A 3 Anonimo, "Claire de
1.6. L’Olivier di Latouche
Riguardo a Stendhal, le sue conoscenze su Olivier se le era fatte per via indiretta. Nello specifico, le mise insieme da dettagli sfuggiti a Cuvier che, lo abbiamo visto, era uno degli ammessi dalla Duras alle serate di Rue de Varenne. Questi ammetteva, a sua volta, Stendhal nel proprio salotto al Jardin des Plantes. L’interessamento del nostro autore alla narrazione della duchessa de Kersaint fu però secondo in ordine di tempo a quello che aveva avuto un altro escluso dal Faubourg Saint-Germain: Hyacinthe de Latouche. Fu Latouche che ebbe il merito di carpire per primo le potenzialità che si celavano dietro la storia di impotenza. Di avere fiuto, del resto, ne aveva già dato prova in passato quando aveva deciso di sobbarcarsi le spese e la cura delle edizioni delle poesie di André Chenier; il quale altrimenti sarebbe rimasto, forse, all’ombra dei sommi allori.
Nel misterioso libretto di Mme de Duras il nostro poliedrico personaggio intercettò una corsia preferenziale per la fama e per il guadagno. Un materiale grezzo come l’impotenza sessuale di un rampollo dell’aristocrazia non sarebbe rimasto invenduto se fosse stato trasformato in un libro, anche perché era stato lungamente oggetto di chiacchiere. Di gran carriera arrivò così alla conclusione che fosse necessario approntare un apocrifo che grossolanamente ripercorresse l’originale.
Più che altro Latouche si diede all’invenzione, dal momento che una riscrittura sovrapponibile per fedeltà all’originale non era possibile; il “falsario” dovette
tema, cioè l’impossibilità assoluta nel rapporto sentimentale, in un crescendo di difficoltà passando di storia in storia.
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procedere, navigando a vista, facendo la tara a quanto evinto dalla fuga di notizie sul manoscritto della Duras cui avevano luogo i fortunati che lo avevano letto; del resto, si sa che passando da una persona all’altra le succulente anticipazioni potevano giungere al destinatario con un contenuto che si era fortemente allontanato dalla verità delle cose. Il risultato fu Olivier, un manoscritto che Latouche mise nelle mani esperte del parigino Urbain Canel, affinché gli desse una vita di carta e un respiro commerciale. L’editore aveva precise disposizioni tipografiche cui attenersi per la stampa, l’impaginazione e il confezionamento dell’apparato paratestuale. Ne andava della riuscita del gioco di prestigio e di inganno. Niente venne lasciato al caso da Latouche, insomma; lo dimostra anche il particolare della menzione autoriale della destinazione degli incassi ad un’associazione di carità, tipica di tutte le opere a stampa durassiane.
Come non prendere un abbaglio e non ritenerlo il chiacchieratissimo roman-
nouvelle della salottiera più in vista di Parigi? Tanto più che a spingere verso
quell’assimilazione ci si era messa pure la carta stampata. Latouche, difatti, lavorando come collaboratore esterno al Mercure, aveva scritto un pezzo nel quale dava il benvenuto sulla scena libraria alla nuova pubblicazione, dichiarandola sorella di Ourika e di Édouard. Non ci voleva certo un genio per completare l’equazione e individuare nell’anonimo artista che lo aveva partorito la duchessa de Kersaint.
Se questi indizi non fossero stati sufficienti, ci pensò l’amico di Latouche, Henri Beyle, a fare il resto. Quando si trovò a dover recensire il volumetto fresco di stampa per i lettori d’oltremanica, non esitò un istante ad additare esplicitamente la Duras come l’autrice. Abbiamo dunque scelto il brano che facciamo seguire poiché coglie il suo autore perfettamente in azione nel compiere l’associazione indebita:
La dame […] sortait d’entendre la duchesse de Duras lire à quelques intimes le manuscrit de son Olivier, qui avait été déclaré à l’unanimité infiniment supérieur à Édouard ou à Ourika et exempt de toute inconvenance dans le long récit de l’amour et des malheurs du comte Olivier de R.69
Il passaggio è cruciale. Non solo Beyle attribuisce pubblicamente l’opera di Latouche all’aristocratica più in vista del “noble faubourg”, ma non lascia neppure spazio per l’equivoco. Qualcuno avrebbe potuto supporre che il volume cui Stendhal faceva allusione fosse l’originale secretato, se non che egli corredò l’annuncio della pubblicazione della novella con la specificazione: “l’amour et les malheurs du comte
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Olivier de R.”, che mettono forzatamente sulla strada della contraffazione operata da Latouche, perché è così che si chiama l’eroe del suo romanzo, mentre quello durassiano porta il cognome dei Sancerre; lo ribadiamo, non per pedanteria ma per svelare gli ingranaggi della manipolazione che a questo punto può tranquillamente dirsi compiuta a quattro mani (quelle di Latouche e di Stendhal).
I due burlatori, con tutto ciò, non calcolarono le contromisure che la parte lesa avrebbe potuto adottare. Mme de Duras, la quale non era certo una sprovveduta, vedendo minacciata la propria reputazione dall’accusa di aver trattato un tema tanto basso come l’impotenza, certo inadatto ad una donna della sua foggia, prese nettamente le distanze dal libercolo con cui Canel aveva riempito gli scaffali delle librerie di Parigi. Latouche e Stendhal sottovalutarono inoltre il potere dell’opinione di chi il vero Olivier lo aveva avuto tra le mani. Non impiegò molto tempo, di conseguenza, a diffondersi la notizia dell’esistenza di un gioco mistificatorio, condotto alle spese della Duras.
Trovandosi alle strette, Latouche dovette ridimensionare le bordate alla duchessa; non potendo ritrattare le dichiarazioni rilasciate tramite la sua rivista, salvo rimetterci la faccia, optò per una parziale palinodia, negando che con l’opera la sua persona avesse in qualche modo a che fare. Dichiarò inoltre pubblicamente che lo scritto non era nemmeno da attribuire alla nobildonna cui era stato addossato.
A Latouche non interessava essere creduto, ma gli importava, piuttosto, l’aver raggiunto gli obiettivi che si era prefissato prima di lanciare l’operazione di superchérie, dal momento che tutte le copie dell’apocrifo furono esaurite nell’arco di ventiquattro ore70. Il suo editore addirittura venne bersagliato dalle lamentele dei potenziali compratori che, delusi di non aver potuto reperire neanche più un esemplare a due giorni dalla sua uscita, reclamavano a gran voce una pronta ristampa, la quale venne puntualmente effettuata. Tosto il successo dell’Olivier latouchiano scavalcò i confini nazionali, giungendo fino in Belgio ed in Inghilterra, da dove piovvero ordinazioni.