Political Transfer of English Parliamentary Rules in the French Assemblies (1789-1848), in «European Review of History/Revue Européenne d’Histoire», 2005, 12, pp. 239-48, cit. p. 240. Si tratta di un numero speciale della rivista, a cura di Henk te Velde, dedicato al tema dei political transfers/transferts politiques e diviso in due sezioni Parliaments and

impedì di redigere il regolamento dell’assemblea nazionale costituente sulla base di un compendio di regole e prassi parlamentari che Sir Samuel Romilly fornì al ghost writer di Mirabeau, Etienne Dumont226.

E lo stesso Dumont sarebbe stato più tardi il curatore dell’edizione francese degli scritti di Jeremy Bentham che nei primi anni della Restaurazione ebbero grande influenza per la riscoperta del modello parlamentare inglese in Francia. Allora i testi benthamiani, accanto alle Lettres sur l’Angleterre di Auguste de Staël-Holstein (1825) e agli scritti del giovane Duvergier de Hauranne contribuirono alla riscoperta di Westminster come modello praticabile di organizzazione politica liberale caratterizzata dalla «freedom of speech, as opposed to secrecy and of parliamentary control against the supremacy of the king». Dopo il trionfo dell’opposizione liberale contro Carlo X nel 1830 e in piena entente cordiale tra i due Paesi, i dibattiti parlamentari della Monarchia di Luglio (come del resto gli interventi della stampa politica) mostrano grande attenzione rispetto alle suggestioni provenienti da Londra, in particolare in merito alla pubblicità del voto (fino ad allora sconosciuta in Francia, e invece pienamente rivendicata negli stati italiani del 1848) e alla proibizione di discorsi scritti (non adottata negli stati italiani)227.

La contrapposizione tra i due modelli politici europei era dunque un luogo comune abbastanza diffuso, di cui era informato anche il pubblico italiano interessato alla politica internazionale. E fu soprattutto alla Francia che si scelse di guardare durante quell’esperimento di improvvisato e rapido

transfert istituzionale che portò all’avvento dei parlamenti negli stati italiani del 1848. Ciò valse dapprima,

come abbiamo visto, per la scelta a favore di carte scritte e per i concreti modelli costituzionali. E valse pochi mesi più tardi, come vedremo, anche per la ricerca di precedenti autorevoli e per alcuni aspetti relativi allo stile parlamentare.

Ancor prima che un’adesione al modello istituzionale, però, cronache simili a quelle citate veicolavano una sorta di desiderio di spettacolo a favore di un’istituzione poco nota228. Non è certo un caso

Parties/Parlements et partis politiques e Social Movements/Mouvements sociaux. Roussellier offre anche un’utile indicazione di scetticismo metodologico: «A good part of rhetorical politics, ancient and modern alike, is made up of lies, tales and traps. When a political leader or a group of political actors, or even a whole nation as long as it can “speak” by itself, denies fereign inspiration, historians should not take this for granted but, on the contrary, regard this whit great suspicion. A denial probably indicate the opposite» (ivi, pp. 240-1).

226

Cfr. A. Castaldo, Les méthodes de travail de la Constituante. Les technoques délibératives de l’Assemblée Nationale 1789-1791, Presses Universitaires de France, Paris 1989.

227

Queste discussioni non condussero però a un’effettiva revisione del regolamento interno delle camere: secondo Roussellier, deputati di formazione prevalentemente giuridica non solo rifiutavano in questo modo la disciplina politica ma ostacolavano la formazione di partiti stabili e «as paradoxical as it may appear» favorivano il mantenimento delle prerogative regie sulla camera. Per le citazioni nel paragrafo e in nota cfr. N. Roussellier, The Political Transfer cit., pp. 246-7.

228

La consapevolezza spesso sottaciuta di questo “esotismo” – l’altra faccia del quale era costituita dalla diffusa inesperienza rispetto al regime parlamentare tra gli stessi deputati e senatori del 1848-49 – emerse piccosamente, senza mezzi termini, in una lettera scritta il 6 giugno 1848 dal moderato Luigi Carlo Farini, deputato appena eletto, al legato della provincia di Bologna cardinale Luigi Amat. La cerimonia inaugurale del giorno precedente poteva essere dunque letta alla luce di uno spettacolo inedito: «Ieri si aprirono i Consigli fra le feste ed i plausi. Questa Roma è sempre lieta e queta, quando si tratta di spettacoli e pompe, e ieri noi poveri Deputati abbiamo servito di spettacolo, perché ci hanno portato in processione da Porta del Popolo sino alla Cancelleria, propriamente solo pel gusto di mostrarci ai Romani, i quali correvano a vederci, come se passasse un convoglio di bestie feroci e d’animali di nuova specie»; cfr. Epistolario di Luigi Carlo Farini, a cura di Luigi Rava, II, (1848), Zanichelli, Bologna 1911, p. 376.

se, quando i lettori diventavano touristes nelle capitali straniere, rivelavano comunemente la curiosità di andare ad assistere alle sedute parlamentari e si procacciavano i biglietti per avere accesso alle tribune.

Nell’Europa della Restaurazione Parigi in particolare rinnovò così le proprie attrattive, aggiungendo nell’immenso spazio urbano e sociale della futura capitale del secolo un luogo notevole per i viaggiatori di riguardo.

Per i parlamenti riuniti nelle capitali degli stati italiani dalla primavera 1848 non andò diversamente. Essi suscitarono lo stesso interesse nei viaggiatori stranieri, che non di rado cercavano la mediazione delle rispettive rappresentanze diplomatiche per assicurarsi i biglietti necessari ad assistere alle loro sedute. Fin dal 6 luglio (ovvero cinque giorni dopo l’apertura delle Camere) a Napoli il ministero degli esteri richiese al ministero dell’interno la disponibilità di un centinaio di biglietti, da distribuire «tanto agli agenti diplomatici, quanto a’ loro connazionali, che avessero curiosità d’assistere alle tornate Parlamentarie»229. Il presidente della camera ne concesse solo quaranta, data «l’angustia delle

Tribune, ed il dovere di accordare un posto ai Pari, alle altre persone ragguardevoli, ed ai giornalisti che vorranno intervenire alle nostre discussioni»230. Dei centoquaranta posti totali, tolti i quaranta assegnati

al ministero degli esteri, i trenta per i pari, i sessanta concessi ai deputati stessi e alla stampa, dieci posti restavano liberi ogni giorno per i «Forastieri di distinzione» che si fossero indirizzati alla camera, previa autorizzazione del ministero231: ma ancora a inizio settembre, dopo le istanze della contessa Paillot a

nome della sua famiglia, Bozzelli lamentava di non riuscire a esaudire le «continue richieste di ragguardevoli personaggi»232. Lo stesso accadeva ovunque. Poteva accadere perfino che la presenza di

alcuni personaggi nelle tribune, nota ai deputati, arrivasse a condizionare lo svolgimento delle sedute. Nell’archivio Cavour di Santena si conserva ad esempio un curioso biglietto, di cui Carlo Pischedda ha rintracciato il destinatario. Il 28 novembre 1848, direttamente dai banchi della Camera, Cavour anticipava per sommi capi il contenuto del proprio intervento a uno dei leader dell’opposizione, Angelo Brofferio, rivolgendogli un’esplicita richiesta di contraddittorio: «Se il deputato di Caraglio mi facesse il favore di rispondermi gli sarei tenutissimo, perché alcuni forestieri miei amici sono venuti oggi alla Camera nel solo intento di sentire l’eloquente voce del capo dell’opposizione democratica»233. E, per

quanto Brofferio fosse già intervenuto in precedenza sull’argomento in discussione, non rifiutò l’elegante e ironico invito al duello oratorio, e tornò a prendere parola dopo Cavour.

Il primo spettatore da conquistare, comunque, nella primavera 1848 restava ancora il pubblico degli stati italiani, il più coinvolto nell’avventura dell’apprendistato della civiltà liberale e di nuove forme di cittadinanza. In questa operazione la stampa ebbe un ruolo significativo, tributando fin da subito al

229

ASNa, Ministero dell’Interno, II inventario, fs. 1087, ins. 1168, Camere Legislative, Posti alle Tribune, e biglietti per le Camere, corrispondenza dal Ministero degli Esteri al Ministero dell’Interno, 6 luglio 1848.

230

Ivi, corrispondenza dal Presidente della Camera dei deputati al Ministero dell’Interno, 12 luglio 1848.

231

Ivi, corrispondenza dal Presidente della Camera dei deputati al Ministero dell’Interno, 14 luglio 1848.

232

Ivi, corrispondenza dal Ministero dell’Interno al Presidente della Camera dei deputati, 2 settembre 1848.

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nuovo laboratorio della politica un interesse quotidiano e mutuando spesso i moduli narrativi appresi alla scuola del giornalismo francese. Era proprio all’insegna della personalizzazione e della teatralizzazione, per esempio, che la «Gazzetta piemontese» cercò di sollecitare l’interesse del pubblico- cittadino nel resoconto della prima seduta della camera dei deputati subalpina.

Alle tre e un quarto entravano successivamente nella gran sala delle pubbliche adunanze varii deputati, fra cui notammo il presidente del consiglio dei ministri, il ministro dei lavori pubblici, il dottore Tubi che non avevamo veduto da 27 anni, i deputati Vesme, Pollone, Cassinis, Despine, Valerio, Pozzi, ecc.

Intanto andavamo osservando la disposizione e l’allestimento della sala. La tribuna dell’oratore sollevasi di poco sopra all’area: di sopra alla tribuna dell’oratore si erge lo stallo del presidente. Gli stenografi sono a destra e a sinistra di questo stallo. Dietro al seggio del presidente son i posti dei quattro segretarii. Un ritratto del magnanimo Carlo Alberto, che primo, in questo luogo, apre in Italia il grande avvenire, l’era immortale, della monarchia collegata con l’ordine, la libertà, e l’indipendenza, campeggia, sopra allo stallo del presidente, dirimpetto all’anfiteatro dei deputati che si svolge in emiciclo.

Il sito destinato al pubblico è elevato; esso consiste in una loggia, forse troppo angusta, che corre intorno intorno sopra alla sala, infitta nel peduzzo onde si slancia la volta, dipinta, ne’ varii suoi scompartimenti, fra finestra e finestra, con emblemi rappresentanti le varie provincie del fortunato nostro paese, coi rispettivi loro stemmi, da un lato, e l’immortal croce sabaudo-italica dall’altro.

Sui banchi a sinistra della tribuna veggonsi sedere, fra altri da noi non per anco conosciuti, i deputati Cottin, Pollone, Valerio, Merlo, Fagnani, Grandi, ecc. Alla destra scorgonsi, fra altri, i deputati Riveri, Buniva, ecc. alle 3 ¾ si apre la seduta. Sale a giurare il deputato per Albertville [...]234.

La descrizione della sala e del suo corredo simbolico, la forma dell’emiciclo e la disposizione dei deputati a destra e a sinistra del seggio della presidenza sotto il quale è collocata la tribuna, l’accenno all’angustia delle tribune destinate al pubblico – un accenno che vale di per sé da invito a riempirle nelle